LA REAZIONE “INTEGRISTA” DEI MACCABEI
AL “MODERNISMO” ELLENIZANTE
DI ANTIOCO EPIFANE



QUARTA E ULTIMA PARTE:

LA TRISTE FINE DEI MACCABEI (anno 26 a. C.)

DA GIOVANNI IRCANO (anno 134)
A GNEO POMPEO (anno 63 a. C.) & ERODE IL GRANDE (anno 37 a. C.)

Lo Scettro passa da Giuda ai Pagani: è venuto “il Tempo del Messia”

di Don Curzio Nitoglia


Prima parte
Seconda parte
Terza parte


Gli articoli di Don Curzio Nitoglia sono reperibili nel suo sito

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GIOVANNI IRCANO (134-104)


Purtroppo per quanto riguarda questo nuovo periodo maccabico, sotto la dinastia degli Asmonei o “Maccabei moderati”, le fonti che possediamo sono limitate. Infatti esse, sostanzialmente, si basano soprattutto sugli scritti di Giuseppe Flavio; è pur vero che esiste anche qualche altra sporadica notizia d’origine rabbinica o ellenistica, la quale però non è sufficiente, essendo di parte, a farci sapere se sia esatto quanto narra Giuseppe Flavio. Il Ricciotti non ha una buona opinione dell’ex sacerdote Fariseo “Giuseppe”, diventato un Romano “Flavio” per convenienza in quanto storico delle gens Flavia di Roma, e lo definisce “talvolta tendenzioso, talaltra disattento e ottuso” (G. RICCIOTTI, Storia d’Israele, Torino, SEI, 1933, 2° vol., p. 331) (1) e non si fida del suo solo giudizio storico sui fatti in questione. 

Giovanni Ircano l’Asmoneo o “neo-Maccabeo” (134 – 104 a. C.) era il 3° figlio di Simone Maccabeo (il “vetero-Maccabeo”), minore degli altri due uccisi assieme al loro padre a Gerico da Tolomeo nel 134.

IEgli aveva delle grandi capacità militari e perciò era stato messo a capo del distretto di Gezer, che era di una particolare importanza strategica. Lì fu informato della carneficina perpetrata da suo cognato Tolomeo ai danni di suo padre Simone e dei due suoi fratelli maggiori. Perciò dopo aver ucciso i sicari di Tolomeo, che giunti a Gezer avrebbero dovuto eliminarlo, andò immediatamente a Gerusalemme, vi giunse prima di Tolomeo, che voleva impadronirsi della città e della Palestina intera. Tolomeo, allora, fuggì e si rifugiò a Doq, la fortezza ove aveva massacrato Simone e i due suoi figli. Giovanni Ircano lo assediò lì, ma l’assedio non fu breve e Tolomeo riuscì ad evadere e a rifugiarsi a Rabbah di Ammon, presso Zenone Cotila.

Intanto il re Siriaco Antioco VII assediò Gezer ed anche Gerusalemme per ristabilire il suo regno su tutta la Giudea. Ircano I si rivolse a Roma, non si sa esattamente quando, ricevendone un senato-consulto, che confermava l’alleanza romano-palestinese ed ordinava ad Antioco di restituire all’Ircano la cittadina di Gezer, Joppe ed altre località che il Siriaco aveva occupato (GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIII, 9, 2). Antioco non aveva nessun interesse ad inimicarsi Roma. Quindi scese a più miti consigli e a patti con Ircano, cedendogli le città richiestagli dai Romani.

Siccome Antioco dalla Siria voleva arrivare a conquistare la Persia (abitata allora dai Parti), chiese a Ircano un contingente del suo esercito, comandato da Ircano in persona, dacché i Parti erano soldati molto valorosi, che dettero del “filo da torcere” persino ad Alessandro Magno e a Roma. Ma la guerra fu vinta dai Parti, Antioco venne ucciso da loro, tuttavia Ircano non ne subì troppe spiacevoli conseguenze. Fu così che Demetrio II ritornò sul trono della Siria, il quale era stato occupato sino allora da Antioco VII, e Ircano “lemme-lemme se ne tornò a Gerusalemme”. Siccome allora la Siria iniziava a declinare, la Giudea prosperò notevolmente, essendo le loro sorti e fortune reciprocamente inverse: se la Siria cresceva la Giudea diminuiva, se saliva la Giudea scemava la Siria (G. FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIII, 10, 1).

Ircano fu animato anche da vera fede e sincero amore per Jaweh, ma le sue battaglie furono condotte principalmente per interessi dinastico/nazionalistici, ossia, a partire dal “neo-Maccabeo” Ircano (134 a. C.), la famiglia degli Asmonei e la nazione venivano prima di Jaweh (“Politique d’abord / La politica o il Regno innanzitutto”, avrebbe detto Charles Maurras); mentre con i “paleo-Maccabei” (da Mattatìa a Simone, ossia dal 167 al 134 a. C.) Dio era il “Primo-Servito” (“Primato dello spirituale”, avrebbe risposto Pio XI).

Nonostante questi difetti eccessivamente nazionalistici possiamo dire che l’Ircano fu l’ultimo re dei Giudei a regnare sostanzialmente secondo la Legge di Jaweh. Con suo figlio Giuda Aristobulo I (106-105) comincerà la profonda decadenza della famiglia dei Maccabei o Asmonei e specialmente della religione di Jaweh. Aristobulo si dimostrerà essere un mostro di crudeltà, come vedremo in appresso.

Ircano, detto anche “il Missionario con la spada”, più nazionalista che religioso, impose lo Jawehismo con la forza. Infatti, attorno al 126, quando occupò l’Idumea (ellenizzazione dell’ebraico “Edom”) non ne cacciò i pagani, come facevano i vecchi Maccabei, ma li obbligò al culto di Jaweh, incorporandoli alla nazione d’Israele (I Macc., V, 65). Fu così che gli Idumei, i quali furono tra i più feroci nemici d’Israele già dai tempi di Mosè (circa 1300 a. C.) - ed erano rimasti sempre nel fondo del loro animo Idumei - sino allo sterminio degli ultimi Maccabei (35-26 a. C.),  poterono prendere la rivincita sugli Israeliti, circa 100 anni dopo, quando Erode il Grande (titolo datogli da Giuseppe Flavio unicamente per distinguerlo dai suoi omonimi figli poiché di “grande” Erode aveva solo la crudeltà e la furbizia), “l’Idumeo dal pugno di ferro” (74 a. C. – 4 a. C.), si assise (35 a. C.) sul trono degli ultimi due Maccabei/Asmonei: Aristobulo II († 48 a. C.) e Ircano II († 30 a. C.), che si erano rivolti ai Romani oramai installatisi in Siria per ottenere un giudizio su chi di loro dovesse regnare in Palestina, Erode sfruttò il momento propizio, mettendosi a disposizione dei Romani e si sbarazzò dei 2 Maccabei, spodestando e facendo uccidere, dal Triunviro romano Antonio (35 a. C.), Antigono II Mattatìa, il figlio di Aristobulo II e re di Giudea (dal 40 al 37 a. C.), quindi nei 9 anni successivi (dal 35 al 27 a. C.) fece sterminare tutta la famiglia dei Maccabei.





Inoltre fu proprio Erode il Grande che fece il censimento della Palestina per ordine del primo Imperatore romano Ottaviano Augusto (Lc., II, 1) durante il quale nacque Gesù Cristo (5 a. C.) (2) e ordinò poi la strage degli Innocenti a Betlemme (4 a. C.) poco tempo prima di morire 70enne a Gerico, corroso da ulceri verminose, il 1° aprile del 4 a. C. Egli non ebbe nessun rispetto per la Religione giudaica veterotestamentaria, era rimasto un pagano Idumeo nel suo cuore e nemico di Israele, anche se sapeva ben dissimulare, quando occorresse; solo talvolta usò, per mera convenienza, un certo qual riguardo per i Giudei, divenuti suoi sudditi, che lo detestarono cordialmente, contraccambiati abbondantemente dall’Idumeo divenuto re d’Israele (cfr. F. SPADAFORA, Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 213-216, voce “Erode [il Grande]” e “Erode [famiglia di]”).

«Era scomparsa, così, completamente anche l’apparenza di un’indipendenza nazionale, “lo Scettro era stato tolto a Giuda”. Infatti il regno della Giudea era passato alla famiglia idumea di Erode, ossia a gente straniera per Israele e pagana in sé. Quindi era venuto il tempo in cui doveva giungere il Salvatore e il Messia promesso da Dio ai Patriarchi e ai Profeti (3)» (IGNAZIO SCHUSTER – GIOVANNI BATTISTA HOLZAMMER, Manuale di Storia Biblica, Torino, SEI, II ed., 1951, vol. I, Il Vecchio Testamento, p. 957).

Giovanni Ircano (134-104 a. C.) era stato discepolo dei Farisei, ma passò poi ai Sadducei, divenendo acerrimo nemico dei primi e perseguitandoli. I Farisei già allora aborrivano tutto ciò che era straniero e recente (quindi l’Ellenismo dei Siriaci), mentre i Sadducei accettavano di buon grado la modernità straniera (GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIII, 10, 5-6).

Secondo Ricciotti (cit., p. 336), che commenta Giuseppe Flavio, l’ostilità con Giovanni Ircano era nata dai Farisei perché egli riuniva in sé “la spada e il turibolo, il Trono e l’Altare, il Sacerdozio e il Regno, la Chiesa e lo Stato”: unione che essi, quali tradizionalisti minuziosi e ipocriti, non tolleravano; dunque giunsero a chiedergli di deporre il Sommo Sacerdozio, mantenendo solo il trono d’Israele. Inoltre Ircano fu il primo non solo dei Maccabei/Asmonei, ma dei Giudei (posteriori all’Esilio in Babilonia, 586 a. C.) (4) ad assoldare truppe straniere (GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIII, 8, 4) e ad accettare un personale amministrativo aperto e moderno, che poteva essere fornito solo dai colti e aristocratici Sacerdoti Sadducei e non certo dai popolari Farisei, che al massimo erano scribi e dottori della Legge. Quindi Ircano non dovette faticare molto a passare dai Farisei ai Sadducei.

Giovanni Ircano si allontanò sempre più (ma ancora troppo poco rispetto ai suoi discendenti) dal modello dei vecchi-Maccabei per adottare quello del “moderno” Principe ellenistico e pre-machiavellico. Infatti i vecchi-Maccabei si gettavano come lupi affamati contro gli idolatri pagani ellenizzanti.  L’Abate Ricciotti si chiede retoricamente: “Un Mattatìa o un Giuda Maccabeo avrebbero fatto come Giovanni Ircano? Il confronto mostra l’inevitabile evoluzione o involuzione prodottasi in mezzo secolo” (cit., p. 338).
Oggi (2019) ci potremmo domandare, come fece nel 1932 il Ricciotti, se “un Pio X o un Pio XII avrebbero fatto come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Francesco? Il confronto mostra l’involuzione che si è prodotta in 50 anni di Concilio Vaticano II e di post-concilio”. È sufficiente mostrarlo, infatti la discontinuità tra pre-concilio e post-concilio si vede, è evidente e non occorre dimostrarla e provarla con argomentazioni, che, se ci sono, aiutano, ma non sono assolutamente necessarie per capirla.

Il governo di Giovanni Ircano durò 31 anni, che furono politicamente prosperi per la nazione giudaica, ma non altrettanto per il culto di Jaweh. Alla sua morte, avvenuta nel 104, la Palestina era indipendente dalla Siria e forte in sé, ma sarebbe bastato attendere 40 anni per vedere il pagano Romano Gneo Pompeo occupare la Palestina, profanare il Tempio (63 a. C.) e il pagano Idumeo Erode il Grande salire sul trono di Giuda ed eliminare gli ultimi Maccabei (35-26 a. C.). Inoltre non bisogna dimenticare che “la potenza e la prosperità del governo d’Ircano furono in minor parte effetto della sua personale attività, favorita dal momento politico propizio, ma in maggior parte furono il risultato di quanto i suoi antenati Maccabei e suo padre Simone Maccabeo avevano creato in un trentennio di durissimi travagli” (G. RICCIOTTI, cit., p. 338).




GIUDA ARISTOBULO I (104-103)

Aristobulo I era il maggiore dei 5 figli di Giovanni Ircano e successe al padre, ma governò per un solo anno (104-103). Il suo vero nome era Giuda, cui dovette aggiungere quello greco di Aristobulo, facendo una concessione, che i suoi avi non avrebbero mai fatta, alla moda ellenistica e a cui dovette farne molte altre, donde il soprannome di “Filelleno” come racconta Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche, XIII, 11, 3).

Secondo Giuseppe Flavio Ircano morendo avrebbe lasciato il trono a sua moglie, ma Aristobulo, d’accordo con suo fratello Antigono, mise in prigione gli altri 3 fratelli e la stessa madre. Quindi s’incoronò re, fece uccidere anche il fratello Antigono, ma morì poco dopo roso dal rimorso di coscienza.

Ricciotti (cit., p. 339) dubita della veracità del racconto dell’ex sacerdote fariseo Giuseppe Flavio, poiché Aristobulo come suo padre Ircano, era nemico acerrimo dei Farisei e quindi odiato da Giuseppe Flavio, che era rimasto in cuor suo un Fariseo.




ALESSANDRO JANNEO (103-76)

Aristobulo non lasciò figli, ma sua moglie Salome, detta ellenisticamente Alessandra, mise in libertà i cognati e nominò Sommo Sacerdote il maggiore di essi, Jonathan (abbreviato in Janneo) e Alessandro (come secondo nome ellenistico), divenendone poi sua moglie. Egli regnò 27 anni dal 103 al 76 a. C.

Munito di un carattere forte ed impetuoso, intraprendente, inflessibile, Alessandro continuò la linea di governo iniziata da Giovanni Ircano, “s’ingolfò in intrighi politici e in imprese guerresche per smania di dominio, mantenendo il sistema della giudaizzazione forzata, ma per tornaconto politico e non per eccesso di zelo nazional/religioso; andò sino in fondo nelle ostilità contro i Farisei, commettendo degli eccessi contro di essi cui solo un carattere come il suo poteva arrivare” (G. RICCIOTTI, cit., p. 301).

Egli da politicante, sempre in giro a guerreggiare, trascurò i compiti del Sommo Sacerdozio. I Farisei che avevano molto séguito tra le classi popolari le aizzarono contro il re, che divenne l’oggetto principale del loro odio. Giuseppe Flavio narra che mentre stava sacrificando all’altare del Tempio, fu bersagliato dai fedeli con frutti di cedro grossi e duri quasi come una pigna (Antichità Giudaiche, XIII, 13, 5).

La reazione di Alessandro fu spietata: fece massacrare dai suoi soldati (che per di più erano stranieri, idolatri ed anche mercenari) circa 6 mila Giudei; cosa avrebbero detto i vecchi-Maccabei? Si sarebbero voltati nelle loro tombe? È più che probabile. Però i Farisei incitarono il popolo alla rivolta e scoppiò un tumulto gravissimo contro l’Asmoneo, che durò 6 anni e contò 50 mila morti, quasi tutti rivoltosi anti-asmonei (GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIII, 13, 5). I Farisei giunsero - anche loro! - a chiedere aiuto ad uno straniero, pagano e idolatra: il siriaco Demetrio III Euchero. L’Apostasia generale fu così consumata dal Maccabeo da una parte e dai Farisei dall’altra.

Nell’anno 88 Demetrio III, accolse l’invito dei Farisei e si precipitò in Palestina a combattere il Maccabeo, sconfiggendo a Sichem il re Alessandro Janneo, che dovette fuggire sui monti, ma proprio allora i rivoltosi si accorsero di essersi avviati verso un abisso: i Farisei che chiamavano le armate pagane e straniere in Giudea a combattere un discendente dei Maccabei… . Quindi si fermarono. Infatti la vittoria del Siriano avrebbe voluto dire tornare ai tempi di Antioco IV Epifane. Ora tra Epifane e Janneo il male minore, con cui patteggiare, era quest’ultimo. Perciò circa 6 mila rivoltosi Giudei passarono con Alessandro. Demetrio, allora, egli si ritirò prudentemente e tornò in Siria.

Tuttavia ancora molti rivoltosi lottavano contro Alessandro, che reagì con la sua abituale ferocia. Infatti li assalì, li fece prigionieri, ne fece crocifiggere 800 e quando erano ancora agonizzanti fece scannare sotto i loro occhi le loro mogli e i loro figli, mentre lui banchettava con delle concubine (GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIII, 14, 2).

Infine si dette al vino e entrò in guerra, pur se minato da Bacco (che assieme a “Tabacco e Venere, riducono l’uomo in cenere”, come dice il proverbio), contro Antioco XII che lo sbaragliò, ma Antioco XII restò ucciso. Allora entrò in lizza il re Areta III degli Arabi Nabatei (85-60 a. C.), il quale allargò il suo regno sino ai confini con la Palestina e poi vi entrò, ma venne a patti con Alessandro e si ritirò. Infine, Alessandro, dopo 3 anni di malattia morì nel 76.

Sul letto di morte Alessandro, Asmoneo e Sadduceo, raccomandò molto pragmaticamente alla moglie Alessandra Salome, cui lasciò il trono, di venire a patti con i Farisei poiché il popolo era con loro.




ALESSANDRA SALOME (76-67)

Il suo regno viene definito “l’epoca d’oro dei Farisei”. Infatti se Alessandra era nominalmente la regina, erano i Farisei a gestire il potere reale. Ella aveva avuto 2 figli da suo marito Alessandro Janneo: il primo si chiamava Ircano, ma era fiacco e amante del quieto vivere; il secondo, Aristobulo, era tutto attività e coraggio. Alessandra tenne il governo per sé, elesse Ircano a Sommo Sacerdote e lasciò Aristobulo da parte, ma caro le costò perché il carattere bellicoso e ardimentoso di Aristobulo non gli consentiva di starsene da parte con le braccia conserte e siccome sua madre e il fratello maggiore Ircano, erano per i Farisei, lui si schierò con i Sadducei e il Paese sprofondò in una grave guerra intestina.

La regina Alessandra riuscì ad allontanare dalla Palestina Aristobulo, ma oramai il Paese era spaccato in due tra Farisei e Sadducei. I Farisei accrebbero notevolmente il loro potere, entrando a far parte del Collegio consultivo del Sommo Pontefice (o Sinedrio), nel governo del Paese, che sino ad allora era stato essenzialmente aristocratico/sacerdotale e quindi Sadduceo. Con Alessandra i democratici Farisei, amati dalle classi popolari, divennero la maggioranza nel Sinedrio, con l’ausilio dei dottori della Legge e degli scribi, mentre i Sacerdoti erano e restavano Sadducei.

I Farisei approfittarono della situazione loro favorevole e dettero al Paese una fisionomia maggioritariamente farisaica, come la troveremo ai tempi di Gesù. Il Giudaismo divenne essenzialmente farisaico e dopo la distruzione del Tempio (70 d. C.) con la conseguente cessazione del Sacrificio e del Sacerdozio, i Farisei rimpiazzarono definitivamente gli scomparsi Sadducei intimamente legati al sacerdozio e al sacrificio del Tempio e ancor oggi reggono le redini del Giudaismo talmudico e rabbinico, essendo il Giudaismo ancora privo del Tempio.

La regina morì nel 67 all’età di 73 anni. Con la sua morte la dinastia degli Asmonei/Maccabei entrò nel periodo del tramonto definitivo. 


  

ARISTOBULO II (67-48) E IRCANO II (67-30)

Alla morte di sua madre (anno 67), il forte e coraggioso Aristobulo II (67-48 a. C.), era potenzialmente padrone della situazione in Palestina, avendo ben preparato la sua “successione” al trono. Tuttavia divenne re suo fratello, il debole Ircano II (67-30 a. C.), che sua madre, Alessandra Salome, aveva già eletto Sommo Sacerdote (anno 76), ma egli regnò solo 3 mesi (G. FLAVIO, Antichità Giudaiche, XV, 6, 4). Infatti Aristobulo lo attaccò e lo sconfisse a Gerico, poi lo assediò nel Tempio di Gerusalemme ove si era asserragliato. Tuttavia i due “fratelli-coltelli” si misero d’accordo e Ircano si ritirò a vita privata, godendosi le sue rendite, ma rinunziando ad ogni incarico pubblico (il che non gli costò troppo, data la sua indole pantofolaia), mentre Aristobulo, dato il suo carattere “tuttofare”, divenne re e Sommo Sacerdote.

Tutto sembrava essersi sistemato quando entrò in scena un terzo incomodo, che era forse più intrigante e attaccato al potere di Aristobulo: l’Idumeo Antipatro (il padre di Erode il Grande), che era il governatore dell’Idumea. Egli era amicissimo di re Areta III degli Arabi Nabatei e di Ircano II, che sarebbe stato più malleabile del fratello Aristobulo, come re-fantoccio della Palestina, nelle mani di Antipatro, poiché Aristobulo essendosi fatto re e Sommo Sacerdote al posto di Ircano II, era divenuto ipso facto nemico di Antipatro (“il nemico del mio amico è mio nemico”). 

Antipatro aggirò l’ostacolo-Aristobulo, facendolo eliminare. Infatti convinse il suo amico re Areta III ad attaccare Aristobulo e a rimettere sul trono e sul soglio pontificale il manovrabile “re e sacerdote travicello” Ircano II. Fu così che Areta si mosse da Petra (ove risiedeva), a capo di un forte esercito, contro Aristobulo, lo sconfisse e assediò Gerusalemme. Il popolo gerosolomitano, mosso dai Farisei, si schierò con Ircano, mentre i Sacerdoti Sadducei si schierarono con Aristobulo (G. FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIV, 2, 1).

Siccome nel Tempio di Gerusalemme, assediata da Areta, non si trovavano più animali da sacrificare, i Sacerdoti Sadducei, avvicinandosi la Pasqua (la massima festività del Giudaismo jawehistico) chiesero ai religiosissimi Farisei assedianti (che si erano uniti ad Areta) di consegnar loro, dietro profumato pagamento, gli animali per i sacrifici. I Farisei finsero di accettare e quando i Sadducei calarono giù dalle mura di Gerusalemme le sporte con il denaro, i Farisei - molto farisaicamente - presero le somme, ma non dettero gli animali. Ora Antioco VII, il pagano siriaco, nell’anno 134, per la festa dei Tabernacoli, aveva venduto e consegnato ai Sacerdoti da lui assediati nel Tempio di Gerusalemme gli animali per i sacrifici, “pur non essendo né Giudeo né Jawehista, ma non era neppure Fariseo…” (G. RICCIOTTI, cit., p. 351).

Tuttavia l’assedio andava per le lunghe, infatti i Nabatei pur essendo più forti dei gerosolomitani, potevano poco - combattendo dal deserto - contro le mura di Gerusalemme. Però si arrivò egualmente ad una soluzione, che segnò definitivamente il destino della Palestina facendole perdere per sempre l’indipendenza (63 a. C.) e portandola in fine alla distruzione completa (70 e 135 d. C.)…

IL DOMINIO DI ROMA IN PALESTINA
E
LA STRAGE ERODIANA DEGLI ULTIMI “MACCABEI” (NON-INNOCENTI)


Il generale romano Gneo Pompeo aveva annesso la Siria all’Impero Romano (65 a. C.). I due “fratelli-coltelli” (Ircano II e Aristobulo II) ricorsero entrambi a Roma offrendole 400 talenti ciascuno, avendo saputa la sua invasione della Siria, per ottenere aiuto e Roma, cercando da sempre di entrare nel Vicino e Medio Oriente, accettò volentieri di “aiutare” i Giudei…  a farsi governare.

Pompeo capì che Aristobulo, per mantenere la promessa, stava in vantaggio rispetto ad Ircano, essendo già re e Sommo Sacerdote, mentre il debole Ircano poteva contare solo sull’aiuto dell’esercito mediocre (rispetto a quello Romano) di Areta.

Areta lasciò il campo dietro ingiunzione di Roma, che non aveva nessuna intenzione di inimicarsi. Quindi Aristobulo, liberato dall’assedio di Areta, sconfisse Ircano, ma l’Idumeo Antipatro lo aspettava al varco…

L’astuto Idumeo si precipitò a Damasco da Pompeo nel 63 per perorare apparentemente la causa di Ircano (ma realmente la sua propria, che dietro la facciata del debole re Ircano avrebbe governato, de facto, tutta la Palestina).

Pompeo chiese del tempo per decidere se appoggiare Aristobulo o Ircano, volendo prima regolare i conti con gli Arabi Nabatei di Areta, allora il sanguigno Aristobulo si fece prendere la mano dal suo temperamento impulsivo, non accettando di aspettare ancora e commise l’errore di inimicarsi Pompeo, ossia Roma, con “un contegno illogico, mutevole, contraddittorio, che a seconda del suo stato d’animo puntava o verso la ribellione o verso l’accordo” (G. RICCIOTTI, cit., p. 353).

Pompeo, stanco delle tergiversazioni di Aristobulo, lo assalì, lo imprigionò e assediò Gerusalemme. Dentro la Città Santa vi erano, naturalmente, due partiti, il primo voleva resistere a Roma ed era composto da una minoranza di “aristobuliani” (antesignani degli Zeloti e dei Sicari, che porteranno alla guerra romano/giudaica nel 66-70 d. C.), accecati dal fanatismo, i quali, vistisi isolati, si rinchiusero nel Tempio allora ben fortificato; il secondo era composto dai partigiani di Irco, i quali occupavano tutta Gerusalemme, tranne il Tempio o “Monte di Sion”; essi cedettero la Città Santa all’inviato di Pompeo, Pisone, il quale ottenuto dagli “aristobuliani” un rifiuto totale di arrendersi, cominciò l’assedio del Tempio, con l’aiuto di Ircano.

I Romani costruirono le varie macchine belliche atte a lanciare massi e quanto altro contro le mura del Tempio e, quindi, a bombardarle. I Sacerdoti continuavano il servizio liturgico dentro il Tempio, suscitando l’ammirazione di Pompeo.

Dopo 3 mesi d’assedio, il Tempio fu invaso, era il principio dell’autunno del 63, probabilmente un giorno di sabato, iniziò immediatamente la carneficina all’interno del “Luogo Santo”. Molti Sacerdoti che stavano offrendo il sacrificio, continuarono l’azione sacra e vennero uccisi, senza alcun rispetto, sull’altare, molti si buttarono giù dalle mura del Tempio. Alla fine si contarono circa 12 mila Giudei morti, tra i quali la maggior parte non fu uccisa dai Romani, ma da altri Giudei “ircaniani” (G. FLAVIO, Guerra Giudaica, I, 7, 5), ossia Maccabei (che non solo massacravano i Giudei fedeli di Jaweh dentro il Tempio, ma addirittura con l’aiuto dei pagani idolatri Romani, cosa che gli antichi-Maccabei non avrebbero mai fatta e neppure lontanamente immaginata).

Molto probabilmente in questo stesso giorno Pompeo fece la sua ispezione del Tempio, entrando anche dentro la “Sancta Sanctorum”, che poteva essere traversata soltanto dal Sommo Sacerdote, una sola volta l’anno. Pompeo non ebbe alcun intento sacrilego (come quello di Antioco Epifane), infatti non toccò nulla, neppure l’oro ammassato copiosamente all’interno del Tempio. Tuttavia la presenza, ritenuta “impura”, del pagano nel Tempio fu vissuta da tutti Giudei indistintamente (“ircaniani e aristobuliani”) con sommo raccapriccio (G. FLAVIO, Guerra Giudaica, I, 7, 6). In realtà Pompeo volle solo vedere con i suoi occhi di pagano curioso e scettico cosa nascondesse quel Tempio tanto famoso su cui si dicevano tante cose, ad esempio se vi fosse veramente la “testa d’asino” venerata dai Giudei, secondo una favola inventata dai pagani contro la Religione monoteistica del Vecchio Testamento, rinnovata dai loro discendenti contro la Religione cristiana e continuata ancor oggi dai neopagani evoliani.

Il giorno dopo Pompeo fece purificare il Tempio profanato e fece ricominciare il servizio liturgico, che era stato interrotto per un giorno. Ricostituì Ircano Sommo Sacerdote ed “etnarca” (capo del popolo giudaico), ma non re, punì di morte i capi “aristobuliani” e, quindi, partì velocemente per l’Asia Minore. Come si può vedere la figura di Pompeo è molto diversa da quella di Antioco Epifane, egli può essere definito un antico Romano, pagano, scettico, religiosamente pluralista e tollerante, politeista, ma non un fanatico anti-Dio come l’Epifane: tipo e figura dell’Anticristo finale.

Ircano era de jure “etnarca” della Palestina, ma de facto chi comandava era l’Idumeo Antipatro grazie al Reggente romano di Siria, Scauro, con due Legioni romane al suo séguito.

Pompeo condusse con sé, prima in Cilicia e poi a Roma, Aristobulo II con i suoi 2 figli (Alessandro, che riuscì a fuggire e Antigono) assieme a molti altri Giudei, prigionieri di guerra, (che accrebbero enormemente la già grande ed antica Colonia giudaica di Roma) come ornamento al suo Trionfo nell’Urbe per aver conquistato la Siria e la Palestina.

L’Abate Ricciotti commenta: “La contesa tra i due Asmonei terminava con la sconfitta di ambedue. Il sopraffatto Aristobulo finì, è vero, avanti al carro trionfale di Pompeo; ma l’imbelle Ircano, rimasto a Gerusalemme, finì in maniera anche più ignobile: divenne una maschera sul ghignante viso del vero vincitore, l’Idumeo Antipatro, padre di Erode il Grande” (cit., p. 357).  

Nel 57 a. C. Roma inviò Gabinio a sostituire il “Reggente” Scauro, con il nuovo e più alto titolo di “Proconsole”, nella Palestina, che veniva acquistando un’importanza sempre maggiore agli occhi dei Romani per le nuove difficoltà, grattacapi e complicazioni che offriva in quei tempi.

Nel 58 riapparve in Giudea Alessandro (il figlio di Aristobulo II), che era fuggito da Roma quando vi fu portato da Pompeo nel 61 per sfilare durante il suo Trionfo nelle vie dell’Urbe immortale. Egli si mise al lavoro per riorganizzare la sua fazione “aristobuliana” e “anti-ircaniana” mettendo su, in poco tempo, un esercito di 10 mila fanti e 1. 500 cavalieri, grazie ai quali iniziò la riconquista della Palestina, strappandone molte città all’imbelle zio Ircano II, che non sapeva resistergli, per cui dovette intervenire il Proconsole romano, Gabinio, che sconfisse Alessandro presso Gerusalemme e lo fece prigioniero, ma poi inaspettatamente lo rimise in libertà (G. FLAVIO, Antichità Giudaiche, XIV, 5, 2).

Gabinio iniziò lo spezzettamento geografico della Palestina in molte piccole province, secondo l’adagio romano: “Divide et Impera / Semina la divisione per comandare”, togliendole sempre di più ogni indipendenza politica da Roma. Tuttavia lasciò la libertà di culto ai Giudei, mantenendo Ircano II al suo posto di Sommo Sacerdote, ma come padrone “solo di turiboli e incensieri” (G. RICCIOTTI, cit., p. 362) e del puro “titolo nominale” (ivi) di Etnarca, senza nessun potere pratico e reale, anzi “nudo di ogni potere civile” (ivi). Iniziava, così, la separazione definitiva in Giudea del “Trono dall’Altare, della Chiesa dallo Stato, della Corona dal Turibolo” (ivi).

Nel 56 riapparve, sulla scena pubblica, anche Aristobulo II (il padre di Alessandro e “fratello/coltello” di Ircano II), che era evaso da Roma, dove fu portato come prigioniero di guerra da Pompeo nel 61; egli si unì al suo secondo figlio Antigono e tentò una sollevazione antiromana in Palestina, ma Gabinio lo sconfisse e lo rispedì prigioniero a Roma. Nel 49 Giulio Cesare († 15 marzo 44 a. C.) lo liberò (non essendo crudeli i Romani, ma giusti nel “parcere subiectis et debellare superbos / perdonare chi si sottomette e debellare chi si ribella”) e lo inviò a capo di 2 legioni in Siria/Palestina a combattere contro Pompeo (che oramai dal 50 si batteva contro Cesare, di cui invece prima era non solo alleato, ma aveva addirittura formato con lui e con Crasso, nel 55, un Triunvirato), però i “pompeiani” lo avvelenarono in Siria (forse in Antiochia), nel 48 a. C. e, nel medesimo anno, anche suo figlio Alessandro venne ucciso per decapitazione in Antiochia dai Romani di Pompeo.

Alessandro (il figlio maggiore di Aristobulo II) nel 55 tentò una nuova rivolta contro Roma (era decisamente un “vizio” di famiglia), approfittando dell’assenza di Gabinio, spostatosi sul fronte egiziano, uccidendo - con l’esercito nazionale che aveva raccolto (era decisamente un “vizio” non solo di “famiglia”, ma anche di “razza, popolo, etnia, stirpe e schiatta”) molti soldati romani e ne assediò molti altri rifugiatisi sul Monte Garizim in Samaria. Quando Gabinio tornò in Palestina, Alessandro con un esercito oramai cresciuto e forte di 30 mila uomini, lo attaccò nei pressi del Monte Tabor, ma ne fu sconfitto completamente. Oramai la lotta intestina tra i rami (“aristobuliani” e “ircaniani”) degli Asmonei, cedeva i passo alla rivolta giudaica antiromana (G. FLAVIO, Guerra Giudaica, XV, 2, 5), che circa 100 anni dopo sarebbe sfociata, nel 66 d. C., in una vera e propria guerra della Giudea contro Roma ed avrebbe portato, nel 70 con Vespasiano e Tito, alla distruzione di Gerusalemme e del Tempio (predetta da Gesù poco prima di essere crocifisso, nel 29, come si legge nel Vangelo secondo Matteo, scritto nel 42, cioè quasi 40 e 30 anni prima) e, con Adriano nel 132-135, alla distruzione di tutta la Giudea.

Nel 55 Crasso (il 3° Triunviro con Cesare e Pompeo) venne in Siria/Palestina come Proconsole a sostituire Gabinio, ma entrato in guerra contro i bellicosissimi Parti fu ucciso da essi nel 53. Tuttavia poco tempo prima della “campagna di Persia” Crasso, che era molto attaccato al denaro, profanò il Tempio, “ripulendolo”… dell’oro (10 mila talenti) che conteneva, quale frutto delle offerte provenienti a Gerusalemme dai Giudei della Diaspora. Questo fatto accese ancor di più l’odio antiromano dei Giudei, i quali nel 53, con un certo Pitolao non molto famoso storicamente, già partigiano di Aristobulo II, si sollevarono contro Roma, minacciata dai Parti e occupata, così, bellicosamente su due fronti. Il successore di Crasso, Cassio Longino, schiacciò la rivolta, uccise Pitolao e vendette 30 mila Giudei come schiavi.

Nel 44 Giulio Cesare venne ucciso e nel 43 toccò ad Antipatro l’Idumeo, che lasciò padrone della Palestina suo figlio Erode il Grande (43-4 a. C.). Nel 42 Antigono (il secondo figlio di Aristobulo II) si sollevò contro Erode e Roma, ma fu schiacciato senza però essere ucciso dall’Idumeo. Restava l’imbelle Ircano II a rappresentare, da un punto di vista di pura facciata, i Giudei/Asmonei, ma privo di ogni potere reale e col solo “turibolo nelle mani” (G. RICCIOTTI, cit., p. 371), lasciatogli senza alcun problema dai Romani politeisticamente pluralisti e religiosamente tolleranti, per i quali un Dio e un Sacerdote di più non rappresentavano nessuna difficoltà.





Antigono II “l’ultimo dei re Asmonei/neo-Maccabei”, nel 40, rialzò la testa, approfittando della guerra che i Parti mossero ai Romani invadendo la Siria/Palestina e si mise dalla loro parte contro Roma e Erode, s’impadronì del Tempio di Gerusalemme, ma fu attaccato sùbito da Erode, che non riuscì a sconfiggerlo e dovette ritirarsi a Masada. Antigono II rimase il padrone della Palestina ed ebbe Ircano II nelle sue mani, staccandogli a morsi le orecchie per renderlo inadatto al sevizio sacerdotale, al quale non erano ammessi i deformi. Tuttavia i Parti lo portarono con sé a Babilonia, ma Erode lo invitò a ritornare in Palestina e nel 30 lo fece uccidere per pura crudeltà, non rappresentando certamente un pericolo il povero e debole Ircano, che pur se avesse voluto non sarebbe riuscito ad uccidere una mosca, figuriamoci “quella volpe di Erode”.

Fu così che l’ultimo re degli Asmonei/neo-Maccabei, Antigono II il cui nome ebraico era Mattatìa, per volontà dei Parti o Persiani, divenne nel 40 Sommo Sacerdote e re della Palestina.

Roma nel 39 iniziò la campagna di Siria/Palestina contro i Parti (i nemici che le dettero più “filo da torcere” di tutti gli altri) e conquistò la Siria, ma nel 38 i Parti invasero nuovamente la Palestina. I Romani, allora, mandarono il generale Sosio a debellarli, egli dovette combattere anche contro Antigono, re dei Giudei e amico dei Parti.  Roma nominò Erode “anti-re” di Giudea per contrapporlo ad Antigono II nominato re di Giuda dai Parti.

Iniziò, così, la guerra finale tra Erode e Antigono II, che si asserragliò in Gerusalemme, aiutato in quest’ultima sua guerra dalla nuova invasione della Siria/Palestina da parte dei Parti nel 38. Erode ottenne due legioni romane da Antonio e con esse, nel 37, assediò, con l’aiuto decisivo di Sosio, Antigono in Gerusalemme.

Dopo 3 mesi Gerusalemme cadde in mano dei Romani e dell’Idumeo, era il giugno del 37. Sosio fece prigioniero Antigono II, che gli si gettò ai piedi e lo implorò di salvargli la vita. Ma Sosio fu implacabile, lo apostrofò chiamandolo “femmina” e lo condusse da Antonio in Antiochia di Siria. Erode pregò Antonio di ucciderlo e nel 37 l’ultimo dei neo-Maccabei che avesse regnato in Israele ebbe la testa tagliata dai Romani dietro domanda dell’Idumeo Erode il Grande, il quale divenne de jure et de facto il padrone assoluto della Palestina. 

In realtà vi fu anche il (troppo) giovane Antigono III, che venne eletto Sommo Sacerdote (non re, si badi bene) a 17 anni, ma Erode geloso della sua popolarità e sospettoso che volesse rubargli il regno, nel 35, appena 18enne, lo fece affogare nel bagno a Gerico. Egli fu veramente l’ultimissimo (“papa-non-re” degli Asmonei, che non rappresentarono più alcuna minaccia per il sospettoso Erode (GIUSEPPE FLAVIO, Antichità Giudaiche, XV, 2, 5).

“Lo sciagurato governo degli ultimi Maccabei aveva ancora fatto aumentare la corruzione che si era infiltrata fra i Giudei negli ultimi secoli per la signoria di re stranieri e pagani, in particolare dei Seleucidi o Siriani, che a partire da Antioco IV (175 a. C.)  si erano in tutti i modi studiati di traviare i Giudei, inducendoli al politeismo e a tutte le impietà dei Pagani verso il Signore Jaweh. Gli ultimi Maccabei riconoscevano ancora un solo Dio, il vero unico Dio, ma quasi soltanto colle labbra, mentre il loro contegno era divenuto così corrotto, che Giuseppe Flavio paragona Gerusalemme, sotto il regno degli Asmonei, con Sodoma, e ritiene che Sodoma fosse migliore di essa (Guerra Giudaica, V, 13, 6)” (IGNAZIO SCHUSTER – GIOVANNI BATTISTA HOLZAMMER, Manuale di Storia Biblica, Torino, SEI, II ed., 1951, vol. I, Il Vecchio Testamento, p. 957).

CONCLUSIONE: POSTILLA SUL GIUDAISMO

Quando, in questi articoli che trattano la questione dei Maccabei (175-37 a. C.), utilizzo il temine “Giudaismo” mi riferisco al Giudaismo mosaico, biblico, ossia al Vecchio Testamento, il quale è buono, ma imperfetto poiché relativo al Nuovo Testamento, che è il compimento del Vecchio.

Il Giudaismo mosaico non ha nulla a che vedere con il Giudaismo post-biblico, rabbinico, farisaico, talmudico, ossia il Giudaismo come si è sviluppato a partire dal rifiuto della maggior parte d’Israele nei confronti di Gesù, che è giunto sino al Deicidio, alla persecuzione degli Apostoli, dei Cristiani e sino al perdurare nell’accecamento anche ai nostri giorni. Esso è intrinsecamente cattivo poiché misconoscendo Dio Figlio nega anche Dio Padre e Dio Spirito Santo.

Quindi occorre fare bene attenzione, trattando il problema ebraico, ad evitare gli errori opposti per eccesso (Giudeo-Cristianesimo) e per difetto (Antisemitismo biologico) e a seguire “il giusto mezzo non di mediocrità, ma di altezza, che si innalza tra i due opposti errori come la cima di una montagna svetta tra i burroni che la circondano a destra e a sinistra” (p. Reginaldo Garrigou-Lagrange).

Infatti l’Errore per eccesso: Giudeo-Cristianesimo, vorrebbe conciliare l’inconciliabile: il Giudaismo talmudico, (che nega la divinità di Cristo e la SS. Trinità) con il Cristianesimo, (i cui due dogmi principali sono la SS. Trinità e la divinità di Gesù). Ora è impossibile conciliare ciò che è contraddittorio (un cerchio-quadrato; il Giudaismo anticristiano col Cristianesimo) “per la contraddizion che nol consente” (Dante).

L’Errore per difetto: Antisemitismo biologico, che odia, materialisticamente, l’ebreo in quanto facente parte della stirpe ebraica, per una questione di sangue, di etnia o di razza.

La verità, che si erge come la vetta del monte tra i burroni sottostanti, consiste:

1°) nel distinguere la Religione cristiana (Antico e Nuovo Testamento) dalla Contro-religione giudaico-talmudica, che nega l’Antico e il Nuovo Testamento. Vi è, dunque, una contrapposizione radicale tra le due, delle quali la seconda è la negazione della prima ed è nata dopo essa, con l’uccisione di Gesù Cristo, per combatterla e distruggerla “si fieri potest”. Infatti il Cristianesimo è nato col primo uomo, Adamo il quale credeva nel Cristo quale Messia venturo e nella Trinità delle Persone nell’Unità della Divinità (S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q. 2, a. 7; J. MEINVIELLE, Dalla Càbala al progressismo, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2018), evitando ogni contraddizione quale è il Giudeo-Cristianesimo;

2°)  nel distinguere l’Anti-giudaismo-talmudico religioso/teologico, che nega teologicamente la verità e la bontà della contro-chiesa giudaica post-biblica, la quale è essenzialmente anticristiana e antitrinitaria, dall’Antisemitismo biologico, il quale odia l’Antico e il Nuovo Testamento, Abramo e Cristo poiché è materialista o esotericamente neo-paganeggiante e non si sa elevare al di sopra del sangue, della razza e dei “miti primordiali”  per vedere e risolvere il problema ebraico alla luce della teologia e di Dio.

I Maccabei ci insegnano l’amore, sino al Martirio, per il Dio unico: Jaweh, Colui che è l’Essere per Essenza (Exod., III, 5); l’odio per il politeismo pagano, per la modernizzazione ellenizzante o gnostica; il rigetto di ogni forma di “fariseismo” o ipocrisia religiosa, che mira ad apparire diversi da quel che si è; la necessità di combattere per Dio i nemici di Dio, contro ogni forma di irenismo, sincretismo, aggiornamento modernista e di falso ecumenismo. Le figure dei fratelli Maccabei sono oggi più attuali che mai. Infatti ci troviamo a vivere in un’epoca di apostasia universale, che è penetrata anche nella Chiesa di Dio, in cui non si combatte l’errore e si concilia il contraddittorio.

Possano i Santi Martiri Maccabei illuminarci, fortificarci e guidarci in questa che è “l’ora del Giudaismo talmudico e del potere delle tenebre” (Lc., XXII, 53).

FINE



NOTE

1 -    In un prossimo articolo cercheremo di approfondire le notizie che possediamo su Giuseppe Flavio, studiando la sua personalità e le sue opere per capire meglio chi sia stato realmente lo storico Giudeo, ex sacerdote Fariseo, passato, per convenienza, dalla guerra contro i Romani al servizio di Roma e quanto oggettive siano le sue osservazioni e narrazioni storiche.
2 -  “La fissazione della nascita di Gesù all’anno 754 ab Urbe còndita è sbagliata per un ritardo di almeno 4 anni. Infatti Gesù Cristo è nato prima del 750 di Roma, cioè almeno 4 / 5 anni prima dell’Era Volgare” (G. RICCIOTTI, cit., p. 415, nota 1). Quindi Gesù è nato il 5 avanti Cristo ed è morto a 33 anni nel 28 d. C.
3 - Questo argomento merita un articolo a parte.
4 - Infatti il re David, vissuto circa 1000 anni avanti Cristo, assoldò truppe straniere.


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febbraio 2019
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