Che fare, allora?

di Giovanni Servodio






Da quando, alla fine di aprile, è stata diffusa la “Lettera aperta ai Vescovi della Chiesa cattolica”, non sono mancate le reazioni, com’era prevedibile.
Nel contesto complessivo in cui oggi viviamo, caratterizzato da un diffuso allontanamento da Dio, la questione sollevata dalla “Lettera aperta” circa l’eresia più o meno manifesta di Papa Francesco, non poteva essere oggetto di entusiasmo nel mondo cattolico; quindi, coloro che più se ne sono interessati sono stati quei cattolici che sono più impegnati nell’ambito ecclesiale e in qualche modo si trovano già su posizioni definite: i sostenitori di Papa Francesco, i suoi critici, gli studiosi delle cose di Chiesa, i teologi, i canonisti.

Se si pone l’orecchio alle voci dei fedeli che ancora frequentano la Messa della Domenica, si percepisce come un silenzio assordante … “le solite beghe tra gente che non ha molto da fare” – si sente dire qua e là. Anche solo l’idea che il Papa possa dirsi eretico è tanto distante dalla mente dei fedeli per quanto vi è estraneo lo stesso concetto di eresia. E non si tratta solo di ignoranza, ma piuttosto di una condizione di spirito che non riesce più a distinguere tra insegnamenti cattolici veri e predicazione dell’errore e del falso; tra insegnamenti cattolici della Chiesa e suggerimenti acattolici e anticattolici del mondo… e la confusione è tale perché tanta è l’apostasia diffusa tra i cattolici, apostasia che fino a qualche decennio fa veniva detta “silenziosa” e che ultimamente è divenuta più manifesta e perfino orgogliosamente sbandierata. Per quello che possono valere i sondaggi, uno degli ultimi condotto dalla Doxa sulla religiosità in Italia, dà i cattolici in diminuzione dell’8 per cento e gli atei e gli agnostici in aumento al 15 per cento; e questo negli ultimi cinque anni, corrispondenti agli anni di pontificato di Papa Francesco.

Questo stato di cose non è sorto dal nulla, come per moto spontaneo, esso è il frutto di più di cinquant’anni di pratica degli insegnamenti diffusi dal Vaticano II, e di gestione delle cose di Chiesa da parte di chierici impregnati di tali insegnamenti. Parlare quindi di eresia di Papa Francesco è come raccontare una favoletta per bambini ai già indifferenti adulti. E’ da più di cinquant’anni che il mondo cattolico naviga su un mare agitato in cui si alzano alte le onde delle più svariate eresie, tutte sollevate dai papi e dai vescovi conciliari; Papa Francesco è l’ultimo dei timonieri temerarii che hanno condotto la Barca di Pietro lungo i marosi che si infrangono sulle coste frastagliate e mortifere del mondo ateo.
Da qui nasce una delle manchevolezze di questa “Lettera aperta”: in essa mancano le necessarie premesse per ben inquadrare l’eresia di Papa Francesco; come se ci si fosse venuti a trovare improvvisamente con, da un lato, Papa Francesco campione dell’eterodossia, e dall’altro il resto dei chierici e dei laici ortodossi. Per di più, rivolgendosi ai “Vescovi della Chiesa cattolica”, la “Lettera aperta” dimostra di ritenere che tali Vescovi siano più o meno ben radicati nell’ortodossia, trascurando il fatto che essi hanno la responsabilità di aver condotto, o aiutato a condurre, il tutto allo stato attuale. Lo stesso Papa Francesco è frutto delle convinzioni e degli scopi dei Vescovi e Cardinali che lo hanno voluto sul Soglio di Pietro. Ci si può quindi chiedere come sarebbe possibile che i Vescovi prendano in esame l’eventualità di valutare e giudicare uno dei principali frutti del loro stesso operato.

L’altra manchevolezza che manifesta questa “Lettera aperta” è la vaghezza dell’appello ai Vescovi, poiché, a quanto ci risulta, non esistono strumenti canonici atti a sancire la correttezza delle critiche e, soprattutto, la conseguente pratica correttiva, fino alla condanna e, perché no, alla rimozione di Papa Francesco. Non solo un papa non può essere giudicato da alcuno – dicono i Codici e i teologi -, ma a più forte ragione non può essere giudicato dai suoi sottoposti, figuriamoci rimosso. Tutt’al più si può parlare di sollecitazione alla riflessione e al ripensamento, ed è questo che in pratica fa la “Lettera aperta”, ma è notorio che Papa Francesco non ha orecchie per ascoltare inviti e consigli sensati e giustificati, e non ha occhi per vedere il serpeggiare dell’imbarazzo e del malcontento che generano le sue esternazioni, siano esse estemporanee o fissate nero su bianco su documenti che non si capisce mai di che portata formale siano.
E qui entrano in giuoco i teologi e i canonisti, per spiegare che questa frase o azione è “personale” e quest’altra è “papale”; come se le orecchie e gli occhi dei fedeli fossero corredate a priori di filtri teologici e canonici in grado di permettere loro i più sottili distinguo.
Checché ne pensino gli studiosi, nella loro erudita teoria, la verità è che, in pratica, le parole, le azioni e i gesti di Papa Francesco, come quelli di tutti i papi, i cardinali e i vescovi, sono “magistero”: sono insegnamento, esempio e sollecitazione per tutti i fedeli. 

Ed è proprio a proposito dei teologi e dei canonisti che, come si suol dire, casca l’asino – senza ovviamente alcuna minima allusione a costoro.
In effetti, la lettera ha sollecitato l’intervento erudito di diversi teologi e canonisti, i quali hanno fatto notare che, teologicamente e canonicamente, il solo ricorrere dei fedeli firmatari all’autorità dei Vescovi, configurerebbe in qualche modo la condivisione della concezione conciliarista che vedrebbe nei Vescovi riuniti, sine Papa, un organismo superiore al Papa stesso; concezione che, non solo è eretica, ma in questo caso vedrebbe cattolici sospetti eretici o prossimi all’eresia che pretenderebbero di denunciare l’eresia di Papa Francesco.
Certo, la cosa appare aggrovigliata, ma, come si sa, gli studiosi specialisti trattano solo cose aggrovigliate, e quando queste realmente non lo sono, ci pensano loro a complicarle.

Questo della “Lettera aperta” è proprio uno di questi ultimi casi.
Il contenuto della denuncia avanzata dai firmatarii è ricco di precisi richiami alle parole e agli atti di Papa Francesco, ma solo qualche sparuto competente si è soffermato su questo aspetto sostanziale, altri si sono attardati sugli aspetti accidentali: Codici, Autori antichi, precedenti e relative deduzioni.
I teologi e i canonisti hanno l’abitudine di esprimere opinioni ed ipotesi attuali a partire da quello che hanno elaborato Autori che più sono autorevoli e più sono antichi. Ma, forse che l’età e la datazione degli scritti di costoro non sarebbero validi punti d’appoggio? Certo che lo sono, e fanno bene i teologi e i canonisti a tenerne gran conto, ma fanno male a cavarsela usando tali punti d’appoggio per leggere e valutare la situazione attuale, complessiva e particolare.
Intendiamo dire che è necessario che le ipotesi avanzate a suo tempo vengano applicate al tempo corrente, e questo è esattamente il compito degli studiosi. Non si può pensare che le conclusioni dei Bellarmino, dei Suarez e dei Gaetano possano essere valide tout court per lo stato in cui ci troviamo oggi. Chi può contestare che i tre Autori citati, per esempio, non avrebbero potuto neanche immaginare che i Vescovi, i Cardinali e i Papi si sarebbero ridotti a cedere così tanto sui principii della fede, da alimentare la dilagante apostasia e giungere alla propalazione di eresie? Non viviamo in un tempo relativamente normale, ma in un tempo anormale, e questa anormalità investe la stessa compagine ecclesiale, soprattutto a partire dalla famosa “apertura al mondo” voluta dai papi conciliari, attraverso la quale è penetrata nella Chiesa quell’aria mefitica che avvolge, ispira e sollecita personaggi come Bergoglio.
Oggi, più che il conforto dei pareri degli Autori antichi, serve un lavoro di approfondimento sullo stato attuale della fede insegnata dai nuovi chierici e un lavoro di messa a punto di nuovi strumenti teologici e canonici che siano in grado di fornire ai cattolici, a seconda delle loro competenze e del loro stato, i mezzi per contrastare la deriva e soprattutto i mezzi per provvedere che il minor numero possibile di essi scivoli sulla china disastrosa che, invece di condurre al Cielo, trascina nell’Inferno.

E questo è l’altro punto dolente.
Al di là della constatazione che i chierici altolocati, papa in testa, predicano e praticano l’eresia, è indispensabile che si pensi prima di tutto ad aprire gli occhi dei fedeli sui pericoli che corrono di essere divorati dalle fameliche orde infernali. E non basterebbe neanche la condanna formale di Papa Bergoglio e altri vescovi per il delitto di eresia – posto che si trovassero gli strumenti atti alla bisogna e che oggi non ci sono -; non è certo una condanna formale che fermerebbe l’apostasia dilagante che fa pensare e vivere molti fedeli attuali secondo i canoni mondani e non secondo i canoni cattolici.
Ed è a questo lavoro che dovrebbero dedicarsi le intelligenze e le energie di molti studiosi; i fedeli hanno bisogno di guide che suppliscano alle deficienze ed agli errori dei loro pastori, visto che persino i Santi suscitati dal Signore poco hanno inciso in questo ciclone devastatore; senza parlare dei nuovi santi proclamati dai papi conciliari, che sono quegli stessi papi che hanno concorso a soffiare sul fuoco devastatore e ad alimentare i venti impetuosi del ciclone, e quindi il render loro culto equivale ad aggravare l’apostasia e la miscredenza.

Bene fanno gli studiosi a ricordare che Papa Francesco non può essere deposto con gli strumenti oggi a disposizione, ma fanno male a non elaborare e a non offrire gli strumenti adatti alla bisogna attuale. I fedeli hanno bisogno di essere aiutati a respingere i cattivi insegnamenti e gli studiosi ci sono non per dire loro cosa non devono fare – come dichiarare l’eresia di un papa e chiedere la sua messa in mora -, ma per indicare loro cosa possono fare.
Certo, la cosa più importante è la preghiera, e non bisognerà mai stancarsi di supplicare il Signore perché intervenga presto; e di chiedere alla Santissima Vergine di ottenerci la grazia della correzione e della punizione dei reprobi, nonché la grazia della fortezza e della perseveranza dei veri fedeli; ma il Signore interverrà secondo i Suoi imperscrutabili disegni e si aspetta da noi che intanto agiamo in vista della salvezza nostra e di quella dei nostri fratelli; tutti conoscono il vecchio adagio che ricorda: “aiutati, che Dio t’aiuta”. E chi può negare che il Signore ci chiederà sicuramente conto di questo al momento del Giudizio?
I semplici fedeli, e soprattutto i teologi e i canonisti, devono tenere presente quanto sia importante che si giunga davanti al Giudizio di Dio in condizioni tali che Egli non ci dica: “Conosco le tue opere … Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Apoc. III, 15-16).


Riportiamo qui di seguito uno degli ultimi esempii della predicazione eretica di Papa Francesco: secondo cui la “sapiente volontà divina” vorrebbe le false religioni. Tale affermazione, contenuta nel documento che lui ha preparato e sottoscritto ad Abu Dhabi e che ha voluto sia studiato in tutte le istituzioni cattoliche, non solo è una falsità e uno stravolgimento dell’insegnamento e della volontà di Dio, ma è contrario perfino al semplice buon senso; a riprova che il demonio lavora bene, lui: promuovendo la demolizione del buon senso in modo che possa svilupparsi l’errore e l’eresia a scapito della verità e dell’ortodossia.
Prima che eretici, quindi, Papa Francesco e i suoi sodali hanno il cervello ridotto in poltiglia, e questo non è previsto nei Codici e nelle ipotesi teologiche e canonistiche; occorre aggiornare gli studi in materia e questo devono farlo i teologi e i canonisti attuali sulla base della realtà oggettiva nella quale viviamo.










maggio 2019
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