QUALE FU L’ECONOMIA DI SAN FRANCESCO

( in tempi di eresie pauperistiche )


di Ettore Gotti Tedeschi


Pubblicato sul quotidiano La Verità del 27 luglio 2019

 






Questo secondo  articolo  sul Convegno di Assisi di marzo 2020  ( Economy of Francesco ),   segue un primo pezzo pubblicato  su La Verita  il 15 maggio . Oggi vorrei  limitarmi ad  alcune considerazioni di ordine  storico-spirituale.


Nel medioevo,   nei tempi di San Francesco d’Assisi ( 1182-1226)  , dal XII al XIII  secolo,  si svilupparono molte varietà di eresie pauperistiche , quale reazione alla opulenza delle gerarchie ecclesiastiche .Nacquero  vari ordini mendicanti, quali : - fraticelli,- umiliati  , -poveri evangelici,- beghine,-patari, - valdesi , e altri , che prepararono progressivamente il terreno per  la grande eresia ( apparentemente ) correlata a ragioni economiche : la Riforma Protestante .  Gli  studiosi  di questi problemi spiegano  anche che, a partire da fine del trecento,   ci si convinse   che la povertà, come ideale di vita ,era irrealizzabile e persino  poteva pregiudicare i più deboli, ma  anche  che la chiesa povera era un errore perché non avrebbe avuto risorse per evangelizzare e fare opere di carità . Ne conseguì che la protesta religiosa pauperistica si  trasformò  , alleandosi  alla protesta  sociale , contrapponendosi alla  Chiesa romana  ed  arrivando  pian piano a concorrere  alla preparazione  della Riforma Protestante , che generò una  seconda chiesa senza Roma. Si rifletta, proprio oggi,  su questo punto. 

Ispirarsi pertanto a San Francesco, per  cercare di “umanizzare” l’economia, pretende molta attenzione, perché San Francesco non si occupò di economia, ma di conversione dei cuori. Non si umanizza l’economia se prima non si converte l’uomo che gestisce l’economia, non sono infatti le strutture e gli strumenti che vanno cambiati, bensì il cuore dell’uomo che li usa.  Altrimenti il rischio è di protestantizzare l’uso dello strumento economico che prende autonomia morale. Pertanto, se si è scelto San Francesco quale maestro, si ascoltino davvero le sue lezioni implicite. 

San Francesco volle che la povertà, che lui aveva scelto, si rivelasse nella purezza del Vangelo, non pretendeva certo di farne  una lezione di economia, soprattutto contro i ricchi. I poveri pezzenti, i mendicanti, non erano i poveri di San Francesco, perché non cercavano, non volevano ed non amavano la povertà, come invece faceva il santo di Assisi. La povertà, utile talvolta alla loro, spesso giusta, ribellione, non era la povertà di San Francesco, la cui  povertà non era certo quella  dei  poveri “per disgrazia”. Ma  tantomeno lo  era la povertà  dei poveri “per  rancore polemico”, cioè  quella ostentata dagli eretici. San Francesco era povero per vocazione, per amore di Cristo. Solo nel Vangelo la povertà non si lamenta, non protesta, ma si esprime senza  rancore, senza lamenti, perché si identifica con Gesù stesso.

Neppure Papa Innocenzo III,  il Papa di San Francesco,  quello che  indisse la crociata contro gli eretici albigesi, quello  stesso che scrisse il De Contemptu mundi (nel quale disprezza la miseria della condizione umana ), aveva capito lo spirito della povertà di San Francesco. Non doveva esser facile capire questo spirito, perfino san Bernardo aveva già chiamato “santa” la povertà nel mondo, ma San Francesco  non parlava di una povertà del mondo che santifica chi, non volendola, la sa sopportare, lui parlava di una povertà che arricchisce e da felicità, volendola e amandola. Ma attenzione, per San Francesco la povertà non era  il fine, ma solo un mezzo, grazie al quale, liberamente, egli  poneva il proprio pensiero in Dio facendo   la volontà di Dio.
 
In Laudato Si’, quello di San Francesco, tutte le creature son chiamate a lodare Iddio secondo il loro ruolo naturale, solo l’uomo è chiamato a farlo esercitando virtù, con merito, perdonando e soffrendo. Scrive San Francesco « laudato sì mi Signore per quelli che perdonano per il tuo amore e sostengono infermità e tribolazioni».  Ecco che San Francesco distingue due livelli di creature, con diversi ruoli e doveri, ed alla creatura umana chiede di esercitare le virtù, guadagnando meriti con le sue  azioni. In specifico perdonando e sopportando tribolazioni. Dio è infatti “meritocratico” ( con buona pace dei teologi progressisti che lo considerano una “bestemmia”) .

Pensare pertanto di umanizzare l’economia, ispirandosi ad una (soggettivamente interpretata) spiritualità di San Francesco, presenta rischi. Rischi di illudere con utopie  “pauperistiche” moderne che potrebbe anche generare errori irreversibili, orientati alla decrescita economica a beneficio di un culto, neomalthusiano-ambientalista, della natura e in disprezzo dell’uomo, considerato implicitamente  invece -cancro della natura-. Magari anche privilegiando indirettamente  quelle  religioni pagane «più attente all’ambiente di quelle cristiane».

Un’ultima considerazione. Invece di parlare di “casa comune” riferendosi al Creato (ambiente), un cattolico  che si ispira a San Francesco, dovrebbe parlare del Creato come di un “bene di famiglia della Casa di Dio”, da trattare con il massimo rispetto.  Ma se la teologia prevalente oggi afferma che la Chiesa è -parte del mondo-, essa  rischia di venir  “evangelizzata  dal mondo” e  perderà il suo ruolo e compito di    concorrere a generare il vero bene comune.






 



luglio 2019
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI