Editoriale del numero di maggio del
Seignadou
bollettino della scuola Saint-Joseph-des-Carmes
a Montréal de l'Aude, nel sud della Francia


sui rapporti fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X

Pubblicato su DICI

i neretti sono nostri


Don Michele Simoulin, cappellano della comunità di Fanjeoux, firma questo editoriale del Seignadou (Segno di Dio). Egli è stato a fianco di Mons. Ducaud-Bourget a Saint-Nicolas du Chardonnet dal 1980 al 1983, Rettore dell’Istituto Universitario San Pio X, Direttore del Seminario di Ecône dal 1988 al 1996, Priore di Lione, Superiore del Distretto d’Italia della Fraternità San Pio X.


Io non so a che punto sarà la situazione al momento della pubblicazione di questo Seignadou, ma penso che non sia inutile riflettere insieme sugli attuali avvenimenti. Non parlo di questa mascherata «repubblicana» che ci stordisce, ma delle nostre relazioni con Roma. Qualcuno mi ha fatto avere di recente un testo arricchito di questo interrogativo: «Quando ritorneremo ai fondamentali della Fraternità? Quando avremo l’umiltà di rispettare l’eredità del suo fondatore?». Io credo di conoscere un po’ la Fraternità – di cui sono membro da 35 anni – e di avere dunque il diritto di ricordare a tutti che i nostri «fondamentali» sono incisi a lettere d’oro nei nostri statuti: «Lo scopo della Fraternità è il sacerdozio e tutto ciò che vi si riferisce e solo quello che attiene ad esso, cioè come Nostro Signore Gesù Cristo l’ha voluto quando ha detto: Fate questo in memoria di me
Questa è l’eredità del nostro fondatore, questi sono i nostri «fondamentali»; non ne abbiamo altri e non vogliamo averne altri.
La Fraternità non è un’armata raccolta contro Roma, ma un esercito formato per la Chiesa.
In seguito egli fa allusione al rifiuto di Mons. Lefebvre di proseguire sulla via di un accordo nel 1988. E mi cita Mons. Lefebvre: «Col protocollo del 5 maggio [1988] ben presto saremmo morti. Non saremmo durati un anno…» … tutto questo, certamente, per metterci in guardia e invitarci a rifiutare ogni offerta romana, cosa che dovremmo fare «sotto pena di morte».
Un’altra voce mi giunge anche: «A Roma accadono delle cose gravi, molto gravi… ma non posso dirvi di più!» Così, eccomi a buon punto!

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Allora, cerchiamo di ragionare. Per farlo, sarà bene ricordare un po’ gli avvenimenti del 1988.
Dopo aver firmato un protocollo d’accordo il 5 maggio (che non era ancora un accordo, ma quantomeno era un testo molto imperfetto e anche pericoloso, che non ha fatto dormire in pace Mons. Lefebvre), Monsignore scrisse il mattino del 6 maggio una lettera al Card. Ratzinger, non per ritirare la sua firma («Ieri è con vera soddisfazione che ho apposto la mia firma sul protocollo elaborato nei giorni precedenti. Ma lei stesso ha constatato una profonda delusione alla lettura della lettera che mi ha consegnato e recante la risposta del Santo Padre a proposito della consacrazione episcopale»), ma per chiedere immediatamente che questa consacrazione avesse luogo il 30 giugno, allo scopo di essere certo di avere un vescovo per continuare la sua opera. Questa lettera del 6 maggio tratta interamente ed unicamente di questo solo argomento: «Se la risposta fosse negativa, io mi vedrei costretto, in coscienza, a procedere alla consacrazione, appoggiandomi sull’approvazione espressa dalla Santa Sede nel protocollo circa la consacrazione di un vescovo membro della Fraternità». Quindi non per una questione dottrinale, né a causa dello statuto offerto alla Fraternità, ma a causa della data concessa per la consacrazione che si arrestò il processo. Ed è da notare che la rottura delle relazioni venne decisa allora, non da Mons. Lefebvre, ma dal Cardinale Ratzinger che rifiutò la consacrazione episcopale per il 30 giugno.

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Se effettivamente Mons. Lefebvre avesse accettato che al protocollo del 5 maggio non fosse seguita questa consacrazione episcopale, allora si che «col protocollo del 5 maggio ben presto saremmo morti. Non saremmo durati un anno…», poiché senza vescovo noi ci saremmo consegnati alla buona (o cattiva) volontà di Roma e dei vescovi.

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Dopo il nostro giubileo del 2000, Roma ha preso l’iniziativa di nuove relazioni. Oggi, lo stesso cardinale divenuto Papa ci ha detto che la Messa tridentina non era mai stata abrogata (7 luglio 2007: «è dunque permesso celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale romano promulgato dal beato Giovanni XXII nel 1962 e mai abrogato»); egli ha riabilitato i nostri quattro vescovi (21 gennaio 2009); ha accettato che svolgessimo dei colloqui dottrinali per due anni… tutte cose che Mons. Lefebvre non esigeva nel 1988. Non è esagerato dire che Mons. Fellay ha ottenuto più di quello che chiedeva Mons. Lefebvre, senza tuttavia averne il prestigio né l’autorità morale. Allora, dobbiamo essere ancora più esigenti di Mons. Lefebvre e di Mons. Fellay?
Checché ne sia dello stato di Roma, di tutto quello che ancora resta di inquietante a Roma, il semplice buon senso e l’onestà dovrebbero portarci a considerare la situazione attuale con un occhio diverso da quello del 1988! Per riprendere la formula di uno dei nostri vescovi, non bisogna gare dell’«ottantottismo»! Non siamo più né nel 1975 con Paolo VI, né nel 1988 con Giovanni Paolo II, ma nel 2012 con Benedetto XVI. Mi si dica pure che lo stato della Chiesa è ancora molto preoccupante, che il nostro Papa ha una teologia talvolta strana, ecc… l’abbiamo detto e ripetuto, mi sembra; ma non mi si dica che lo stato delle cose è lo stesso del 1988, perfino peggio. Questo è contrario alla realtà e alla verità, e può trattarsi solo dell’effetto di un rifiuto più o meno segreto di ogni conciliazione con Roma, forse perfino di una mancanza di fede nella santità della Chiesa, composta da poveri peccatori, ma sempre governata dal suo capo Gesù Cristo e santificata dallo Spirito Santo. La Fraternità San Pio X non è la Chiesa ed essa può «rispettare l’eredità del suo fondatore» solo conservando il suo spirito, il suo amore per la Chiesa e il suo desiderio di servirla come figlio amorevole, nella fedeltà alle sue benedizioni fondatrici.

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Io non so se tutti si rendono conto del peso di questa decisione che spetta solo a Mons. Fellay, decisione che gli hanno affidato nuovamente i nostri Superiori ad Albano nell’ottobre scorso, decisione maturata con i suoi Assistenti: cos’è che la Chiesa si aspetta dalla Fraternità nel 2012? Come deve rispondere la Fraternità ai «bisogni» attuali della Chiesa?
Questo richiede una virtù di prudenza altamente soprannaturale, ad un grado al quale nessuno di noi ha la grazia di pervenire, poiché non attiene alle nostre competenze o alle nostra responsabilità. Solo Mons. Fellay e i suoi Assistenti, avendo per definizione la totalità delle carte in mano, possono giudicare nella maniera più giusta la situazione attuale. Piuttosto, la questione che ognuno deve porsi è quella della nostra benevolenza verso l’autorità e soprattutto della nostra fiducia in essa. Sono dodici anni che Mons. Fellay discute con Roma, con degli alti e dei bassi, per giungere finalmente ai risultati sopra citati, e perfino a seguenti risultati sorprendenti, che nessuno ha notato: questi colloqui dottrinali che non hanno generato clamore pubblico e che ci hanno permesso di dire a Roma ciò che pensiamo… al punto di farli finire a niente!
E tuttavia, cosa non si è sentito a proposito del silenzio dei Superiori intorno a queste discussioni e ai documenti scambiati in questi ultimi mesi e alla loro grande discrezione per rispetto di Roma e del Santo Padre, interpretate come una forma di dissimulazione, cioè di un principio di compromesso. Come si può dubitare della dirittura dei nostri Superiori in maniera così gratuita e arbitraria?

Nessuno conosce ancora la conclusione che Benedetto XVI vorrà dare a questi dodici anni di lento lavoro, di ricerca di una migliore comprensione, di preghiere e di rosari accumulati. È dunque l’ora della preghiera, come ci ha invitato a fare Mons. Fellay, e della fiducia nella Chiesa. La Vergine Immacolata che onoreremo in modo particolare in questo mese di maggio, saprà ottenerci tutte le grazie necessarie se solo noi vorremo nient’altro che la vittoria di suo Figlio e della Chiesa.





maggio 2012

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