TRENTA RIGHE FUORI MODA


Figli di un cialtrone minore 

di Alessandro Gnocchi



Pubblicato giovedì 28 marzo 2019 sul sito Riscossa Cristiana
 
I neretti sono nostri






Vivo nella profonda provincia bergamasca, a due passi da Sotto il Monte Giovanni XXIII. Nessuno è perfetto, ma il punto non è questo. Il fatto è che, arrivato alla soglia dei sessant’anni, un povero cristiano può permettersi legittimamente di praticare il passatempo che tanti cattolici tradizionalisti si concedono seriosamente già da ventenni, ricordare i bei tempi passati. Appunto tali ricordi mi sono stati di aiuto in questo periodo per osservare attraverso una lente privilegiata lo sfascio in cui sguazza con irrimediabile entusiasmo il mondo cattolico.

Ma non sono belli i tempi passati a cui mi riferisco io. Non intendo parlare del quasi compaesano Angelo Giuseppe Roncalli. Mi riferisco al tarlo che per decenni, tanti da mettere insieme più di un secolo, ha logorato il tessuto di una fede che tutti pensavano ben custodita nelle cosiddette terre bianche come la mia. Ci ho pensato osservando un po’ irritato e un po’ immalinconito la difesa d’ufficio di Roberto Formigoni che ha compattato larghi settori del  fronte catto-cons & catto-trad attorno a un argomento che sarebbe ridicolo se non fosse tragico: il vero capo di imputazione di Formigoni, non dichiarato in tribunale, è la sua fede cattolica, dunque difendiamo Formigoni per difendere la fede.

La vicenda dell’ex governatore della Lombardia, il quale a mio avviso sta bene dove sta, per quanto che mi riguarda finisce qui. Torno dunque alla mia giovinezza in terra bergamasca e bianca perché proprio lì ho trovato il bandolo della matassa che arriva fino al carcere di Bollate e promette di andare anche molto più in là.

Bisogna sapere che il mio paese, come tutti quelli del circondario, era governato dal parroco e dal sindaco democristiano attraverso un piccolo esercito di betòneghe. Perdonate il vezzo dialettale, ma non c’è termine migliore per descrivere quelle donne, ma anche quegli uomini, votati al controllo della moralità altrui in conto terzi.

Il vangelo diffuso da questa piccola falange bianca era riassunto in un versetto che fatalmente mescolava fede e politica e, sempre in dialetto, diceva: “Crus sö crus se sbaglia mai”. Croce su croce non si sbaglia mai, era un mantra diffuso e meditato senza soluzione di continuità da un’elezione all’altra e costituiva il vero sostrato civile e religioso del paese. Non a caso, dico “civile” prima di “religioso”, perché il clericalismo aveva ormai spietatamente relegato la fede al ruolo di ancella del potere. Servetta così umile e servizievole da giustificare qualsiasi malefatta del padrone, in loco e “a Roma”.“Se i fa issé i noscc, chisà i otre…”, Se fanno così i nostri, spiegavano piamente le betòneghe a chi si lamentava di soprusi e ruberie perpetrati dai politici cattolici, chissà gli altri.

A loro modo, su ammaestramento del parroco, il quale ammaestrava anche il sindaco, applicavano una variante dello sdrucciolevole concetto di “male minore”: meglio che rubino i nostri perché rubano di meno e comunque finisce sempre qualcosa nel nostro orticello, un marciapiedi o una fognatura al paesello, un’autostrada o una ferrovia “a Roma”.

Insomma, i politici cattolici erano sì cialtroni e gaglioffi, ma cialtroni e gaglioffi minori, tollerabili e persino auspicabili prima in quanto “cattolici” e poi, fatalmente in virtù del piano inclinato maleminorista, anche in quanto cialtroni e gaglioffi: dalla processione del Corpus Domini alla delibera truffaldina, il passo è stato breve. Inesorabilmente si è giunti a separare la fede dalle opere, la religione dal comportamento nella vita civile, allo scopo di presentarsi la domenica in chiesa, inginocchiarsi nel primo banco mettendo il fazzoletto sotto le ginocchia per non sporcare i pantaloni appena stirati, fare la comunione per primi con le mani giunte e poi uscire, passare in municipio e firmare la variante del piano regolatore che decuplica il valore dei propri terreni affidati a un prestanome, naturalmente “cattolico”. Tutto impunemente.

E poi, gli eredi di quel clericalume mettono sotto accusa la “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica. Ma chi, se non quel clericalume, aveva scelto per primo di separare la fede dalla vita sociale? L’Azione Cattolica, non ha fatto che virare a sinistra ciò che il clericalume faceva a destra. Non a caso il clericalume al gran completo aveva in tasca la tessera di AC e si recava disciplinatamente a tutte le adunanze della domenica predicate dal parroco. Prima per combattere il comunismo, che avrebbe portato via potere e affari, poi a braccetto con il comunismo, con il quale spartire potere e affari. Tanto “a Roma”, che dettava la linea, de quanto al paesello.

Non c’è proprio da stupirsi del caso Formigoni e neppure del compattarsi in sua difesa delle betòneghe dei giorni nostri. La tragedia di quei cattolici che pretendono di essere dichiarati onesti per il semplice fatto di essere cattolici si è ormai compiuta definitivamente mandando in frantumi le virtù della fede e le virtù civili. Hanno fatto persino l’impossibile per non permettere alla fede di giudicare le loro opere e ora pretendono che sia proprio la fede a salvarle. Hanno separato ciò che Dio aveva unito e ora pretendono di rimettere insiemi i cocci, ma il tempo è scaduto. Distrutta la fede, le opere vivono di vita propria e bisogna avere il coraggio e l’onestà di accettare che vengano giudicate per quello che sono. Ciò che, del resto, si faceva anche quando la fede stava al posto che le compete, perché “settimo non rubare” è un comandamento divino e sono stati i clericali ad aggiungere “ottavo farla franca”.

Allo stesso modo, il bel tempo clericale che tanti rimpiangono solo perché si era “prima del Concilio”, ha devastato tutti gli altri comandamenti. Quanti difensori della famiglia e della pubblica moralità si presentavano la domenica alla Messa alta con la moglie al braccio dopo essere stati il sabato sera al casino o con l’amante, o magari dopo aver fatto abortire la minorenne che avevano messo incinta. Ma, “se facevano così i nostri, chissà gli altri…”. Tutti lo sapevano, ma non si poteva dire. Anche i “peccati contro il sesto”, come tutti gli altri, erano a gravità variabile a seconda del peccatore. Con il risultato che, se si guardano le firme in calce alle leggi sul divorzio e sull’aborto, c’è da rabbrividire. E non è ancora finita.

Bisogna avere il coraggio di dire che non esistono cialtroni e gaglioffi minori perché portano l’etichetta di “cattolici”. Non è vero che ai “cattolici” si debba chiedere meno di quanto si chiede agli altri. Forse è giunto il momento in cui ai cattolici, senza virgolette, si torni a chiedere di più.

 



marzo 2019
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