Un triste anniversario

di Padre João Batista de Almeida Prado Ferraz Costa


Padre João Batista de Almeida Prado Ferraz Costa è il parroco della Capela Santa Maria das Vitórias di Anápolis, in Brasile, dove celebra la Santa Messa tradizionale

L'articolo è stato pubblicato sul sito della Cappella

I neretti sono nostri





Il 3 aprile 2019 ricorrerà un triste anniversario: il 50° della promulgazione del Messale di Paolo VI, il quale rappresenta la creazione di un nuovo rito liturgico, composto in accordo con la mentalità moderna, sotto l’influenza dell’eresia modernista e della massoneria, fatto per piacere ai “fratelli separati” e, di conseguenza, in flagrante contraddizione con la tradizione bimillenaria della Chiesa.

Come si sa, vi è su una vastissima e dotta letteratura sulla riforma liturgica di Montini, che provocò indignazione e clamore, non solo tra i cattolici, ma anche tra gli intellettuali in generale, almeno tra coloro che riconoscevano l’altissimo valore cultuale della tradizione liturgica romana, che ha informato di sé i costumi e gli standard estetici della più nobile civiltà.

Per quanto riguarda il problema teologico generato dal rito moderno della Messa promulgata da Paolo VI, che ha suscitato un dramma di coscienza fra i cattolici, specialmente fra i sacerdoti (una volta un vescovo oggi defunto mi disse: “Volevo continuare con il Messale antico, ma Paolo VI impose il nuovo messale ad ogni costo e poi con l’obbedienza....), è opportuno ricordare alcune opere che indicavano gli errori e le ambiguità del novus ordo missae, come, per esempio, il Breve esame critico dei cardinali Ottaviani e Bacci (in cui gli autori affermano che il nuovo rito rappresenta un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa così come definita dal Concilio di Trento), l’interessantissimo studio di Don Bonneterre, Le mouvement liturgique, quello di Mons. Gamber, La reforme liturgique en question, in cui si dice che la riforma di Paolo VI è stata più radicale di quella di Lutero (opera questa pubblicata con una prefazione del cardinale Ratzinger), Il problema della riforma liturgica, pubblicata dalla Fraternità sacerdotale di San Pio X, che esamina il problema dell’influenza della teologia del mistero pasquale sul nuovo rito (teologia che ha impoverito il carattere sacrificale della Messa di rito moderno). Ricordo anche Temoignage d’un expert au Concile, una raccolta di conferenze del cardinale Stickler; nonché la trilogia di Michael Davies. Sull’argomento ci sono anche molti altri eccellenti lavori.

Salta agli occhi di qualunque cattolico che conosca il catechismo, che la riforma liturgica di Paolo VI rappresenta un disastro completo per la preservazione della fede. Sarebbe noioso elencare qui le dissacrazioni e i sacrilegi perpetrati quotidianamente nella celebrazione della Santa Messa secondo il rito moderno. Basti pensare all’intercomunione ecumenica promossa in Germania, con l’avallo della Conferenza Episcopale di quel Paese, dove pastori evangelici e preti cattolici “concelebrano l’Eucaristia” fianco a fianco, davanti al tavolo della “cena”, con la comunione che viene distribuita tra luterani e cattolici, senza tenere conto della credenza di ciascuno nel mistero eucaristico. Qui in Brasile, come è noto, c’era qualcosa di simile qualche mese fa a Rio Grande do Sul. E non consta che ci sia stata alcuna censura canonica contro i responsabili di tale sacrilegio. In effetti, sarebbe ingenuo aspettarsi una punizione, o anche solo un monito, poiché lo stesso vescovo di Roma, durante una visita in una chiesa evangelica della Città Eterna, ha difeso in maniera sottile l’intercomunione; anzi, nella stessa occasione ha dichiarato che nel nord dell’Argentina, in un territorio di missione presso gli indigeni, quando non ci sono ministri, cattolici e protestanti si alternano nel servizio religioso delle Domeniche; Il tutto con l’approvazione della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Tuttavia, è necessario riconoscere che la riforma liturgica è stata a suo modo un successo assoluto, se si considera il fine che ci si pose nel realizzarla. Infatti, Paolo VI disse all’amico Jean Guitton che era suo desiderio di riformare la liturgia cattolica purgandola di tutti gli elementi, le preghiere e i segni che non erano graditi ai protestanti. Detto e fatto. Ad esempio, le preghiere dell’offertorio della Messa, che Lutero considerava abominevoli, sono state rimosse e sostituite da un’orazione di presentazione delle offerte (“frutto della terra e del lavoro dell’uomo”, che secondo gli studiosi ha origine nella Cabala ebraica). Tutto questo senza dire che il famoso punto 7 dell’Institutio generalis del novus ordo dava una definizione protestante della Messa, definizione che poi venne ritoccata, ma non corretta, di fronte alle critiche che aveva sollevato; cosa che peraltro venne fatta solo per rassicurare i cattolici che si sentivano angosciati; e solo per neutralizzare ogni resistenza alla nuova Messa.

Considerato l’obiettivo dei suoi autori, la riforma liturgica del 1969 è stata un successo, perché subito dopo la promulgazione del nuovo Messale, ci fu una dichiarazione da parte dei protestanti secondo cui uno dei frutti della “benemerita” riforma era che i pastori evangelici potevano utilizzare il novus ordo per celebrare la “cena del Signore”.

È noto che una delle ragioni addotte a difesa della riforma liturgica fu la presunta necessità di adattare i sacri riti alla mentalità moderna. E’ qui che si trova il sofisma. Nessuno contesta che il rito della Messa abbia avuto nei secoli uno sviluppo organico. Mentre sorgevano errori ed eresie, la Chiesa le debellava per mezzo della liturgia, che esprimeva la verità impugnata dagli innovatori. E’ palese che con la riforma di Paolo VI è avvenuto esattamente il contrario: si realizzò una riforma per incorporare le novità eterodosse nella vita della Chiesa, nella sua dottrina. Una riforma fatta per compiacere i protestanti, come Paolo VI confidò all’amico Guitton.

Nel XIX secolo, padre Rocca, prete apostata e satanista, probabilmente affiliato ad una setta massonica, dichiarò:
“Credo che il culto divino, com’è regolato dalla liturgia, dal cerimoniale, dal rituale e dai precetti della Chiesa romana, subirà presto, in un concilio ecumenico, una trasformazione che, pur restituendogli la venerabile semplicità dell’età dell’oro apostolica, lo armonizzerà con il nuovo stato di coscienza e con la civiltà moderna”.
Quello che vuole costruire il cristianesimo non è un edificio di culto, è un culto universale dove saranno inclusi tutti i culti”.

Trascorsi 50 anni dalla riforma liturgica di Paolo VI, molte cose sono cambiate nella Chiesa e nel mondo.

Per il bene della Chiesa e delle anime, Dio si serve delle cause seconde. Egli ha permesso che due Suoi buoni e fedeli servitori come Mons. Lefebvre e Mons. Mayer fossero colpiti da una scomunica emessa da un papa che, probabilmente, è morto angustiato per l’ingiustizia che aveva commesso. Tutto questo, certamente, ebbe un peso enorme perché Benedetto XVI pubblicasse il motu proprio che, nonostante quell’espressione inaccettabile di “ forma straordinaria del rito romano” ha finito con l’incoraggiare molti sacerdoti ad abbracciare il rito romano di sempre. Con tale documento, Benedetto XVI fu obbligato a riconoscere, anche se implicitamente, che Paolo VI, proibendo l’uso del Messale detto di San Pio V, aveva commesso un abuso di potere e aveva perseguitato i cattolici che volevano seguirlo.
E oggi, più recentemente, Francesco ha soppresso la Commissione Ecclesia Dei. Essa nacque dal motu proprio Ecclesia Dei adflicta che conteneva l’iniqua condanna contro Mons. Lefebvre, ed aveva lo scopo di lavorare per promuovere il sincretismo tra il rito tradizionale e il rito moderno della Chiesa ecumenica.
Da questo grande disastro che ha colpito la Chiesa, verrà fuori qualcosa di buono; e uno di questi possibili beni è forse l’approfondimento della teologia cattolica sul magistero della Chiesa, come, ad esempio, tutta la questione dell’infallibilità pontificia relativa alle leggi universali della Chiesa.

Passati 50 anni dalla riforma liturgica di Paolo VI, la mentalità moderna e mondana che Montini accarezzava ha invaso la Chiesa e l’ha molto mutata. Il femminismo, per esempio, è cresciuto anche all’interno della Chiesa, come dimostrano le candidate al diaconato. Le donne vogliono “presiedere l’Eucarestia”, come s’è visto in un recente documento della Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB) in preparazione del nuovo Sinodo sull’Amazzonia, che confermerà la novità.
E Francesco predicando la diversità e il pluralismo religioso, sulle orme del suo illustre predecessore Giovanni Paolo II che inaugurò lo spirito di Assisi, mette in essere le parole del prete apostata Roca e ci conferma la chiaroveggenza di Mons. Henri de Lassus nella sua opera La congiura anticristiana.

E tuttavia, non prevalebunt.


Anápolis, 13 febbraio 2019










La Cappella





marzo 2019
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