Onde Cristo è romano - Pax Romana


di Giacinto Scaltriti


Pubblicato da Radicati nella Fede, ottobre 2019

Tratto da: G. Scaltriti, Pier Giorgio Frassati e il suo Savonarola,
ed. Paoline, 1979, pagg. 152 -163.





Presentazione di Radicati nella Fede

E’ urgente recuperare in pieno la nozione di Romanità della Chiesa, come abbiamo accennato nell’editoriale di questo numero [Ottobre 2019]. Se non si recupera la coscienza della romanità della Chiesa, si perde anche la sua cattolicità, cioè la sua reale universalità.
Per approfondire tutto questo trascriviamo un breve testo, tratto da un mirabile libro su Pier Giorgio Frassati, Giacinto Scaltriti, Pier Giorgio Frassati e il suo Savonarola, ed. Paoline, 1979.

Impressionante quanto il domenicano Scaltriti scrive dell’ordine cosmico e storico dell’uomo fissato da Roma nel tempo e nello spazio, e che questo modello è definitivo. E che Cristo è venuto per recuperare quest’ordine cosmico e storico, ed è per questo che la Chiesa assunse la romanità.
Amare la Chiesa è possibile se si è coscienti del divino disegno eterno che si attua nella storia. Ben ne è sintesi il verso di Dante “onde Cristo è romano”.


Ecco il testo completo

Nell’immediato dopoguerra 1918, nasceva in Germania un movimento internazionale degli studenti universitari cattolici. Il movimento teneva il suo primo congresso a Friburgo in Brisgovia, il 4 luglio 1921. I Tedeschi gli posero il nome di Pax Romana, esprimendo così la fede che soltanto nella Chiesa romana il mondo avrebbe trovato la tranquillità dell’ordine, ossia la pace. Quella fede romana era però fondata in una ragione assai seria, cioè nella stessa nozione di romanità.

A conclusione di tutta l’antichità, i Romani videro per primi l’armonia che regna in tutte le cose, in quanto l’uomo fa la storia e costruisce la civitas universale. Questo è il genio dei Romani e questa è la definizione della romanità. Virgilio ne è il sommo poeta, Cicerone il codificatore giuridico, Giulio Cesare l’espressione tipica come condottiero e uomo di Stato. La Chiesa di Cristo si portò a Roma e assunse la romanità, perché il suo Capo Gesù Cristo è venuto per recuperare ciò che era andato perduto, ossia l’ordine cosmico e storico dell’uomo, che fu missione di Roma di fissare nel tempo e nello spazio del mondo suddetto.
Un modello peraltro definitivo e quindi valido fino alla fine dei tempi e a capo del mondo. Così lo intesero nonostante l’antiromanità illuministica, Latini, Celti, Germani e Slavi, fino ai nostri tempi. Naturalmente anche tutto il mondo ellenico di sempre.
Ancora oggi gli Arabi dell’Islam chiamano i loro tradizionali antagonisti europei, «i Romani». La Chiesa cattolica doveva essere ed è romana, perché compito suo è quello di continuare l’opera di Cristo. Dante, il sommo poeta cristiano, che non a caso predilige Virgilio, si fa rivelare da Beatrice il concetto del paradiso terrestre, cioè del creato come Dio lo ha fatto quale si recupera nell’ordine di Roma, ossia nella pax romana, trovando così la sua pienezza là dove ogni cosa è «più vera» ossia nella generazione divina. Dante getta questo concetto sulle ali di un versetto grandioso, rivoltogli ancora da Beatrice: «Qui sarai tu poco tempo silvano; - e sarai meco senza fine cive – di quella Roma onde Cristo è romano» [1].






Al vertice della gerarchia cattolica, nell’ordine apostolico voluto da Cristo, Pietro ha il compito di «confermare i fratelli nella fede» [2], cioè il divenire storico dell’ordine di natura in armonia con la fede, in una parola la pax romana nella pace di Cristo.
Per questo suo ufficio il papa, legittimo successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra (anzi «Vicario di Dio», scrive Savonarola scrivendo ad Alessandro VI) è sempre il Vescovo di Roma: infallibile nell’esercizio del suo ufficio, essendo inconcepibile il contrario; e con potestà universale, essendo inutile un tale ufficio se limitato.

Almeno per la sua amorosa conoscenza di Dante, Pier Giorgio intendeva perfettamente queste cose che sono complete nel genio cattolico e ormai italiano dell’Alighieri. Però la romanità di Pier Giorgio appare ancora in tutta la sua personale natura, di cui già molto abbiamo detto e ancora diremo: come uomo, come piemontese, come italiano, come europeo, come cristiano che storicamente e quindi modernamente s’appunta nella fede, nell’obbedienza, nella devozione al Vescovo di Roma. E qui specialmente egli è seguace di Savonarola.
Pier Giorgio comprese benissimo la posizione di autentico cattolico del Savonarola nei riguardi del papa romano, nonostante le insoddisfacenti, equivoche e anche opposte spiegazioni che i sapienti davano a Pier Giorgio. Come tanti altri, papi e santi specialmente, che stimarono Savonarola grandissimo santo, Pier Giorgio faceva un ragionamento semplicissimo: non è possibile che un tale santo possa essersi ribellato al papa nel modo così plateale e satanico, come ancora gli dicevano. Pier Giorgio alzava le spalle e continuava per la sua strada con il suo Savonarola. Inoltre, Pier Giorgio comprendeva per connaturalità l’indirizzo tradizionale di Savonarola, sia nell’ordine civile, sia in quello religioso, che vuole romana la storia come la Chiesa, questa ancora romana, appunto perché omogenea alla storia [3].

L’amore di Pier Giorgio, per la Germania gli veniva, oltretutto, anche dall’interdipendenza del genio germanico e del genio romano. Tale interdipendenza è la conclusione della storia di Roma antica, ed è la sostanza del medioevo che è propriamente la storia del divenire romano dei Tedeschi e del divenire Goti, dell'Est o dell'Ovest, dei Latini. E qui precisiamo che tanto nell’antichità, quanto nel medioevo, di questa straordinaria costruzione romano-germanica, tuttavia incompiuta, furono mediatori i Celti.
La base di quella mediazione, portatrice a sua volta di un’idea pari almeno a quella di Roma e della Germania, è gettata dalla quasi apocalittica invasione dei Celti i quali partitisi, intorno al IV secolo a. C., quasi con l’impeto di una gravitazione fisica degna dei tempi della creazione del mondo, dalla Scozia, dal Galles, dalla Cornovaglia, ossia dalle zone celtiche delle Isole che un giorno si diranno britanniche, invade tutto il continente, lungo una direttiva che tocca Atene e si esaurisce nel centro dell’Anatolia (i Galati, da Galli, erano un’isola celtica), con le due diversioni a nord verso la Boemia e a sud direttamente su Roma ai tempi di Camillo.
L’impresa di Giulio Cesare, «il conquistatore delle Gallie», dominò quest’onda travolgente dei Celti che ricorreva in permanenza, e ne fissò il genio nella pax romana dal cui ordine trassero principio l’Inghilterra e la Francia, le due più grandi nazioni celtico-germaniche romanizzate. Su questo punto la grandezza di Cesare è incalcolabile.

La grande idea celtica che, come nebulosa, va facendosi stella, è quella che si esprime nella leggenda dei Cavalieri della Tavola Rotonda, con re Artù, Lancillotto, Parsifal. Pier Giorgio amò questo sfondo culturale dell’Occidente perché nella traduzione musicale di Wagner, che in casa Frassati era il dio della lirica, Pier Giorgio trovò l’aggiornamento più possente di quel filone illustre e lontano, sempre più chiaramente interprete della sofferenza cosmica alla ricerca, come precisa san Paolo scrivendo ai Romani, della rivelazione dei figli di Dio [4]; e ancora perché dal personaggio di Amfortas, orante del tempio del Sacro Graal, Pier Giorgio traeva preciso motivo di rivivere in se stesso la ragione suprema di tanto universale travaglio, cioè la pietà della fede per la sua debolezza, quanto più questa si avvicinava al mistero del Sangue di Cristo, ossia della follia della Croce.

L’amico Axerio, al quale Pier Giorgio confidava l’animo suo, riandandovi di continuo, avvertì sapientemente come il divenire santo di Pier Giorgio si compiva in quel crogiuolo interiore che, prima di essere divino, era celtico, germanico e romano insieme. E non è a caso che proprio da Axerio ci sia venuto il ritratto conforme di Pier Giorgio, oltre lo schema culturale, ma aderente alla sostanza cui questo conduce e che gli amici tedeschi di Pax Romana soprattutto avevano avvertito a Ravenna, a Friburgo, e si apprestavano a riammirare al congresso di Firenze che invece rivissero negli accorati ricordi siccome Pier Giorgio non era più.
Scrive Axerio: «Il misticismo di Pier Giorgio che egli non affettava per nulla, traspariva da ogni suo atto naturalmente, né egli lo nascondeva per errato rispetto umano. Egli rispettava ogni opinione, come non imponeva la sua, era giusto, riservato, per nulla invadente, delicatissimo. Sapeva in ogni caso essere un ottimo amico, sereno ed obiettivo nei giudizi, indulgentissimo ai dolori altrui che gli compiangeva e non commentava. Quanto rara in noi giovani tanta serenità di giudizio, tanta indulgenza per gli altri e tanta rigidezza verso sé stesso» [5]. Non è forse questo l'ideale di Parsifal? Quanti Cavalieri della Tavola Rotonda avrebbero bramato di essere almeno scudieri di quell’autentico Cavaliere del Sacro Graal che fu Pier Giorgio «fra Girolamo Savonarola»! E ritroveremo questo Pier Giorgio nel Lohengrin di Wagner.

Così, specialmente le tedesche della Pax Romana, Maria Fischer e Maria Schwan, conobbero Pier Giorgio e glielo scrissero.

«Vienna, 16-X-1921. Ciò che lei pensa sulla riunione internazionale che ha avuto luogo a Ravenna e a Freiburg, è molto bello. Sono molto contenta che vi sia qualcuno a condividere il mio idealismo, e spero con gli sforzi di quanti prenderanno parte a questi congressi, i buoni principi continueranno a progredire, e che in un tempo futuro, che forse noi non esperimenteremo più, si realizzeranno le nostre speranze nello spirito della Pace Romana. Maria Fischer».

«Friburgo in Brisgovia, 30.XII.1921. Io sono contenta che lei abbia visto tante belle cose e che lei non porti solo nella bocca, ma anche nel cuore la Pace Romana. Maria Schwan».

«Vienna, 28.XI.1921. E adesso, caro signor Frassati, la debbo ringraziare di tutto cuore per i rapporti che lei mi ha dato del suo paese. Io spero di aver agito nel suo spirito consegnando il giorno dopo questo suo rapporto all’Aiuto Accademico in occasione dell’anniversario della fondazione. Le accludo il corrispondente pezzo del giornale. Sull’altra parte c’è il rapporto sulla nostra festa che la interesserà anche. Io non posso fare che ringraziarla in nome di quelli a cui lei nella sua bontà ha pensato e non posso che sperare che il buon Dio la possa ricompensare di tutta la sua bontà nello spirito della Pace Romana. Maria Fischer».






Pier Giorgio era per la Pax Romana, però nella linea che Sonnenschein gli aveva data lanciandone l'idea: le associazioni universitarie - che in Germania erano più di una, contrariamente all'Italia ove c'era appena la FUCI - aperte agli operai. Perciò al Congresso di Ravenna Pier Giorgio portò anche questa novità. Gli Italiani non ne volevano sapere e in parte anche i Tedeschi, gli uni e gli altri fermi al concetto borghese di classe, come il medioevo era fermo a quello di casta: aristocratici da un lato e servi della gleba dall'altro. Pier Giorgio era, a dir poco, furibondo, ancora solidale in questo col suo Savonarola. Non è a dire che Pier Giorgio non vedesse le diversità di storia e di natura che si pongono con utile varietà tra gli uomini, ma lo spirito di discriminazione, condannato da Gesù e dagli apostoli in modo perentorio, era giustamente e violentemente condannato da Pier Giorgio. Perciò era particolarmente antifascista, perché il fascismo, al di là degli ideali patriottici su cui giocò d'azzardo, era la forza reazionaria che voleva mantenere tali discriminazioni ed anzi ne creava una nuova, quella del Super-uomo. Tipico il seguente biglietto di Pier Giorgio da Friburgo in Brisgovia, a Bertini, subito dopo il congresso della Pax Romana di Ravenna, inquadrando, appunto nello spirito della Pax Romana, i consueti numerosi e creativi interessi di Pier Giorgio, più savonaroliano che mai.

 «Freiburg in Breisgau, 23 ottobre 1921. Carissimo, Scusa se non ti ho più scritto, ma giunto a Freiburg mi sono concentrato nel tedesco e non ho più avuto tempo di scrivere gli amici. Il tempo è sempre stato bello, ma ora purtroppo piove, cosicchè oggi non ho potuto fare l'ultima passeggiata nella foresta nera. L'altra settimana sono stato col Dr. Eiffler, un simpatico prete, a Schoneberg, un monte poco distante dalla città. Era una giornata estiva; dalla vetta abbiamo ammirato la bella pianura tedesca, fi no ai confini dei cari nostri amici purtroppo francesi. Mi rincresce molto che il P.P.I. faccia solo voti e così la gente lo abbandoni. Speriamo che nel prossimo Congresso decida qualcosa di concreto, perché l'Italia attende molto da questo partito. Ho letto l'ordine del giorno ed ho trovato un grande errore, quello di avere dimenticato l'agricoltura per mezzo della quale l'Italia sarà ricostruita. Sono contento che abbiate già lanciata la sottoscrizione per la bandiera stracciata per ordine del governo massone. Verso il 15 sarò a Torino e ti porterò molte cartoline per tua sorella. Oggi dopo pranzo vado a teatro a sentire Mignon. Mercoledì lascerò la bella Freiburg, mi recherò a Bonn dove ho il piacere di rivedere la signorina Schwan, una delle tedesche conosciute a Ravenna. Ossequi ai tuoi, saluti a tua sorella, e a te una stretta di mano da Pier Giorgio. Se rispondi subito scrivimi postlagernd Coblenz. Altrimenti più tardi postlagernd Koln.
N.B. - Per il Circolo quest’anno ci vuole un presidente energico a tendenza sinistra; certo non Severi, perché il “Circolo Cesare Balbo” diventerebbe un Circolo femminile. L’ideale sarebbe Villani, ma Villani non vuole essere. Speriamo in Dio di trovare un Presidente che porti innanzi la bandiera del “Cesare Balbo”, innanzi a fianco degli operai e dei contadini nella lotta della Fede, sempre pensando al motto apparso a Costantino “In hoc signo vinces”, e, avendo in cuore questa sicurezza, non esiti a lanciare il Circolo nelle lotte più cruente».





Le posizioni di Pier Giorgio si precisano in atteggiamenti pratici più che in dissertazioni teoriche che in lui quasi non esistono e forse avrebbero avuto sviluppo soltanto col tempo se la sua missione fosse stata di rimanere più a lungo su questa terra. Circa il tema della romanità, ciò si verifica ancora più nettamente. Pier Giorgio realizza la sua romanità «senza discutere», guardando semplicemente e con fedeltà assoluta al papa e operando alacremente nel senso giusto della Pax Romana. A conferma, noteremo che il contributo a questo tema è dato da Pier Giorgio in modo addirittura «plastico», per effetto cioè del suo stesso aspetto somatico. Nel «Preludio culturale» introduttorio a questo nostro saggio, abbiamo rilevato come ogni uomo sia radicato nelle generazioni che lo precedettero. Precisiamo che il fatto si esprime in ognuno secondo certe indicazioni psico-fisiche nelle quali si riconoscono i caratteri di ogni stirpe. Anche il profano riconosce il tipo germanico dai capelli biondi e gli occhi azzurri, il tipo celtico dai capelli rossi e gli occhi verdi, il tipo slavo dai capelli nero-lisci e gli occhi neri leggermente a mandorla, il tipo bronzeo degli antichi romani. Il tipo romano, come tradizionalmente conosciuto, lo si trova in Trastevere a Roma, nella Ciociaria laziale, in Romagna (Mario doveva essere esattamente come Mussolini; e di tipi come Mussolini la Romagna è piena), e ancora in Italia e fuori, qua e là, quasi all’improvviso, ovunque arrivarono i Romani. Che Pier Giorgio fosse uno di questi, balza subito all’occhio, per poco che vi si fissi l’attenzione appropriata. Il seguente episodio ce lo dice in modo particolarmente vivo. Accadde nel giorno in cui si stabilì l’amicizia tra Pier Giorgio e la Hidalgo, quindi un momento magico, se è vero che in quel momento scoccò la scintilla dell’Amore. E’ la stessa Hidalgo che scrive, ricordando Pier Giorgio che non è più.

 «Per la strada fra Pré S. Didier e la Thuile, Tina e io nella slitta guardavamo tranquille il paesaggio alpino, grigio nella nebbia. Pier Giorgio era seduto di fronte a noi. L’avevamo già incontrato altre volte senza avvicinarlo in modo speciale e quasi senza notarlo. Ad un tratto, sulla montagna immacolata, il suo profilo perfetto spiccò scuro come una bellissima medaglia: gradevolmente sorprese, come alla vista di un’opera d’arte, ci scambiammo il nostro giudizio: “Guarda che profilo Romano”. Fu quella la prima volta che vedemmo il nostro amico. Andammo al piccolo San Bernardo ed era febbraio 1923. Lassù passammo otto giorni in perfetta letizia e stringemmo la nostra buona amicizia» [6].

La sottolineatura al vedemmo è della Hidalgo. Significa scoprimmo, quasi il biblico conoscere. La Hidalgo era di genitori spagnoli, era, di fatto, una spagnola, e questo aggiunse significato all’avere visto in Pier Giorgio, in quel momento magico, un Romano.
Dopo il congresso di Ravenna. nella della Pax Romana, Pier Giorgio scriveva così al Dr. Greislig di Friburgo in Brisgovia.
«Caro signor Greislig. Mi scusi di non averle più scritto, ma solo oggi conosco il suo recapito. La signorina Danieli le ha mandato le fotografie di Ravenna e mi ha pregato di chiederle se le ha ricevute o no. Come sta? E il lavoro della Pax Romana? Speriamo che la Pace Romana non rimanga solamente sulla carta. Se tutti i Popoli avranno uno spirito interiore, la Pace Romana porterà Pace e Giustizia. Molti auguri cordiali e cristiani per Natale! Le auguro che Dio benedica con la pace il suo lavoro, così che nel prossimo anno tutti i delegati di tutta Europa si possano riunire nella sua Friburgo nello spirito cristiano, senza trovare più delegati come i belgi che erano presenti al banchetto della pace in tenuta militare. Riceva i miei cordiali saluti estensibili agli Svizzeri e ancora cordialmente. Pier Giorgio Frassati».

Si noterà, nell’inconfondibile semplicità, in cui lo stile leggermente germanizzato e gli errori di sintassi italiana scompaiono, la ricchezza e la varietà degli argomenti che Pier Giorgio suole trattare nelle sue lettere, nella fede costante in quel Dio verso cui frattanto cammina a grandi passi. Egli non sa che Dio gli fa accelerare le tappe.
L’11 ottobre 1924, Pier Giorgio scrive all’amico Willibald di Berlino:
«Nell’agosto dell’anno prossimo ci sarà il Congresso della Pax Romana a Firenze. Potrai venire? Io forse vi andrò e spero di rincontrarvi insieme ai nuovi i vecchi amici del 1921. Il tempo è magnifico per modo di dire. Piove quasi ogni giorno e le montagne sono già coperte di neve (sta scrivendo da Pollone, ndr.). I migliori omaggi ai tuoi genitori, saluti a tua sorella, a Cirillo, e a te cordialmente. Pier Giorgio Frassati».

A quel Congresso di Pax Romana, preventivato per l’agosto 1925 a Firenze, Pier Giorgio non ci sarà. Era già andato in paradiso un mese prima: cittadino senza fine di quella Roma onde Cristo è romano.

NOTE

1 - Purgatorio 32,100
2 - Lc 22,32
3 - G. A. Scaltriti, Profezia e obbedienza nel Savonarola, in Rassegna di Teologia, Napoli, 2, 1978, pagg. 122-123.
4 - Rom 8,19
5- L. Frassati, L'impegno sociale, Edizioni Paoline, Albano, 1953, pag. 208.
6 - Dossier, Hidalgo.






ottobre 2019

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI