Il peccato più grave
della contro-chiesa modernista

di Francesco Lamendola


Articolo pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia









La contro-chiesa modernista ha oscurato la vera Chiesa di Cristo, occupandone quasi tutti gli spazi visibili, in particolare le Conferenze episcopali, il collegio cardinalizio, i vertici degli ordini religiosi, i direttori della stampa e delle televisioni, e, da ultimo, perfino il soglio pontificio. Lo ha fatto in maniera silenziosa, astuta, metodica e prudente, almeno nella fase iniziale, diciamo dal conclave del 1958 a quello del 2013; a ritmo frenetico e senza più curarsi di nascondere le sue vere intenzioni, negli ultimi sei anni, cioè da quando la mafia di San Gallo, espressione diretta della massoneria ecclesiastica, ha portato al pontificato il signore argentino, con l’esplicito mandato di distruggere quel che ancora restava della ortodossia cattolica.
E siccome gli uomini della contro-chiesa hanno occupato tutti gli spazi, tutti i pulpiti, tutti i microfoni e tutti i giornali, non c’è verso di udire altra voce che la loro; e se, per miracolo, filtra qualche voce di dissenso, qualche parola che rappresenta lo sgomento dei veri cattolici davanti a tanta desolazione, essi s’incaricano di calunniarla, disprezzarla, minimizzarla, stravolgerla, in modo che chi ha osato pronunciare quelle parole venga bollato come un nemico della Chiesa, oltre che, naturalmente, come un nemico dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, della pace e di chissà di che altro.




Il peccato gravissimo, umanamente imperdonabile, che bisogna addebitare ai falsi preti della contro-chiesa modernista: è l’aver seminato e diffuso l’idea che tutti gli istinti sono buoni, proprio perché la natura umana sarebbe di per sé innocente: come se il destino umano si compisse quaggiù!


Padroni assoluti dei mezzi di comunicazione, oltre che dei vertici della Chiesa visibile, da essi usurpata, quei signori sono anche padroni del linguaggio: creano le parole o ne piegano il vero significato per contrabbandare, nel giardino della fede cattolica, le erbe velenose e i serpenti dell’eresia e della apostasia.
Aggiornamento pastorale? Un cavallo di Troia per stravolgere l’insegnamento della vera Chiesa. Approfondimento della fede perenne? Un cavallo di Troia per storicizzare il Magistero, cioè per togliere la perennità all’insegnamento della Chiesa. Misericordia verso i peccatori? Un cavallo di Troia per sdoganare il peccato in se stesso, e per suggerire perfidamente l’idea che chi condanna il peccato odia anche il peccatore. E così via.
La falsificazione del linguaggio si accompagna alla falsificazione e allo stravolgimento della liturgia. Da quando, nel 1969, è stata introdotta la nuova Messa, la Messa di Paolo VI, eliminando l’antica - con un gesto di per sé rivoluzionario, che mai alcun papa aveva osato compiere; infatti la cosiddetta Messa di Pio V non era di Pio V, nel senso che Pio V si era limitato a codificare e definire una forma liturgica già in uso ed estremamente antica – l’atmosfera, nelle chiese, non è più quella di prima: si è volatilizzata la trascendenza, la stessa spiritualità è diventata un optional, a discrezione del singolo sacerdote. Il tutto in un contesto di architettura, pittura e scultura “sacre” che di sacro hanno poco o niente, e con l’ausilio di una musica “sacra” che è semmai musica profana, quando non ci scappa il parroco o il vescovo con la chitarra che intonano canzonette d’amore, o il balletto davanti all’altare, magari da parte di gruppi etnici o di religiosi in vena di scaricare la loro adrenalina, e con la partecipazione dei fedeli bramosi di sfogare tutto il loro narcisismo e il loro esibizionismo.

La desacralizzazione del sacro e la profanazione delle chiese parte da lì, dalla riforma liturgica culminata nella nuova Messa del 1969; è da lì che bisogna partire se si vuol capire come sia stato possibile che, oggi, la Comunità di Sant’Egidio trasformi la basilica di Santa Maria in Trastevere in una mensa popolare, o l’arcivescovo di Napoli trasformi il duomo partenopeo in una pizzeria, facendosi lui stesso pizzaiolo e cameriere. Ed è da lì che bisogna partire per capire le confessioni comunitarie, coi fedeli che si “confessano” in blocco davanti al sacerdote, senza bisogno di confessare ciascuno i suoi peccati; e il brutto spettacolo dei fedeli, suore comprese, che reclamano la Comunione in mano e piantano una grana se il sacerdote vorrebbe porgerla loro sulla lingua, perché non sono stati rispettati i loro diritti sindacali; per non parlare della profanazione della santa Eucarestia da parte di divorziati e risposati d’ambo i sessi, i quali, forti di quello sciagurato documento che è Amoris laetitia, §§ 304 e 305, nonché della solidarietà di preti modernisti e vescovi massoni, non si fanno alcun problema a ricevere il Corpo di Cristo pur vivendo oggettivamente e pubblicamente in stato di peccato mortale.




La desacralizzazione del sacro e la profanazione delle chiese parte da lì, dalla riforma liturgica culminata nella nuova Messa del 1969!


Tutte queste cose, e moltissime altre, sono ormai divenute pressoché normali, se “normale” indica una cosa estremamente frequente e quasi abituale; e tutte indicano come la strategia – perché di una strategia ben precisa si è trattato, e non di circostanze spontanee – sia stata quella di partire dalla cosiddetta riforma liturgica per modificare, con la scusa dell’aggiornamento, la pastorale, e infine per sostituire alla vera dottrina e alla vera morale cattoliche una dottrina e una morale che di cattolico non hanno più nulla, se non - abusivamente – il nome. Per esempio, ormai è divenuto normale, sempre nel senso sopra indicato, che nelle chiese si tengano delle veglie di preghiera contro l’omofobia, ossia contro i buoni cattolici che hanno il torto di ricordare l’autentico Magistero e l’autentico catechismo riguardo alla pratica omosessuale: sicché si direbbe che il vero peccato, per la contro-chiesa, non sia la sodomia, ma la condanna della sodomia.




Dei ballerini indu’ in esibizione artistica: la Chiesa di Cristo è diventata, oggi la casa di tutte le altre confessioni . . .  tranne che dei Cattolici !



E tuttavia, c’è un peccato ancor più grave di tutti questi peccati, e che, in un certo senso, li compendia, li prepara, li spiega e li giustifica; ed è di questo peccato che vogliamo parlare, e indicarlo all’attenzione di quanti hanno ancora a cuore il destino della vera Chiesa di Cristo, oscurata e sfigurata dalla contro-chiesa del signor Bergoglio e dei suoi servitori e camerlenghi.
Si tratta dell’aver eliminato la differenza morale che esiste, nella vera concezione cattolica, fra la vita di fede e la vita del mondo. Il cristiano - si sa - è, dal punto di vista materiale, anche un cittadino del mondo; ma dal punto di vista spirituale, è un membro della Chiesa e perciò, automaticamente, un miles Christi, un soldato di Cristo. Le sue armi sono la preghiera e i Sacramenti; la sua battaglia, quella per il Regno di Dio; il suo nemico, il diavolo e specialmente le sue strategie di peccato. Il cristiano ha una doppia cittadinanza: ma è la cittadinanza celeste che lo caratterizza, e che, da quando egli ha ricevuto il Battesimo, ne fa un eletto, un chiamato; la cittadinanza terrena vale quello che vale: un certo numero di anni, dopo di che bisogna lasciar tutte le cose umane e ritornare alla terra, perché polvere siamo ed in polvere ritorneremo.
Tale gerarchia fra le due cittadinanze, con la chiara superiorità della cittadinanza celeste, soprannaturale, rispetto a quella terrena e naturale, era esplicita e fortemente sentita fino al tempo dello sciagurato Concilio Vaticano II. La Chiesa, il clero, il Magistero, il catechismo, e anche le buone famiglie cattoliche, anzi queste con non minore autorevolezza del clero, facevano in modo che il bambino crescesse con la chiara percezione che esiste una distinzione fra le due cose, fra la cittadinanza terrena e quella ultraterrena, e che non perdesse mai di vista la prima; non si dimenticasse mai che l’obiettivo è restar fedeli alla prima, non alla seconda.
I piaceri terreni passano, subentra la delusione, subentra l’amarezza, e infine subentra la morte; ma la beatitudine dell’anima che è in grazia di Dio non passa, non invecchia, non diviene mai obsoleta; e vi è una differenza di grado, ma non di segno, fra la beatitudine terrena e quella ultraterrena, perché chi vive in grazia di Dio è già, in un certo senso, in Paradiso, anche quaggiù, in questa valle di lacrime, in questo pellegrinaggio terreno, cosparso di pene e di difficoltà.
Non si trattava e non si tratta di una doppia morale: la morale è una, ed è quella cristiana; si tratta, se vogliamo, di una psicologia articolata, perché il buon cattolico sa godere, in maniera lecita e responsabile, delle cose terrene, e anche delle legittime gioie terrene, ma non ne abusa, non se ne fa prendere la mano, non ne diventa schiavo, non si scorda mai di quel è il vero fine della sua vita: tornare a Dio, e tornarci con l’anima pulita. Perciò il vero fedele ha, in se stesso, una nobile e costante tensione interiore, che lo aiuta a superare le tentazioni che continuamente la vita profana gli presenta, e di cui è scellerata maestra la civiltà moderna.
Il vero cristiano si riconosce proprio da ciò: dal fatto che qualsiasi cosa faccia o dica, mai si scorge in lui l’avidità delle cose, la brama del possesso, la sregolatezza dei sensi; mai lo si vede dimentico della vera meta della vita umana; mai lo si vede schiavo delle logiche del mondo, dominate dalla sensualità, dall’ambizione, dall’avidità e dalla superbia. Ebbene la Chiesa pre-conciliare, fedele alla sua missione due volte millenaria, questa tensione spirituale e morale la teneva costantemente viva, partendo dall’educazione dei fanciulli nella più tenera età; e i genitori, ripetiamo, insieme ai nonni e agli altri parenti, cooperavano con il clero nell’indirizzare il bambino verso un tale orientamento di vita, in cui l’importante è conoscere, amare e servire Dio, disprezzare i piaceri inferiori e puntare alla realizzazione spirituale della propria persona, illuminata dall’insegnamento e dall’esempio di Cristo, e sostenuta dalla costante fede nelle Sue promesse e nella Sua redenzione. Ma adesso?




Vescovi canterini: qui mons. Antonio Stagliano’

Già: le tentazioni. È una delle parole cadute dal linguaggio dei cattolici, passate completamente di moda; chi la usasse, verrebbe subito identificato come un “tradizionalista”, espressione spregiativa con la quale i modernisti bollano i veri cattolici, quelli che hanno scoperto l’inganno e vogliono rimaner tali, a dispetto della contro-chiesa bergogliana.
Come è passata di moda, e peggio, l’espressione false religioni: è un’espressione teologicamente ineccepibile – di religione vera non può essercene che una, ed è quella cattolica – ma guai a pronunciarla, per carità! Equivarrebbe a offendere mortalmente gli ebrei, i musulmani, i buddisti e tutti gli altri; e, quel che più conta, a offendere tutto questo falso clero modernista e questi pessimi teologi rahneriani, il cui scopo è far dimenticare ai cattolici di esser stati cattolici, e perfino la nozione di cosa sia il cattolicesimo, per dar loro una nuova e falsa coscienza di ciò che è cattolico di nome, modernista, eretico e massonico nei fatti.
Ad ogni modo, la contro-chiesa ha fatto sparire un po’ alla volta il concetto della “tentazione” per poter far sparire, un po’ alla volta, il concetto di peccato. Bisognava far passare un’altra filosofia, quella di Rousseau, nonché della massoneria: cioè che la natura umana è buona, innocente, sgombra di peccato; che il male vi entra dall’esterno, ed è il cattivo influsso della società: dunque, che gli istinti sono buoni, che la sensualità è tutta buona, che la morale è, in grandissima parte, una perfida gabbia di costrizione, uno strumento di tortura inventato dai preti per mortificare i piaceri della vita e per rendere gli uomini più tristi, più frustrati, più repressi, e quindi più facilmente manipolabili da parte di un clero avido e astuto. Sta di fatto che di tentazioni non si sente più parlare, nemmeno in chiesa, nemmeno nelle omelie domenicali. Logico: come potrebbero parlarne i preti di fronte ai fedeli, e alle fedeli, succintamente vestiti, specie d’estate, con la maggior porzione di epidermide in vista, appena, appena compatibilmente col luogo e la circostanza, e non di rado anche oltre tale compatibilità?
Ma che succede, poi, se, al momento della santa Eucarestia, un prete osa rifiutare la particola a una donna seminuda, con il ventre scoperto e il seno in bella vista? Ecco la saggezza dei nostri padri e dei nostri avi: ecco la saggezza dei capelli femminili coperti con un velo: per insegnare alle donne, e indirettamente agli uomini, la modestia, e ricordar loro che in chiesa si va per lodare Iddio e non per esibire il proprio corpo.
Nella loro saggezza, i nostro nonni e i santi sacerdoti di prima del Concilio sapevano che, se si concede un dito al gusto della seduzione, cioè della tentazione, si finisce per perdere la mano, il braccio e tutto il resto. Certo, è possibile che molti di quei sacerdoti abbiano esagerato, cioè che abbiano insegnato, fin dal catechismo, una sorta di avversione per il sesso, e specialmente per il corpo femminile: è una colpa reale che certamente alcuni di loro hanno commesso (e ora i preti delle nostre generazione ne stanno pagando il prezzo, in termini di cedimento a un vizio ben peggiore, la sodomia, vista, chissà, come un correttivo alla tentazione esercitata dal corpo femminile). 
Ma il fatto che vi siano stati degli eccessi non significa che il principio non fosse giusto: e cioè che il cristiano ha bisogno di paletti, di linee ben marcate di confine fra ciò che è lecito e buono e ciò che non lo è; e che bisogna rinfrescar continuamente a memoria dei credenti su tale linea di confine, perché la natura umana, con buona pace di Rousseau e di tutti i Gran Maestri massoni, non è buona e innocente in se stessa, al contrario è maliziosa e tende al peccato, fin dalla più tenera infanzia: bisogna perciò sorvegliarla, instradarla e anche correggerla, se necessario.
Da quando questi sani principi sono stati abbandonati, vi è stata una vertiginosa deriva nella condotta morale, specie da parte dei giovanissimi, per cui è normale aver avuto il primo rapporto sessuale completo a dodici, tredici anni: e in questo non vi è più alcuna differenza fra bambini e bambine di famiglie cattoliche, e no.




. . .  e vescovi pizzaioli: qui mons. Crescenzo Sepe.


Né si creda che stiamo parlando solo della morale sessuale e delle tentazioni sessuali. Questo è solo un aspetto, per quanto importante, della generale deriva permissivista e relativista che caratterizza la società odierna in tutti gli ambiti della vita individuale e collettiva. Ebbene, il peccato gravissimo, umanamente imperdonabile, che bisogna addebitare ai falsi preti della contro-chiesa modernista, è proprio questo: aver seminato e diffuso l’idea che tutti gli istinti sono buoni proprio perché la natura umana sarebbe di per sé innocente; aver proibito proibire, proibito condannare, proibito correggere; essersi fatti più laicisti della stessa società laica, dando l’esempio d’un modo di porsi di fronte alla vita che non ha più nulla di spirituale, non diciamo di ascetico, e nulla di trascendente, ma che è tutto e solo terreno: come se il destino umano si compisse quaggiù, in questa povera carne peritura...






marzo 2019
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