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Intervista del Card. Robert Sarah 27 marzo 2019 ![]() Il sito francese Valeurs Actuelles
ha pubblicato un'intervista con il Card. Robert Sarah, condotta a
partire dal suo libro appena pubblicato in Francia “Le Soir approche et déjà le
jour baisse” (“si fa sera e il
giorno gia volge al declino” - Lc.
24,29). Il Cardinale ha ricevuto a Roma, presso la Congregazione per il
Culto Divino, di cui è Prefetto, il giornalista che ha condotto
l'intervista, Laurent Dandrieu, il 27 marzo 2019.
![]() L'intervista è stata tradotta in italiano dal sito Breviarium, da cui l'abbiano ripresa. I neretti nel testo delle
risposte sono nostri
Introduzione di Breviarium Astenersi amanti dei peli sulla lingua. Se i libri dei prelati cattolici suscitano spesso un senso di noia per il loro tepore da tisana, Le Soir approche et déjà le jour baisse, il nuovo libro contenente le conversazioni del cardinal Robert Sarah con Nicolas Diat, a confronto è un superalcoolico. Ricordando come un mondo che dimentica Dio vada a perdersi, ripudiando insieme la “barbarie materialistica” e la “barbarie islamista”, esortando la Chiesa a rimettere Cristo al centro, denunciando il patto di Marrakech sostenuto dal Vaticano o mettendo in guardia contro l’ordinazione di uomini sposati che alcuni vorrebbero sperimentare in occasione del prossimo sinodo sull’Amazzonia, il cardinal Sarah invita a una vera resistenza spirituale, ricordando che solo Cristo è la Speranza del mondo. Testo dell'intervista
Perché scegliere un titolo così cupo, correndo il rischio di spaventare il lettore? Questo libro è anzitutto
un invito alla lucidità e a guardare lontano. La Chiesa
attraversa una grande crisi. I venti sono di rara violenza. Rare sono
le giornate senza scandali, veri o presunti. I fedeli hanno dunque
ragione di interrogarsi. Per loro ho voluto questo libro. Spero che
possano uscire da questa lettura con la gioia che dà il Cristo:
«Resta con noi, Signore: la sera si avvicina e il giorno
già volge al declino». È la risurrezione del Figlio
di Dio che dà Speranza nell’oscurità.
La scelta di questo versetto tratto dal Vangelo dei pellegrini di Emmaus è per lei un modo di indicare che la Chiesa non mette sufficientemente al centro Cristo e la preghiera? Io credo fermamente che la
situazione che viviamo in seno alla Chiesa assomigli punto per punto a
quella del Venerdì santo, quando gli apostoli hanno abbandonato
Cristo, quando Giuda lo tradì – perché il traditore
voleva un Cristo alla sua maniera, un Cristo preoccupato da questioni
politiche. Oggi parecchi preti e
vescovi sono letteralmente stregati da questioni politiche o sociali.
In realtà, quelle problematiche non troveranno mai risposte
fuori dall’insegnamento di Cristo. Egli ci rende più solidali,
più fraterni; finché non avremo Cristo come fratello
maggiore, «il primogenito di una moltitudine di fratelli»,
non esiste carità solida, non vera alterità. Cristo
è la sola luce del mondo. Come potrebbe la Chiesa scostarsi da
quella luce? Come potrebbe passare il suo tempo a perdersi in questioni
puramente materialistiche?
Certo, è importante essere
sensibili alle persone che versano nella sofferenza. Penso in
particolare agli uomini che lasciano il loro paese. Ma perché si
allontanano dalla loro terra? Perché delle potenze senza fede,
che hanno perduto Dio, per le quali nulla conta se non il denaro e il
potere, hanno destabilizzato le loro nazioni. Queste difficoltà
sono immense. Ma, lo ripeto, la Chiesa deve prima restituire agli
uomini la capacità di guardare verso Cristo: «Quando sarò
innalzato, attirerò tutti a me». È Cristo
crocifisso che ci insegna a pregare e a dire: «Perdonali perché
non sanno quello che fanno».
E' guardando il Figlio di Dio che la Chiesa potrà imparare a portare gli uomini verso la preghiera e a perdonare come Cristo. Questo libro vuole provare a restituire alla Chiesa il senso della sua grande missione divina. Perché ella possa portare gli uomini a Cristo, che è la Speranza. Ecco il significato del titolo del nostro libro: oggi tutto è cupo, difficile, ma quali che siano le difficoltà che noi attraversiamo c’è una sola persona che può venirci in soccorso. Bisogna che ci sia un’istituzione che conduca a questa persona: è la Chiesa. Richiamare la Chiesa alla sua vera missione: è un modo di dire che talvolta se n’è allontanata. Lei si spinge fino a denunciare i pastori che tradiscono il proprio gregge, cosa che molti cattolici fanno fatica a credere… La sua osservazione non è
peculiare del nostro tempo: guardi l’antico Testamento, che tracima di
cattivi pastori… uomini bramosi di approfittare della carne o della
lana delle loro pecore senza prendersi cura di loro! Ci sono sempre
stati tradimenti nella Chiesa. Oggi non ho paura di affermare che dei
preti, dei vescovi e anche dei cardinali hanno timore di proclamare
quel che Dio insegna e di trasmettere la dottrina della Chiesa. Hanno
paura di essere disapprovati, di essere visti come dei reazionari. E
allora dicono cose fluide, vaghe, imprecise, per sfuggire a ogni
critica, e così sposano la stupida evoluzione del mondo.
È un tradimento: se il pastore
non conduce il proprio gregge «verso le acque tranquille, verso i
prati di erba fresca» di cui parla il salmo, se non lo protegge
contro i lupi, è un pastore criminale che abbandona le sue
pecore. Se egli non insegna la fede, se si compiace
nell’attivismo invece di ricordare agli uomini che sono fatti per
pregare, egli tradisce la sua missione. Gesù dice:
«Colpirò il pastore e saranno disperse le pecore».
È proprio quel che accade oggi. Non sappiamo più dove
rivolgerci.
Nei fatti, c’è una forte
maggioranza di preti che restano fedeli alla loro missione di
insegnamento, di santificazione e di governo. Ma ce n’è anche un
piccolo numero che cede alla tentazione morbida e scellerata di
allineare la Chiesa sui valori delle attuali società
occidentali. Essi vogliono anzitutto che si dica che la Chiesa è
aperta, accogliente, attenta, moderna. Ma
la Chiesa non è fatta per ascoltare, è fatta per
insegnare: essa è Mater et magistra, madre ed educatrice. Certo, la
madre ascolta il figlio, ma anzitutto è presente per insegnare,
orientare e dirigere, perché sa meglio dei suoi bambini la
direzione de prendere. Alcuni hanno
adottato le ideologie del mondo attuale con il fallace pretesto di
aprirsi al mondo; bisognerebbe piuttosto portare il mondo ad aprirsi a
Dio, che è la fonte della nostra esistenza.
Lei parla nel libro di una crisi della teologia morale: non sarà anzitutto la tentazione di sacrificare la dottrina alla pastorale, cioè il contenuto al contenitore, e una falsa concezione della misericordia, talmente scrupolosa di mostrare la propria comprensione che dimentica di richiamare le regole della vita buona? Ogni pastorale è come una
casa: se non ci sono le fondamenta, la casa crolla. La pastorale dev’essere costruita
sull’insegnamento della Chiesa. Troppo spesso si dimentica la
dottrina per focalizzarsi solamente sulla pastorale; ma questa diventa
allora una pastorale vuota, puerile e sciocca. Non si può
sacrificare la dottrina a una pastorale che sia ridotta alla porzione
congrua della misericordia: Dio è misericordioso, ma nella sola
misura in cui noi riconosciamo di essere peccatori. Per permettere a
Dio di esercitare la sua misericordia, bisogna tornare a Lui, come il
figliol prodigo. C’è una
tendenza perversa che consiste nel falsare la pastorale, nell’opporla
alla dottrina, e nel presentare un Dio misericordioso che non esige
alcunché: ma non esiste un padre che nulla esiga dai suoi
figli! Dio, come ogni buon padre, è esigente perché nutre
a nostro riguardo delle ambizioni immense. Il Padre vuole che noi siamo
a sua immagine e somiglianza.
Lei parla di affievolimento della fede dei fedeli, cosa che Benedetto XVI chiamava un “cristianesimo borghese”, o che papa Francesco chiama “paganizzazione della vita cristiana”. I cristiani che non vogliono essere il sale della terra ma preferiscono esserne lo zucchero… non è una sfida ancora più grande delle eresie del passato? Questa specie di mollezza o di
affievolimento fa parte della cultura attuale: bisogna essere
tolleranti, rispettare le persone, evolverci con loro. Certo, abbiamo
il dovere di essere comprensivi, di camminare col passo della gente, ma
bisogna al contempo aiutarla a rinforzarsi i muscoli. Ci vogliono i muscoli, per fare alpinismo.
Le medesime qualità sono richieste per scalare la montagna di
Dio: ci vogliono i muscoli della fede, della volontà, della
speranza e dell’amore. È importante che non s’ingannino i fedeli
con una religione molle, senza esigenze, senza morale.
L’Evangelo è esigente: «Se
il tuo occhio è per te occasione di scandalo, cavalo! Se la tua
destra è per te occasione di scandalo, tagliala!».
Il nostro ruolo è proprio di portare il popolo a questa esigenza
evangelica.
Lei scrive che «l’Occidente fa esperienza della solitudine radicale e liberamente voluta dei dannati»: come parlare di Dio a persone che, come lei scrive, «non provano il bisogno di essere salvate»? Guardi Cristo: lei crede che le
persone che egli aveva davanti volessero ascoltarlo? L’opposizione a
Dio, alla Verità, esiste da sempre. In Occidente è
difficile parlare di Dio perché la molle società del
benessere crede di non aver bisogno di Lui. Ma il comfort materiale non
basta. Esiste una felicità nascosta che le persone cercano,
confusamente, senza saperlo. La Chiesa deve far scoprire all’uomo
questi bisogni interiori, queste ricchezze dell’anima che lo rendono
pienamente uomo, che lo rendono pienamente felice. Sant’Ireneo dice che
«Dio si è fatto uomo perché l’uomo divenga
Dio»; la missione della Chiesa
è guidare l’uomo in quest’ascensione verso Dio. Ma se i preti
sono impegolati nel materialismo non potranno guidare il mondo verso la
vera felicità.
Questa disaffezione riguardo alla Chiesa i responsabili cattolici hanno spesso la tendenza a caricarla sulle spalle del materialismo dilagante, delle evoluzioni della società. Non sarebbe utile che la Chiesa si interroghi anche sulle sue responsabilità, sul modo in cui ha potuto allontanare i fedeli desacralizzando la liturgia, volgendo le spalle alla pietà popolare o rendendo evanescente la predicazione? Sono convinto che la
responsabilità primaria del crollo della fede debba essere
assunta dai preti. Nei seminari e nelle università cattoliche
non abbiamo sempre insegnato la dottrina. Abbiamo insegnato quel che ci
piaceva. Il catechismo ai bambini è stato abbandonato. La
confessione è stata disprezzata. Del resto, non c’erano
più preti nei confessionali! Siamo dunque parzialmente
responsabili di questa erosione. Negli
anni Settanta e Ottanta in particolare, ogni prete a messa faceva quel
che voleva. Non c’erano due messe che si assomigliassero: ecco che cosa
ha scoraggiato tanti fedeli dal recarvisi. Papa Benedetto XVI
dice che la crisi della liturgia ha provocato la crisi della Chiesa. Lex orandi, lex credendi: come si
prega, così si crede. Se non c’è più fede la
liturgia è ridotta a uno show, a qualcosa di folkloristico, e i
fedeli se ne allontanano. Probabilmente siamo stati colpevoli di
negligenza. La desacralizzazione della liturgia ha sempre delle
conseguenze gravi. Abbiamo voluto
umanizzare la messa, renderla comprensibile, ma essa resta un mistero
che sta al di là della comprensione. Quando dico la messa,
quando do l’assoluzione, capisco le parole che dico ma il mistero che
quelle parole realizzano l’intelligenza non può comprenderlo.
Se non rendiamo giustizia a questo mistero grande non possiamo condurre
il popolo a una vera relazione con Dio. Oggi abbiamo ancora una
pastorale troppo orizzontale: come volete che la gente pensi a Dio, se
sono unicamente le questioni sociali a occupare la Chiesa?
E’ attesa in via imminente una riforma della curia romana. Nel suo libro lei si mostra piuttosto scettico su queste riforme di struttura… La vera riforma poggia sulla
nostra propria conversione. Se non cambiamo noi stessi, tutte le
riforme di struttura saranno inutili. Laici, preti, cardinali, tutti
dobbiamo tornare verso Dio. La storia ha conosciuto due riformatori:
Lutero, che ha voluto cambiare la faccia della Chiesa e che ha finito
per uscirne, e Francesco d’Assisi che ha trasformato la Chiesa vivendo
radicalmente l’Evangelo. Oggi la vera riforma è una via
radicalmente evangelica. Madre Teresa, in maniera discreta e umile, ha
riformato la Chiesa senza lesinare di proclamare davanti al mondo:
«Occupati dei poveri, ma prima di questo occupati anzitutto di
Dio». Ella sapeva per esperienza che siamo troppo poveri per
occuparci dei poveri. Finché
non siamo arricchiti dalla presenza di Dio in noi, non ci si può
occupare dei più deboli.
Si parla anche tanto di sinodalità, di collegialità. Nel suo libro lei ventila il rischio che le conferenze episcopali si contraddicano fra loro. Teme che una riforma del centralismo della Chiesa romana metta in pericolo la sua unità? Cristo ha fondato una Chiesa il
cui governo è gerarchico. Il primo responsabile della Chiesa
è il Papa. Il secondo responsabile della Chiesa locale è
il Vescovo nella sua diocesi, e non la Conferenza episcopale – la quale
è utile per confrontarsi, non per imporre una linea. Io penso
che bisogni ritrovare questa responsabilità primaria del papa e
di ogni vescovo. I grandi vescovi
della storia, Ambrogio o Agostino, non passavano il loro tempo facendo
riunioni a destra, commissioni a sinistra, viaggi in continuazione.
Bisogna che il vescovo stia col suo popolo, istruisca il suo popolo,
ami il suo popolo.
Una Conferenza episcopale non ha
autorità giuridica, né competenze proprie nel campo della
dottrina. Del resto, constato tristemente che già ci sono
contraddizioni fra le conferenze episcopali, e questa cosa non
favorisce la serenità dei cristiani. «Che siano una cosa sola»,
ha detto il Signore, perché questa unità provoca la fede.
Se noi proseguiamo in questa direzione, che consiste a menomare
l’unità dottrinale e morale, contribuiremo ad accrescere
l’incredulità.
Che cosa ha pensato del libro Sodoma? Pensa che si assista attualmente a un’offensiva generalizzata contro la figura del prete, oggetto di scandalo per una società ipersessualizzata? Non ho letto il libro. Credo
però che ci sia un progetto di distruzione della Chiesa
particolarmente strutturato, volto a decapitarne la testa – i
cardinali, i vescovi e i preti. Si accaniscono a distruggere il
sacerdozio, e in particolare a distruggere il celibato, che sarebbe
cosa impossibile e contro natura: perché se si distrugge il
celibato si sferra un colpo fatale a una delle più grandi
ricchezze della Chiesa. L’abbandono del celibato aggraverebbe ancora la
crisi della Chiesa e sminuirebbe la posizione del prete, il quale
è chiamato ad essere non solo un altro cristo, ma Cristo stesso
– povero, umile e celibe. Se scompare
il celibato, a morire è la testimonianza che Gesù ha
voluto dare.
Esiste una volontà di
indebolire la Chiesa, di modificare il suo insegnamento sulla
sessualità. Ma quando si vede la quantità enorme di preti
fedeli nel sacerdozio c’è da restare sereni e da proseguire la
nostra testimonianza di dono totale a Dio nel celibato. La
testimonianza non è compresa? È detestata? Gesù
Cristo stesso non è stato accettato, poiché è
morto sulla Croce. Gesù ci ha detto: «Se hanno perseguitato
me, perseguiteranno anche voi».
Ci sono uomini di Chiesa, alcuni
altolocati, che hanno infangato la Chiesa, sfigurato il volto di
Cristo, ma Giuda non deve portarci a rigettare tutti gli apostoli.
Queste gravi mancanze non condannano la Chiesa: al contrario, questo
mostra che Dio dà fiducia anche a persone deboli per mostrare la
potenza del suo amore per noi. Egli non affida la sua Chiesa a degli
eroi eccezionali, ma a degli uomini semplici, per mostrare che è
Lui ad agire mediante quelli.
Sulla pedofilia lei parla di un “mistero di Giuda”, precisando che quest’abominevole tradimento del sacerdozio è stato preceduto da ben altri: quali sono? Un prete che ha perduto il suo
legame con Gesù, che non prega, che non si dà il tempo di
stare con Cristo davanti al Santissimo Sacramento, è un prete
reso fragile. «Senza di me non potete
far nulla», diceva Cristo. Un prete mondano che non ha
più tempo di meditare la Parola di Dio, che salta la messa o la
celebra in modo profano, che non ha vita interiore, non può
reggere. Se si può arrivare a
comportamenti tanto gravi è perché prima ci si è
staccati da Gesù, dalla forza che ci mantiene collegati a lui. Per
non distribuire i sacramenti come un semplice funzionario, come se si
trattasse di un fenomeno umano, abbiamo bisogno di un’energia che viene
dalla nostra relazione con lo Spirito santo. E sfortunatamente molti
fra noi hanno perduto questa relazione intima con Gesù.
L’attivismo sacerdotale conduce all’autismo clericale, fonte di tutte
le derive.
Che cosa pensa della condanna del cardinale Barbarin? Lo conosco da molto tempo. Ho
grande ammirazione per lui. Mi ha accolto molto amichevolmente quando
sono venuto a Lione a presentare il mio libro La Force du silence. Non posso non
soffrire per il martirio che gli viene imposto, tanto più
perché sono persuaso della sua innocenza. Tutta la Chiesa porta
collegialmente questa sofferenza. Il Papa ha davvero avuto ragione nel
prendere la decisione di non accettare le sue dimissioni per rispettare
la presunzione d’innocenza attendendo il giudizio in appello. E il
cardinale Barbarin è stato coraggioso nel ritirarsi, partendo
per un monastero, per il bene della diocesi e per dare pace alle
vittime di questi atti abominevoli. Però sono scioccato che si
sia condannato mons. Barbarin mentre l’orribile prete che ha commesso
quei crimini inqualificabili non sia ancora stato giudicato… Sono
accanto al cardinale Barbarin nella preghiera, così come sono al
fianco delle vittime.
Molti nostri contemporanei vedono la Chiesa come un’organizzazione totalitaria, che impone un modo di vivere. Lei afferma al contrario che è la Chiesa ad essere il riparo contro il totalitarismo contemporaneo… Sono le nuove ideologie che
impongono un radicale cambiamento della morale, dell’antropologia
umana, una nuova visione della famiglia, della sessuologia, con delle
pressioni importanti, finanziarie e mediatiche. La Chiesa non impone
niente, non fa che proporre. Ma proporre l’insegnamento di Dio al mondo
è la sua missione.
Lei si spinge a respingere insieme la “barbarie islamista” e la “barbarie materialistica”, a rischio di risultare scioccante… È la mia convinzione. Sono
due demonî che hanno forse metodologie differenti ma che agiscono
nella medesima direzione. Il materialismo ci allontana radicalmente da
Dio e dall’uomo interiore. L’islamismo pure. Dio non può
ispirare la barbarie. Uccidere qualcuno perché non condivide la
fede? Far brillare una bomba in un bus e uccidere degli innocenti in
nome di Allah? È una cosa impossibile a Dio.
Ma la barbarie materialistica non ha per obiettivo programmatico la distruzione, essa pretende di condurre l’uomo alla felicità della liberazione… Dire
a un uomo “sei libero di scegliere il tuo sesso” significa
distruggerlo. È in realtà la libertà di
distruggersi. Dio solo ci rende liberi! Ai nostri giorni quante
distruzioni umane ci sono, sotto il pretesto della libertà! In
nome di questa stessa libertà vengono distrutti tanti giovani
mediante la pornografia. L’uomo si autodistrugge; Dio, da parte sua,
crea: perché l’uomo «abbia la vita e la vita in
pienezza».
Lei scrive anche che il mondo moderno distrugge aggredendo le identità. Lei al contrario difende quel radicamento che Simone Weil descriveva come il primo bisogno dell’anima umana. Questo fa di lei una voce un po’ isolata in una Chiesa che sembra talvolta divenuta un semplice satellite del partito immigrazionista… Quando sono andato in Polonia
[nell’ottobre del 2017, N.d.R.], paese che ho sovente criticato, ho
incoraggiato i fedeli ad affermare la loro identità così
come hanno fatto per secoli. Il mio messaggio è stato semplice:
voi siete anzitutto polacchi, cattolici, e solo successivamente
europei. Voi non dovete sacrificare queste due prime identità
sull’altare dell’Europa tecnocratica e senza patria. La Commissione di
Bruxelles non pensa che alla costruzione di un libero mercato al
servizio delle grandi potenze finanziarie. L’Unione europea non
protegge più i popoli, protegge le banche. Ho voluto dire di
nuovo alla Polonia la sua missione singolare nel piano di Dio. Essa
è libera di dire all’Europa che ciascuno è stato creato
da Dio per essere messo in un ben preciso posto, con la sua cultura, le
sue tradizioni e la sua storia. Questa
volontà attuale di globalizzare il mondo sopprimendo le nazioni,
le specificità, è pura follia. Il popolo giudeo ha
dovuto vivere l’esilio, ma Dio l’ha ricondotto nel suo paese. Cristo ha
dovuto fuggire Erode in Egitto, ma alla morte di Erode è tornato
nel suo paese. Ciascuno deve vivere nel suo paese. Come un albero, ciascuno ha il suo suolo,
il suo ambiente in cui può crescere perfettamente. Meglio
aiutare le persone a realizzarsi nelle loro culture piuttosto che
incoraggiarle a venire in un’Europa in piena decadenza. È una
falsa esegesi quella che utilizza la Parola di Dio per valorizzare la
migrazione. Dio non ha mai voluto questi strappi.
Lei scrive che i paesi del patto di Visegrad o l’Italia vanno nella direzione giusta, mentre tante voci nella Chiesa li condannano. Non pensa che la Chiesa ci si giochi il suo avvenire? Come si fa a evangelizzare dei popoli mentre si condanna la loro cura di restare ciò che sono? I leader politici che parlano
come me sono minoritari, al giorno d’oggi? Non lo penso. Esistono molti
paesi che vanno in questa direzione, e questo dovrebbe condurci a
riflettere. Tutti i migranti che arrivano in Europa vengono stipati,
senza lavoro, senza dignità… È questo ciò che
vuole la Chiesa? La Chiesa non
può collaborare con la nuova forma di schiavismo che è
diventata la migrazione di massa. Se l’Occidente continua per questa
via funesta esiste un grande rischio – a causa della denatalità
– che esso scompaia, invaso dagli stranieri, come Roma fu invasa dai
barbari. Parlo da africano. Il mio paese è in
maggioranza musulmano. Credo di sapere di cosa parlo.
Alcuni nella Chiesa si preparano a mettere una pietra sopra all’Europa, stilare per essa un bilancio costi-benefici. Al contrario lei scrive che la paganizzazione dell’Europa comporterebbe la paganizzazione del mondo… Dio non cambia idea. Dio ha dato
una missione all’Europa che ha accolto il cristianesimo. Poi i
missionari europei hanno portato Cristo fino ai confini del mondo. E
non è stato un caso, ma il piano di Dio. Questa missione universale che Egli ha dato
all’Europa quando Pietro e Paolo sono venuti a installarsi a Roma, a
partire dalla quale la Chiesa ha evangelizzato l’Europa e il mondo,
questa missione non è terminata. Se però siamo
noi a metterle termine sprofondando nel materialismo, nell’oblio di Dio
e nell’apostasia, allora le conseguenze saranno gravi. Se l’Europa scompare, e con essa gli
inestimabili valori del vecchio continente, l’Islam invaderà il
mondo e noi cambieremo totalmente cultura, antropologia e visione
morale.
Lei cita molto abbondantemente Benedetto XVI, quando tanta gente considera quel pontificato abortito come un fallimento. Secondo lei qual è la sua fecondità? Dio ha visto che il mondo
sprofondava in una confusione funesta. Egli sa che più nessuno
sa dove andiamo. Egli vede bene che perdiamo sempre più le
nostre identità, le nostre credenze, la nostra visione dell’uomo
e del mondo… Per prepararci a questa situazione, Dio ci ha dato dei
papi solidi: egli ci ha dato Paolo VI, che ha difeso la vita e l’amore
vero, malgrado opposizioni molto forti, con l’enciclica Humanæ vitæ; egli ci ha
dato Giovanni Paolo II, che ha lavorato al matrimonio fra la fede e la
ragione perché esse siano la luce che guida il mondo verso una
vera visione dell’uomo – la vita stessa del grande Papa polacco
è stata un Evangelo vivente. Egli ci ha dato Benedetto XVI, che
ha composto un insegnamento di una chiarezza, di una profondità
e di una precisione senza eguali. Oggi egli ci dà Francesco che
vuole letteralmente salvare l’umanesimo cristiano. Dio non
abbandonerà mai la sua Chiesa.
Ecco perché dobbiamo
restare sereni: la Chiesa non
è in crisi, siamo noi ad essere in crisi. Il suo insegnamento
resta il medesimo, la sua chiarezza resta la medesima. È
vero che Benedetto XVI non è stato compreso né accettato,
il suo passato alla Congregazione per la Dottrina della Fede l’aveva
fatto guardare come un tradizionalista, un reazionario; egli
però è rimasto calmo, sereno e umile. È stato
fondamentale per la dottrina, per la vita interiore, per l’avvenire
della Chiesa.
Rivolgendosi alla gioventù cattolica lei cita questa bellissima frase del poeta inglese T.S. Eliot: «Nel mondo dei fuggitivi, colui che prende la direzione opposta avrà l’aria di un disertore». I giovani credenti sono votati ad essere dei resistenti? Bisogna che tutti siamo dei
resistenti, che prendiamo la direzione contraria a quella del mondo
secolarizzato, cioè la strada di Cristo, l’unico salvatore del
mondo. Io incoraggio i giovani a guardare verso Cristo. Nel romanzo di
Hemingway Il vecchio e il mare,
si vede l’eroe tentare di trascinare verso il porto un grosso pesce che
ha pescato. Egli però non riesce a issarlo da solo fuori
dell’acqua; il tempo di arrivare al porto e gli squali hanno divorato
il pesce. Oggi i giovani sono resi fragili da un numero di
sollecitazioni così grande che essi si isolano e corrono
l’enorme rischio di essere divorati. Oggi, se lei è solo, ci
sono tanti squali che divoreranno la sua fede, i suoi valori cristiani,
la sua speranza. Gesù ha creato una comunità di dodici
apostoli e quando è stato necessario mandarli in missione ce li
ha inviati due a due. Ormai, per
difendere la nostra fede, perché essa sia solida, bisogna
sostenerci mutuamente nella fede, camminare come una comunità
unita attorno a Cristo: «Lì dove due o
tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
È da questa presenza che possiamo trarre la nostra forza. Le soir approche et déjà le
jour baisse è una risposta pensata e argomentata a questa
urgenza.
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aprile 2019 |