Padre Cavalcoli colpisce ancora!
ovvero

Quant'è bello il Concilio!



Come ormai accade da qualche tempo, non appena si diffonde pubblicamente uno scritto critico sul Concilio Vaticano II, foss’anche articolato e argomentato sulla base di un attento esame dei suoi documenti confrontati con il millenario insegnamento della Chiesa, ecco che Padre Giovanni Cavalcoli, O. P., interviene con tutta la premura e la foga che lo caratterizzano. Al punto che ormai lo si potrebbe considerare come una sorta di difensore d’ufficio del Vaticano II.

In verità, questo anomalo ventunesimo Concilio Ecumenico si presta tanto ad essere difeso a dritta e a manca per quanto sia stato criticato fin dalla sua celebrazione e per quanto abbia generato e continui a generare perplessità e perfino sconcerto in tanti, non pochi, fedeli cattolici.
La cosa, però, che lascia sgomenti è il candore col quale questo lodevole difensore d’ufficio del Vaticano II salti a pie’ pari ogni più semplice argomentazione, per ripetere una sorta di ritornello ormai stantio: il Concilio non ha sbagliato perché… un Concilio non può sbagliare. Come se non stesse proprio in questo l’anomalia del Vaticano II:
un Concilio assistito dallo Spirito Santo che ha prodotto dei documenti che contraddicono lo Spirito Santo.
Un Concilio che dopo duemila anni di insegnamenti prodotti dalla Chiesa con l’assistenza soprannaturale, oggi insegna che tali insegnamenti possono essere cambiati sulla base di una supposta “evoluzione” cognitiva.

Ci si chiede: evoluzione cognitiva dello Spirito Santo o dell’uomo?

Già, perché delle due l’una: o lo Spirito Santo cambia parere su ciò che la Chiesa debba insegnare ai fedeli per la salvezza delle loro anime o è l’uomo che cambia parere su ogni cosa che lo Spirito Santo insegna e su tutto ciò che Egli ricorda dei detti di Nostro Signore Gesù Cristo (Cfr. Gv. 14, 26).
Ora, non potendosi ammettere che lo Spirito di verità cambi parere sulla verità stessa, perché sarebbe semplicemente assurdo, resta solo la possibilità che sia l’uomo a cambiare parere indipendentemente dallo Spirito Santo… anzi resistendo allo Spirito Santo. Ed è proprio questo che è accaduto col Vaticano II: l’uomo ha cambiato parere sulle verità che il Magistero della Chiesa ha sempre insegnato e deve sempre insegnare, resistendo allo Spirito Santo e adattandosi docilmente ai suggerimenti del mondo.

Giustamente, a questo punto, viene ricordato che la Chiesa gode della promessa di Nostro Signore, il quale ha assicurato che le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa (Cfr. Mt. 16, 18). Da cui i difensori d’ufficio del Vaticano II deducono che non può esserci errore negli insegnamenti del Magistero, siano essi antichi o moderni: anteriori o posteriori al Vaticano II.
Cosa che è vera e sacrosanta, nella premessa, ma evidentemente falsa e meramente umana nella deduzione. Infatti, non è la Chiesa che viene sopraffatta dalle influenze infernali, bensì gli uomini di Chiesa che, al pari dei progenitori, si lasciano ingannare dallo spirito di menzogna. La Chiesa continua a mantenere la Tradizione apostolica con tutti gli insegnamenti di Nostro Signore, ma gli uomini di Chiesa, indotti in errore dal fumo di Satana, finiscono col convincersi che questi insegnamenti possano benissimo conciliarsi con lo spirito del mondo e possano essere adattati ad esso. È questa l’anomalia del Vaticano II.

Non si tratta tanto di dibattere su interminabili distinguo teologici, quanto di semplicemente osservare che non può esserci accordo, intesa, concertazione, tra Cristo e Beliar. Se un insegnamento del Vaticano II incontra il consenso degli uomini e del mondo e insieme si trova in contrasto con i precedenti insegnamenti della Chiesa, l’unica deduzione possibile è che questo nuovo insegnamento è errato: sia perché contraddice gli insegnamenti precedenti, sia perché si accorda con gli uomini e col mondo (Cfr. I Gv. 2, 15-17); e tale errore non è della Chiesa, ma degli uomini di Chiesa, nei confronti dei quali non v’è alcuna promessa di indefettibilità da parte di Nostro Signore.

Di fronte ad una tale constatazione, pensare di sostenere che uno stesso insegnamento possa arricchirsi fino al punto di mutare se stesso, equivale a confessare che gli insegnamenti della Chiesa sarebbero soggetti a mutamento al pari del mutamento del mondo e in perfetta consonanza con esso. Il che, prima che assurdo, è sciocco, se non altro perché il mondo ogni volta che cambia, muore e si rinnova, mentre gli insegnamenti di Nostro Signore né possono morire né possono rinnovarsi. Ogni loro possibile adattamento d’espressione, perché gli uomini più diversi possano più facilmente coglierli ed assimilarli, non solo non comporta un cambiamento o un rinnovamento, ma conferma la loro totale sussistenza e immutabilità: ciò che sola cambia è la comprensione umana, pur nella sussistente immutabilità di quanto insegnato da Nostro Signore e trasmessoci dagli Apostoli e confermatoci dal Magistero nel corso dei secoli.
Quando questa realtà subisce uno strappo, l’errore sta dalla parte degli uomini.

Eppure tali supposti errori sono stati avallati e continuano ad essere difesi dai papi, ragion per cui, si dice, deve ritenersi che non di errori si tratti, ma della ostinazione di certi fedeli che pretendono di trovare l’errore laddove esso non può esserci: nel Magistero supremo del Sommo Pontefice.
Questa considerazione, tanto spesso ripetuta, mentre può apparire logica e fondata, si rivela per quella che è: una scappatoia che evita di affrontare il problema che la suscita.
Ciò che è più onesto e corretto fare è porre tale considerazione in termini interrogativi: com’è possibile che gli ultimi papi abbiano avallato e continuato a difendere le contraddizioni tra gli insegnamenti del Vaticano II e quelli del Magistero precedente?
Questa domanda, semplice e spontanea, dovrebbe far riflettere i difensori d’ufficio del Vaticano II, invece che muoverli a rispondere in modo semplicistico che: non è possibile!… Quindi non ci sono errori!
Una tale risposta non è una risposta per il semplice assunto che contra factum non valet argumentum. Non si può dire, per esempio, che la libertà religiosa del Vaticano II si fondi sui Vangeli, quando la Chiesa ha sempre insegnato che l’unica libertà religiosa che è data agli uomini da Dio è quella di professare l’unica vera religione al mondo: quella rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo. Delle due l’una: o si sbaglia il Vaticano II o la Chiesa si è sempre sbagliata per duemila anni.
Sta scritto: chi non crederà sarà condannato (Mc. 16, 16).
Quando i papi ultimamente cercano di spiegare che, ciò nonostante, il valore della dignità umana è talmente superiore, che ogni uomo può cambiare religione in base alla sua coscienza, è come se ci volessero far credere che ciò che sta scritto possa essere letto alla rovescia: “chi non crederà non sarà condannato”. E si ha voglia a scrivere mille volumi di supposte giustificazioni, i fatti sono lì per dirci che mentre ci si assicura che la libertà religiosa si fonderebbe sul Vangelo, in realtà essa lo contraddice.

Tornando direttamente a Padre Cavalcoli, è necessario precisare che questi nostri appunti non sono mossi minimamente da una qualche acrimonia nei suoi confronti, ci mancherebbe… il Padre è una persona simpatica e disponibile. Il fatto è: che è lui quello che si mette subito avanti, offrendo lo spunto per esprimere considerazioni che in realtà sono rivolti a tutti i difensori d’ufficio dell’ultimo Concilio.

Le sue precisazioni, e i suoi rimproveri, che sono quelli di tanti altri, rivelano alcuni pregiudizi che forse è utile segnalare.

Innanzi tutto pensiamo al convincimento, invero un po’ bizzarro, che, tolti quelli come Padre Cavalcoli, gli altri non sarebbero in grado di leggere e di capire ciò che sta scritto nei 16 documenti del Vaticano II. Ovviamente, per coloro che nutrono un tale convincimento, non si tratta tanto di presunzione personale, quanto di supponenza clericale. Già, perché, nonostante il Vaticano II abbia fatto nascere la leggenda che con esso sarebbe stato rimosso il vecchio “clericalismo”, è proprio a partire dal Vaticano II che i fedeli cattolici hanno dovuto subire una sorta di lavaggio del cervello in nome della indiscutibile chiaroveggenza e della scientifica retro-veggenza dei “nuovi chierici”, soprattutto se insigniti di qualche titolo accademico: è da quasi cinquant’anni che professori, teologi, liturgisti, sociologi, perfino psicologi, ovviamente tutti vaticanosecondisti, con tanto di approvazione espressa o tacita dei moderni Pastori, “ti istruiscono il pupo”, cioè i fedeli, sulla base della supposta “competenza” dei primi e della altrettanto supposta “incompetenza” dei secondi. Così che, allontanato dalla porta il vecchio “clericalismo”, che, si diceva e si dice, aveva fatto il suo tempo, un tempo pieno di ingiustificate pretese sulla ipotetica speciale investitura ontologica dei sacerdoti, … allontanato questo vecchiume, ecco spuntare dalle fessure, insieme al fumo di Satana, la moderna oppressione clericale affidata a preti che rinnegano il valore distintivo della loro ordinazione e assumono la supponenza tutta moderna della gabellata competenza “scientifica”.
Si direbbe: un disastro! Se non fosse che un tempo, almeno, si trattava della serietà del sacerdote che con la parola e col comportamento si sforzava di istruire il fedele di cui riconosceva le capacità e l’intelligenza, mentre oggi siamo di fronte al risibile comportamento del tutto puerile dei preti moderni che si atteggiano a laici e che si rivolgono ai fedeli come se questi fossero dei minorati mentali. Modernismus docet!

Da qui discende un altro pregiudizio, secondo il quale, se un fedele che approfondisce lo studio dei documenti del Vaticano II avesse l’impressione, anche se molto pressante e molto impressionante, che in tali documenti venga contraddetto l’insegnamento tradizionale della Chiesa, egli non dovrebbe fermarsi a quanto ha studiato, ma avrebbe il “dovere” di rivolgersi ad un teologo, ovviamente moderno e vaticanosecondista, il quale gli chiarirà a sufficienza che si tratta solo di un’impressione, perché in realtà ciò che sembra contraddittorio è conseguente e ciò che sembra errato è corretto, che ciò che si presenta incongruente è coerente e ciò che si presenta scomposto è ordinato, che ciò che si presenta confuso è chiaro e ciò che si presenta come una novità è un modo nuovo per dire la stessa cosa di ieri.
Dopo di che, diciamo noi, o il teologo dimostra di essere un imbonitore o il fedele ha perso il lume della ragione.
Sono ormai davvero tanti i moderni uomini di Chiesa che non hanno più la minima cognizione del sensus fidelium, del comune sentire cattolico che da sempre ha contraddistinto la sana pratica della religione di Nostro Signore. Sono in troppi ad essersi convinti che l’insegnamento tradizionale della Chiesa sia qualcosa di cervellotico e di superdotto, riservato agli addetti ai lavori. Sono davvero troppi quelli che hanno dimenticato le parole di Nostro Signore che loda il Padre perché «hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc. 10, 21).
Anche questo, purtroppo, è un altro dei frutti del Concilio.

Un altro pregiudizio che si rivela nelle prese di posizione dei difensori d’ufficio del Vaticano II è quello che deriva dal fatto che ormai i moderni uomini di Chiesa hanno fatti propri i tabù della cosiddetta “civiltà” moderna e tra questi privilegiano quello secondo il quale ciò che conta è la quantità, piuttosto che la qualità. Da cui deriva che se 10 teologi moderni sono d’accordo sulla continuità con la Tradizione dei documenti del Concilio, si debba dare per scontato che i due che dissentono e che sostengono che tale continuità non c’è e c’è invece una evidente rottura…, questi ultimi possono avere solo torto.
Del pari, se una gran parte dei preti e dei fedeli moderni si acquietano sulla bontà della predicazione moderna o sulla bontà della liturgia moderna o sulla bontà della speculazione teologica moderna, si debba dare per scontato che quella piccola parte di sacerdoti e di fedeli che dissente da tutto ciò perché vuole rimanere fedele agli insegnamenti, alla predicazione, alla liturgia e alla teologia tradizionali…, questa piccola parte può avere solo torto.
E questo imperio della quantità, che fa sì che nel mondo moderno la gran parte dei miscredenti e degli indifferenti riservi commiserazione e disprezzo alla piccola parte del credenti, è penetrato così profondamente nella nuova Chiesa nata dal Concilio, che ci sono tanti auto-compiaciuti vescovi e preti e teologi, che guardano ai pochi fedeli rimasti legati alla Tradizione della Chiesa come fossero dei forsennati, dei testoni, dei… fondamentalisti, dicono perfino, senza accorgersi che così pensando e apostrofando confessano che loro stessi hanno abbandonato i fondamenti costitutivi della religione di Nostro Signore e anzi, avendo assunto le categorie mentali del mondo moderno, questi fondamenti li odiano. E si compiacciono di questo, e ne menano vanto, dimostrando di avere totalmente dimenticato una saggia massima antica che teneva sempre presente che nel mondo della vera religione ci sarà sempre una minor sed sanior pars di cui i Pastori dovrebbero sempre tenere conto, se vogliono davvero fare la volontà del Padre. E dimostrando altresì che ormai hanno fatto propria la malsana suggestione moderna, di demoniaca fattura, che la sanior pars può essere solo la maior pars.
È il destino della Chiesa di Cristo che, per colpa degli uomini di Chiesa che si lasciano contaminare dal mondo, vedrà Pastori, preti e fedeli tutti intenti a dimenticare che il Signore è venuto per salvare i suoi e non coloro che non lo accolgono.
«Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nei regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. … allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt. 7, 21 e 23).

Dimenticanza, questa, che produce un altro pregiudizio.
L’esame dei documenti del Concilio e la scoperta degli errori che sono disseminati in essi, fa pensare al certosino lavoro di cernita del buon fattore, che separa la frutta marcia dalla buona, perché anche quest’ultima non marcisca. Questo sacrosanto lavoro, apprezzato e lodato da chiunque abbia ancora del sale in zucca, ecco che dai moderni teologi viene travisato, verrebbe da dire “inevitabilmente” travisato. Piuttosto che un sano lavoro di pulizia e di preservazione del buono, costoro, nella loro superficialità, ci vedono solo una mera cernita. Confermando ancora una volta che la loro forma mentale è ormai capace di comprendere solo in termini quantitativi. E scambiando lo scarto del marcio per libera scelta, ecco che giungono, candidamente, ad accusare gli attenti critici del Concilio di attitudini “protestanti”. Costoro, dicono, scelgono solo ciò che fa loro comodo, invece di far proprio tutto l’intero prezioso tesoro del Vaticano II. Rivelando così l’altro pregiudizio: che il Vaticano II sarebbe una sorta di summa della scienza e della sapienza della Chiesa, una summa tanto più apprezzabile per quanto rappresenterebbe l’ultimo sviluppo e l’ultimo arricchimento “umanamente” possibile della dottrina cattolica.
Per costoro è inconcepibile che, sulla base della sana dottrina, si possa separare il buono dal brutto, il sano dal malato, ed è inconcepibile perché, avendo fatto proprio il principio fondante del Vaticano II: che la Chiesa non debba più “imbracciare le armi del rigore”, ma “debba andare incontro alle necessità odierne”, non riescono più a pensare e a comportarsi da veri seguaci di Cristo. Soprattutto i moderni Pastori, e con loro i teologi moderni, hanno totalmente dimenticato che è loro dovere tenere lontani i lupi dalle pecore, che loro compito principale è preservare la salute delle anime condannando l’errore non appena faccia anche solo capolino in mezzo agli insegnamenti della sana dottrina.

Divenuta protestante, la loro forma mentis li porta a considerare sostenitori del “libero esame” proprio coloro che un attimo prima hanno apostrofato come “fondamentalisti”, peraltro incuranti della contraddizione, abituati come sono a considerare sullo stesso piano la verità e l’errore. I fondamentalisti, i tradizionalisti, dicono costoro, adottano lo stesso criterio di Lutero, scegliendo ciò che più si adatta ai loro errati convincimenti… e questo solo perché questi tradizionalisti pretendono di rimanere fedeli a tutto l’insegnamento della Tradizione e per ciò stesso di rigettare tutto quello che la contraddice, anche se sostenuto e difeso da tutti i papi, da tutti i pastori e da tutti i teologi sopraggiunti a partire dal Vaticano II.

Per finire, corre l’obbligo di ricordare un altro degli insegnamenti tradizionali: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete» (Mt. 7, 15-16).
Questo passo del Vangelo di San Matteo, oggi è divenuto quasi del tutto incompreso. Chi sono quelli che vengono in veste di pecore, se non coloro che rivestono l’abito ecclesiastico? Chi sono, se non quelli che “vestiti” da teologi, da maestri, si danno ad imbonire le pecore facendosi scambiare per profeti mentre sono “falsi profeti”? E qui non si dice che “li riconoscerete” da ciò che dicono, da ciò che predicano, perfino da ciò che praticano, né tampoco dall’esegesi nella continuità… no, perché tutti questi ambiti finiscono col rientrare nel terreno preferito dell’Ingannatore, che è quello della “dialettica”, del “dialogo”, del “confronto”, dell’”ascolto reciproco”, dell’”apertura verso l’altro”, e via discorrendo… e via scorrendo i documenti del Vaticano II. No, qui si dice: “Dai loro frutti li riconoscerete, e l’avvertimento è così lapidario e così semplice, che solo l’accecamento moderno impedisce di trarre le debite conclusioni, fino ad indurre a dar credito ai teologi difensori d’ufficio del Vaticano II.

I frutti… i frutti sono sotto gli occhi di tutti… sotto gli occhi di tutti quelli che ancora ci vedono ed hanno voglia di vedere. Cinquant’anni di riduzione al minimo della fede, in nome dell’“andare incontro alle necessità odierne”, cinquant’anni di sconvolgimento della pratica religiosa, in nome dell’adeguamento a “quanto è richiesto dai nostri tempi”, cinquant’anni di distruzione del senso cattolico, in nome del riconoscimento che “l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose”, cinquant’anni di famiglie abbandonate al ludibrio dell’insegnamento anticattolico, in nome del riconoscimento di “nuove situazioni e nuovi modi di vivere”, cinquant’anni di intere nazioni un tempo cattoliche consegnate nelle mani degli Stati anticattolici, in nome della moderna concezione sulla separazione fra Chiesa e Stato, cinquant’anni di minimizzazione dei più discutibili comportamenti morali, in nome di una apertura al mondo che poteva solo produrre, e ha prodotto, l’ingresso nel Corpo Mistico del germe della corruzione e del vizio più abietto, cinquant’anni di criminalizzazione della storia della Chiesa, in nome di una falsa umiltà che si permette di speculare sulle supposte colpe altrui dimenticando le proprie, cinquant’anni di equiparazione dei falsi dei all’unico vero Dio, in nome di una distorta concezione dell’opera dello Spirito Santo che “soffia dove vuole”, cinquant’anni di predicazione del valore della dignità umana, in nome di una falsa concezione dell’incarnazione di Cristo, cinquant’anni di esaltazione della falsa libertà umana, in nome del riconoscimento di una supposta sana laicità, cinquant’anni di distruzione della liturgia, di distruzione dei luoghi di culto, di distruzione di ogni segno distintivo dei cattolici rispetto al mondo e, tra i cattolici, dei sacerdoti e dei consacrati rispetto ai laici, degli uomini rispetto alle donne, dei genitori rispetto ai figli, in una parola di Dio rispetto al mondo, del Creatore rispetto alla creatura.
Frutti, questi, che ormai hanno deturpato il vero volto della Chiesa di Cristo e inducono a chiedersi se non sia di cose come queste che parlano San Matteo (24, 15) e San Marco (13, 14) quando ammoniscono circa l’abominio della desolazione che si stabilirà nel luogo santo.
E si ha voglia a dire che c’è anche del buono in mezzo a tutto questo, facendo propria quella incredibile colpevole ingenuità che ha mosso il Vaticano II sulla base della dichiarata volontà che si voleva “risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.
E no, cari signori teologi difensori d’ufficio del Vaticano II, perché solo degli irresponsabili possono dimenticare che la vita del semplice fedele cattolico si svolge tenendo sempre presente che occorre vegliare perché “nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà” (Mt. 24, 44). E questo vale per ogni singolo fedele, come per l’intera Chiesa, che devono praticare la fede in questa terra sapendo che la fine del mondo incombe in ogni momento, perché solo Dio sa quando giunge la fine per ognuno di noi o per l’intero creato.

E questa nostra scarna disamina ci porta a ricordare che mentre è umanamente comprensibile che dei teologi moderni si arrabattino a discettare e a cavillare sulle più inverosimili esegesi dei testi del Vaticano II, cercando di far quadrare il cerchio, nonostante ci abbiano provato invano per duemila anni tanti servi sciocchi della Chiesa… ciò nonostante, il vero cattolicesimo continua ad essere, molto semplicemente, non quello dei loro fin troppi libri e dei loro interminabili convegni, non quello della incredibile pletora di “carte pastorali” che hanno invaso le librerie cattoliche, ma quello della pratica della fede. E la pratica della fede non la si valuta stando nei salotti buoni delle curie, fossero anche quelli dei palazzi vaticani, ma andando a Messa la Domenica, frequentando le parrocchie, parlando con i fedeli per la strada, osservando i comportamenti delle famiglie, buttando l’occhio su quello che accade intorno a noi ogni giorno: in questi nostri paesi un tempo orgogliosamente cattolici.
Non si esagera se si afferma che è da queste osservazioni che si ricava che oggi il cattolicesimo è divenuto una pena, uno sfacelo, un disastro… e che invece di vedere arginata la marea montante del disfacimento, la Chiesa se l’è visto tracimare entro le sue mura: col Concilio Vaticano II che avrebbe dovuto inaugurare una nuova primavera della Chiesa, che avrebbe dovuto essere una nuova Pentecoste, e che invece si è fermato alla notte del Giovedì Santo, quando il Traditore consegnò il Signore Gesù nelle mani dei suoi nemici.

Nessuna sorpresa, in fondo, perché già Paolo VI, sintetizzando i grandi risultati raggiunti dal Concilio e facendo quindi intravedere quale avvenire avesse preparato il Vaticano II per la Chiesa di Cristo, nel suo discorso di chiusura del Concilio, il 7 dicembre 1965, declamava entusiasta:
«L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo. […] Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette. […] E un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità, proprio nel momento in cui maggiore splendore e maggiore vigore hanno assunto, mediante la solennità conciliare, sia il suo magistero ecclesiastico, sia il suo pastorale governo: l’idea di ministero ha occupato un posto centrale. Tutto questo e tutto quello che potremmo dire sul valore umano del Concilio ha forse deviato la mente della Chiesa in Concilio verso la direzione antropocentrica della cultura moderna? Deviato no, rivolto sì. […] La mentalità moderna, abituata a giudicare ogni cosa sotto l’aspetto del valore, cioè della sua utilità, vorrà ammettere che il valore del Concilio è grande almeno per questo: che tutto è stato rivolto all’umana utilità; non si dica dunque mai inutile una religione come la cattolica, la quale, nella sua forma più cosciente e più efficace, qual è quella conciliare, tutta si dichiara in favore ed in servizio dell’uomo.»

Che cos’è questo discorrere? Che cos’è il Vaticano II? Che cos’è oggi la Chiesa voluta dal Vaticano II? Se non un continuo smentire il Vangelo, un continuo inneggiare all’uomo così com’è, una dichiarazione di fede nell’uomo e nella “religione dell’uomo che si fa Dio”?
Che cos’è se non una sostituzione della religione di Dio con la religione dell’uomo?

Giovanni Servodio





luglio 2012

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI