Il prossimo sinodo sarà “amazzonico” o “massonico”?

Il ruolo segreto della mafia dell’“anello di tucum” nella preparazione dell’assise di ottobre

di José Ureta (Istituto Plinio Corrêa de Oliveira)


Articolo pubblicato sul sito di Marco Tosatti: Stilum Curiae



Presentazione di Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, è con vero piacere che vi offriamo oggi un’esclusiva di grande rilievo; un articolo di José Antonio Ureta sul prossimo Sinodo amazzonico, e sul ruolo che ha svolto nella sua preparazione – e probabilmente nel futuro svolgimento – una singolare compagnia, quella dell’anello di tucum. Scopriamo insieme di che cosa si tratta.

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Dopo che, nella biografia sul loro connazionale cardinale Godfried Daneels, i giornalisti belgi Jürgen Mettepenningen e Karim Schelkens hanno rivelato l’esistenza di una “mafia di San Gallo” che avrebbe contribuito in modo determinante all’elezione di Papa Bergoglio, il cattolico medio ha avuto consapevolezza della forza dei gruppi di pressione persino all’interno della Chiesa.

Ma storici e specialisti conoscono da molto tempo il peso che le lobbies hanno avuto nella vita ecclesiale. Subito dopo la chiusura del Concilio Vaticano II, ad esempio, si venne a sapere del ruolo svolto dalla piovra mediatica dell’ IDO-C (International Centre of Information and Documentation concerning the Conciliar Church) per creare il “concilio dei giornalisti”, il “concilio dei mezzi di comunicazione, che era praticamente un concilio a parte”, come asserì Benedetto XVI nel suo ultimo discorso alla vigilia del giorno in cui la sua rinuncia sarebbe divenuta effettiva.

Non molto tempo fa si è venuti a conoscenza del ruolo svolto da un gruppo di Padri Conciliari, raccolti sotto la denominazione di “Chiesa dei Poveri”, che firmarono un segreto “Patto delle Catacombe”  il quale sembra stia raggiungendo la sua piena realizzazione a livello planetario con il pontificato di papa Bergoglio.
 
L’ex nunzio a Washington mons. Carlo Maria Viganò ha destato scalpore denunciando l’esistenza di una rete omosessuale i cui membri si aiutano a vicenda e che garantisce avanzamenti di carriera ecclesiastica (e copertura nel caso di coinvolgimento in scandali).

Per essere efficaci, questi gruppi di pressione con interessi personali o ideologici devono agire coordinati, tuttavia sempre nell’ombra, imitando l’operare della Massoneria, con i suoi segni misteriosi di reciproco riconoscimento tra fratelli non appartenenti alla stessa loggia.

È noto il brano in cui Marcel Proust traccia un parallelo tra l’agire dei «fratelli» e quello degli omosessuali del suo tempo, di cui parlava per conoscenza diretta: «[Loro] form[ano] una frammassoneria assai più estesa, più efficace e meno sospetta di quella delle logge, giacché risponde a una identità di gusti, di bisogni, di abitudini, di rischi, di apprendistato, di sapere, di traffico, di glossario, e in cui i membri che desiderano non farsi riconoscere subito lo fanno mediante segni naturali o di convenzione» .

Sicuramente in futuro conosceremo l’impatto sulla prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione Panamazzonica del gruppo di presuli e missionari impegnati nella Teologia Indigena, versione più aggiornata della Teologia della Liberazione, che ha già adottato il cosiddetto “anello di tucum” come segno convenzionale di riconoscimento.

Tucumã è il nome di una palma dell’Amazzonia dal cui legno si ricava un anello nero, che si suppone essere stato portato dagli schiavi ai tempi dell’Impero, in mancanza di risorse per portare l’anello d’oro dei signori. Sarebbe servito come simbolo di patto matrimoniale, di amicizia, oppure di resistenza. “Era un simbolo clandestino il cui significato solo gli schiavi conoscevano”, asserisce il blog della Pastorale Giovanile della Diocesi di Piracicaba.

Negli anni Settanta due organismi della Conferenza Episcopale Brasiliana, il Consiglio Indigeno Missionario (CIMI) e la Commissione Pastorale della Terra (CPT) adottarono l’anello di tucum come simbolo dell’impegno nella lotta di classe e nelle cosiddette “lotte sociali”.

Pare sia stato mons. Pedro Casaldáliga – religioso clarettiano catalano nominato vescovo di São Félix do Araguaia da papa Paolo VI, e promotore del CIMI e della CPT – a rendere popolare il simbolo. Così racconta un altro rappresentante della Teologia della Liberazione, mons. Tomás Balduino, vescovo emerito di Goiás Velho e per molti anni presidente del CIMI:
«Pedro fu consacrato vescovo nel 1971, nella città di São Félix, circondato dal popolo povero di quella regione. Egli ricevette i simboli liturgici adattati alle culture dei popoli indigeni e contadini. La mitra era un cappello di paglia, il pastorale un remo tapirapé e l’anello di tucum, che nelle sue dita e in quelle di molti agenti pastorali, divenne segno dell’impegno della camminata verso la liberazione.»
Mons. Pedro Casaldáliga

Con innegabili doti poetiche, il prelato riassunse così il senso di tale “camminata” nel seguente poema: «Con un callo per anello, / monsignore tagliava il riso / Monsignore “falce e martello”? / Mi chiameranno sovversivo. / E dirò loro: lo sono / Per il mio popolo in lotta, vivo. / Col mio popolo in marcia, vado. / Ho fede da guerrigliero / e amore alla rivoluzione».

L’anello di tucum identificò tanto la personalità e l’agenda rivoluzionaria del vescovo di São Félix do Araguaia, che una delle tesi di laurea scritte su di lui, quella difesa da Agnaldo Divino Gonzaga nel dipartimento di Teologia dell’Università Cattolica di Goiàs, s’intitola, appunto, “Anello di tucum: la missione evangelizzatrice di Pedro Casaldáliga”.

Prova ancora più eloquente dell’importanza che la Teologia Indigena conferisce all’anello di tucum è il racconto che il giornale Alvorada, organo di sensibilizzazione della Prelatura di São Félix, fece sulla cerimonia in cui mons. Pedro Casaldáliga trasmise il governo diocesano al suo successore mons. Leonardo Steiner:
«Pedro, nel consegnare a Leonardo l’anello di tucum, ha ricordato che le cause che difendiamo definiscono chi siamo e che le cause di questa Chiesa sono a tutti note: opzione per i poveri, difesa dei popoli indigeni, impegno con i manovali e i senza-terra, formazione di comunità  inculturate e partecipative, esperienza efficace della solidarietà».

Su una pagina Facebook delle Comunità di Base del Brasile leggiamo questo verso di una poesia in omaggio all’anello di tucum: “Dei popoli esclusi/ sei segno della nuova alleanza”.

Nel 1994 fu lanciato il film “L’anello di tucum”, una fiction in cui un gruppo di fazendeiros infiltra un giornalista nelle Comunità Ecclesiali di Base nel tentativo di provare il loro carattere comunista e sovversivo, ma questi finisce per convertirsi alla causa delle CEB. Nella scena culminante, in cui avviene la conversione, il giornalista-ricercatore ha questo dialogo con mons. Casaldáliga (che recita la parte di sé stesso nel film):
“—Una curiosità, don Pedro: Che significa l’anello nero?
— È l’anello di tucum, una palma dell’Amazzonia, dalle spine un tanto ostiche. Segno dell’alleanza con la causa degli indigeni, con le cause popolari. Chi lo porta, normalmente vuol significare che fa proprie queste cause e le loro conseguenze. Ce la fai a portare l’anello? Ce la fai?
— Ce la faccio.
— Guarda che è impegnativo, eh? Brucia. Molti, molti per quella causa, per quell’impegno, sono arrivati fino alla morte. Noi stessi qui, nella chiesa di São Félix do Araguaia, abbiamo i santuari dei martiri del cammino” .

La stessa domanda sul significato di quell’anello venne formulata nel 2012 dal giornalista Edoardo Salles de Lima al già citato mons. Tomás Balduino, alla vigilia del suo novantesimo compleanno. Egli rispose:
Rappresenta le nozze con la causa indigena. Quell’oggetto fu fatto dagli indios Tapirapé e si può facilmente vedere come sia bello, addirittura brilla. Noi l’abbiamo adottato come un legame con la causa indigena, ma non soltanto con questa, bensì con ogni causa di mutamento, di trasformazione, alla ricerca del Brasile che desideriamo.”




La funzione “identificatrice” dell’anello venne evidenziata al pubblico, ma soprattutto a quanti si erano impegnati con la Teologia della Liberazione, dal missionario comboniano italiano padre Giampietro Baresi, ormai deceduto, sulla rivista Brasil de Fato:
“— Che significa quell’anello nella sua mano? — È l’opzione per i poveri. (…) È la fedeltà per quella opzione. Perché lo porto? Per rendere noto ciò che sono. L’anello di tucum è la solidarietà con i poveri. (…) Quando io vedo l’anello in qualcuno, riconosco una simile visione, un simile impegno.”

La nocività dell’uso dell’anello di tucum da parte dei militanti della Teologia della Liberazione fu denunciata già molti anni fa da mons.  Amaury Castanho, quando era vescovo emerito di Jundiaí, sulle pagine del giornale Testemunho da Fé, organo ufficiale dell’arcidiocesi di Rio de Janeiro.

Nel suo articolo, il presule iniziava con il sottolineare che “sempre ci sono state e sempre ci saranno tensioni più o meno gravi all’interno della Chiesa”. Dopo il Concilio Vaticano II “una terribile tempesta si è abbattuta sulla nave di Pietro”, e la “Teologia della Liberazione, di taglio marxista, ha radicalizzato le sue posizioni estreme e contestatrici, ideologizzate e partigiane”.

Dopodiché attaccava il segno di riconoscimento reciproco dei suoi promotori:
«Il curioso anello di tucum, fatto dal nocciolo di una palma del Nordest, è oggi segno di contestazione nella Chiesa. Uno dei segni, forse il più serio. Lo si trova infilato nelle dita delle mani di un buon numero di sacerdoti e seminaristi, religiosi, religiose e laici. Se è vero che qualcuno lo porta inconsapevolmente – persino nella Chiesa sempre ci saranno gli “innocenti utili” — è altrettanto vero che la maggioranza lo porta come provocatoria affermazione di una chiara opzione per una ecclesiologia che non è, di sicuro, quella della ‘Lumem Gentium’, del Concilio Vaticano II.
«L’anello di tucum comporta, in modo implicito ed esplicito, opzioni eterodosse in favore di una Chiesa ritenuta Chiesa popolare, in opposizione alla Chiesa gerarchica, l’unica istituita da Cristo. Esprime una discutibile e già condannata opzione ‘escludente ed esclusiva’ per i poveri, marginalizzando chiunque non lo sia, come se fosse un oppressore. A partire da questa analisi marxista e parziale della realtà, coloro che portano l’anello di tucum non tentennano nel proporre soluzioni rivoluzionarie, lotte di classe, guerriglie, violenze e terrorismo, che niente hanno di evangelico e di cristiano. (…)
«È la divisione all’interno della Chiesa di Cristo, che la indebolisce, che allontana le pecore dai pastori, che oppone i vescovi al Papa, i vescovi tra di loro, i sacerdoti e i laici ai vescovi (…)
«Intanto i nemici della Chiesa si divertono, applaudono, si fanno i complimenti. Sta succedendo quanto desiderano: una Chiesa che non sia una comunità di amore, che unisca i fedeli a Cristo, fra di loro e con i loro pastori».

In un successivo articolo, mons. Amaury Castanho tornò ad attaccare con l’accusa di settarismo:
«L’articolo sull’anello di tucum, che ho scritto qualche giorno fa, ha destato scalpore. Anzi, ha scatenato una polemica. A molti è piaciuto e ritengono che erano maturi i tempi perché qualcuno andasse a fondo del problema, rivelando il senso più esatto e totale dell’uso di quell’anello. Qualcuno ci è rimasto male, perché lo usava soltanto come segno per l’opzione per i poveri. Sono finiti sfilandoselo dalle dita! Desideravano vivere in piena comunione con i pastori della Chiesa che è, per volontà di Cristo, gerarchica. Mi hanno felicitato, mi hanno biasimato, mi hanno interrogato diverse volte sull’anello di tucum.
«Parlando con un certo presbitero che era giunto a portare l’anello di tucum, gli ho fornito altre informazioni per chiarirgli le idee. Fra l’altro, gli ho detto che non è solo una mia interpretazione. Anni addietro, ho letto un libro di un vescovo zelante e intelligente del Maranhao. In un intero capitolo, egli arrivava alle stesse conclusioni: l’anello di tucum è un tratto di unione visibile fra coloro che oltre alla ‘opzione per i poveri’, parteggiano pure per la Chiesa ‘popolare’».

Si può allora asserire che, in quanto tratto di unione visibile di una corrente rivoluzionaria che svolge il ruolo di quinta colonna nella Chiesa, l’anello di tucum ha una valenza analoga ai segni identificatori della Massoneria.

Sta a noi osservare quanti dei partecipanti del prossimo Sinodo lo indosseranno… Allora sapremo se l’assemblea è stata amazzonica o massonica!



agosto 2019
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