Domande ai ratzingeriani

di Gederson Falcometa





Nella famosa omelia del 22 dicembre 2005 (1), l’allora Papa Benedetto XVI, presentò la sua nota diagnosi sulle due ermeneutiche. Era la prima volta nella storia della Chiesa che si parlava di due ermeneutiche per lo stesso Concilio ecumenico (2). Oggi abbiamo un pontificato in chiara rottura con il pontificato precedente e, sulla base di quanto detto in quell’omelia, partigiano dell’ermeneutica della rottura.

Considerando che l’attuale cardinale Ratzinger ha affermato che c’è continuità tra il suo pontificato e quello di Francesco (3), come si fa a comprendere che un Papa che rappresenta la cosiddetta ermeneutica della rottura possa attuare l’ermeneutica della riforma nella continuità?
Come valutare oggi, con un papa della rottura al potere, l’omelia del 22 dicembre 2005?

Viviamo una cultura della negazione dei fatti. Una cultura che ignora il Sì Sì, No No.
Come si sa, Benedetto XVI ha rinunciato al Papato, ma mantiene il nome di Papa, gli abiti da papa, lo stemma, ecc. Quindi, non possiamo considerare la sua rinuncia come un fatto, e di essa non possiamo dire Sì Sì, No No. Nel quadro della cultura della negazione dei fatti, questa rinuncia ha molto della filosofia moderna, perché in essa non è l’uomo che si adegua alla realtà ma, al contrario, la crea. E’ esattamente quello che ha fatto Benedetto XVI: ha creato una nuova realtà, quella del “papa emerito”.

Sulla base di questo, ci sembra che nella rinuncia di Benedetto XVI ci sia una proiezione del nuovo concetto di comunione con la Chiesa conciliare. Come oggi si parla tranquillamente di piena o non piena comunione con la Chiesa, così abbiamo un papa “pieno”, Francesco, e un papa “non pieno”, Benedetto XVI.
Nella sostanza, ci sembra che ci troviamo di fronte ad una gerarchia che lancia cortine di fumo per distogliere la nostra attenzione da qualcos’altro: dall’aver dato via libera ai progressisti/modernisti per portare avanti i loro scopi.

A parte questo, nel leggere alcune analisi (4) sulla crisi della Chiesa, si ha l’idea che la gerarchia della Chiesa intenda mantenere tale crisi. Qualsiasi persona, impresa, società, Stato, ecc., quando è in crisi, cerca i mezzi per superarla, ma nella Chiesa conciliare questo non si vede, vediamo invece la gerarchia che si muove per mantenere la crisi attuale e per crearne delle altre.
Inevitabile porre a tutti i cattolici, e in particolare ai ratzingeriani, la seguente domanda: qual è lo scopo di preservare tale crisi?

Il modo in cui è avvenuta la rinuncia di Benedetto XVI ha creato e crea ancora molta confusione nella Chiesa. Ancora oggi c’è chi sostiene la tesi che egli abbia rinunciato sotto pressione, ma anche questa tesi è impregnata di filosofia moderna: è una realtà creata da chi la sostiene e negata da chi ha fatto la rinuncia. In ogni caso, ammesso e non concesso che Benedetto XVI abbia rinunciato sotto pressione, resta il fatto che avrebbe potuto scegliere: rinunciare o fidarsi in fede alla volontà in Dio.
E allora sorge un’altra domanda da porre a tutti i cattolici e in particolare ai ratzingheriani: è possibile credere che dopo 2000 anni di papi in età avanzata, tale ingravescente aetate, come l’ha chiamata Benedetto XVI,  possa essere un valido motivo per rinunciare al Papato?


NOTE

1 - Discorso di Sua Santità Benedetto XVI alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005 -
https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2005/december/
documents/hf_ben_xvi_spe_20051222_roman-curia.html
2 - In contraddizione con le due ermeneutiche esposte ed accettate da Benedetto XVI, il Cardinale Ottaviani, nella Lettera circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali 
circa alcune sentenze ed errori insorgenti 
sull’interpretazione dei decreti del Concilio Vaticano II, del 24 luglio 1966 (http://www.internetica.it/Ottaviani-concilio.htm), scriveva: «Spetta alla Gerarchia il diritto e il dovere di vigilare, guidare e promuovere il movimento di rinnovamento iniziato dal Concilio, in maniera che i Documenti e i Decreti conciliari siano rettamente interpretati e vengano attuati con la più assoluta fedeltà al loro valore ed al loro spirito. Questa dottrina, infatti, deve essere difesa dai Vescovi, giacché essi, con a Capo Pietro, hanno il mandato di insegnare con autorità. Lodevolmente molti Pastori hanno già cominciato a spiegare come si conviene la dottrina del Concilio».
Quindi, niente doppia ermeneutica, nessuna interpretazione del Concilio alla luce della Tradizione. Entrambe le cose sono possibili solo se la gerarchia rinuncia a compiere il proprio dovere. Se ci sono due ermeneutiche contrarie per lo stesso Concilio, una di esse dev’essere sbagliata, e se essa non viene condannata è segno che la gerarchia permette, col suo atteggiamento, il libero esame luterano dei documenti conciliari. Lo stesso può dirsi dell’idea di interpretare il Concilio alla luce della Tradizione, poiché la luce della Tradizione che interpreta un Concilio è il magistero della Chiesa.
3 - Lettera di Benedetto XVI sulla continuità interiore con il pontificato di Francesco


http://www.fondazioneratzinger.va/content/fondazioneratzinger/it/news/notizie/lettera-di-benedetto-xvi-
sulla-continuita-interiore-con-il-ponti.html
E proprio lo scorso 6 ottobre, Ratzinger ha ribadito il concetto, ricordando ai nuovi cardinali “il valore della fedeltà al papa”.
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2019/10/ratzinger-ai-nuovi-cardinali-ricordate.html?m=1
4 - Mi riferisco all’analisi condotta da Padre Cornelio Fabro nel libro “L’avventura della teologia progressista”, di cui un capitolo è stato recentemente riportata dal sito Pascendi Domini Gregis:
https://pascendidominicigregis.blogspot.com/2019/09/decadenza-e-crisi-del-sacerdozio.html
L’analisi di Padre Fabro avrebbe potuto essere scritta ieri, perché di quanto egli analizza sullo stato della Chiesa, ad oggi non è cambiato alcunché; anzi è peggiorato. E’ logico considerare che il mantenimento della crisi è voluta dalla stessa gerarchia. Infatti, a fronte di diverse analisi condotte da studiosi come Padre Cornelio Fabro, l’unico pronunciamento della gerarchia è il citato discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005. Una Chiesa in crisi per colpa della gerarchia, che non vuole risolvere i problemi interni e si dedica tutta a risolvere i problemi dell’umanità e ultimamente i problemi dell’Amazzonia.




ottobre 2019
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