IL “GIUDAISMO POSTBIBLICO” È “MALEDETTO”?


di
Don Curzio Nitoglia


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Rabbini ebrei lanciano l'hèrem


Specchietto riassuntivo


I PARTE


IL CONCILIO VATICANO II: “GLI EBREI NON SONO MALEDETTI DA DIO”

La Dichiarazione Nostra aetate n. 4-h scrive: «Gli Ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Scrittura».
 

COS’È LA MALEDIZIONE?
 
San Tommaso d’Aquino (S. Th., II-II, q. 76, a. 1) insegna che  maledire significa “malum dicere, ossia dire del male”.
Ora ciò può avvenire:
a) sotto forma di semplice enunciazione del male, cioè quando si riferisce il male che ha fatto il prossimo. Questo è il peccato di “detrazione”, che si divide in “mormorazione” e “calunnia” (1) e non riguarda la nostra questione: “Se il Giudaismo sia maledetto da Dio”;
oppure la maledizione può accadere
b) sotto forma di causa efficiente o determinante, ossia in quanto la maledizione produce il male che pronunzia. Per esempio, 1°) in senso lato: “Deus dixit et omnia facta sunt / Egli disse e tutto fu fatto” (Sal., XXXII, 9); mentre 2°) in senso stretto, Gesù maledisse il fico  ed esso sùbito seccò (Mt., XXI, 19); 3°) San Paolo rispose al Sommo Sacerdote Anania (2), che nel 60 durante il suo interrogatorio aveva comandato ad un servo di colpirlo sulla bocca: “Dio colpirà te, sepolcro imbiancato” (Atti, XXIII, 2-3). Qualche tempo dopo – durante la guerra giudaico/romana (anno 66/70) – Anania, che era un Sadduceo, si era nascosto nei sotterranei della reggia per paura degli Zeloti, che erano i super/Farisei, ma fu ritrovato e venne ucciso dai Sicari (il braccio armato degli Zeloti), avverando così la profezia/maledizione di Paolo. Inoltre 4°) il profeta Eliseo, schernito da giovani idolatri e politeisti, li maledisse ed un orso ne sbranò circa 40 (IV Re, II, 24).
Questa seconda accezione di “maledire” riguarda il nostro problema sul “Giudaismo postbiblico maledetto da Dio”.

La maledizione efficiente e determinante spetta in primo luogo e principalmente a Dio; ma secondariamente spetta pure all’uomo che ha sotto di sé dei subordinati, i quali debbono obbedire ai suoi ordini; per esempio il giudice che condanna un delinquente ha ai suoi ordini la polizia, la quale esegue la sentenza pronunziata da lui.


LICEITÀ DELLA MALEDIZIONE


La maledizione non è lecita, se è pronunciata solo per il male in quanto male del prossimo e non come occasione di bene, che può nascere da un male; infatti da ogni male Dio può trarre un bene maggiore. Questa maledizione a scopo di “male in quanto male” è, dunque, illecita. I teologi la chiamano “maledictio per se”, ossia “in senso assoluto” in quanto vuole il male e solo il male come suo fine. 

Perciò,
1°) se uno vuole e ordina, con maledizione, il male altrui a) sotto l’aspetto di bene, ossia affinché da un male fisico ne venga un bene spirituale o anche b) come pena vendicativa di una colpa commessa (3); allora questo tipo di maledizione è lecita perché l’intenzione principale di chi maledice è il bene, ottenuto tramite una dolorosa operazione chirurgica o un’amara medicina per guarire il reo;
inoltre 2°) la maledizione è lecita anche, se si desidera il ristabilimento dell’ordine violato mediante un castigo e non si vuole solo il male in sé, che invece è visto come mezzo per ottenere un fine buono (la conversione del reo, il ristabilimento dell’ordine sociale violato, l’emendazione del colpevole). I teologi la chiamano “maledictio per accidens”, ossia relativa al bene cui è finalizzata e che ripara a) il torto fatto, b) l’ordine violato e c) può ottenere la conversione del colpevole tramite un male riparatore inflitto in modo “vendicativo” o “medicinale”.

IL TRIPLICE FINE DELLA PENA

La finalità della pena è triplice: a) essa è correttiva per il delinquente, mediante il risarcimento del danno causato da lui; b) ripara l’ordine pubblico leso e violato, tramite la ricostituzione dell’equilibrio sociale; c) infine – con l’esempio del castigo – distoglie gli altri uomini dal commettere eventuali future infrazioni.
Perciò la pena deve 1°) mirare soprattutto al bene comune della Società; 2°) poi a quello particolare dell’offeso, risarcendolo per il male sofferto e, solo in ultimo, 3°) al bene del delinquente, ά) correggendolo (“pena vendicativa”, che emenda tramite la pena dovuta alla colpa), e, β) guarendolo (“pena medicinale”, che aiuta il reo a rimettersi sulla retta via) (4). 

Per esempio il giudice, giustamente censura, maledice e dice/male di colui il quale viene condannato da lui ad una pena giusta; la Chiesa maledice lecitamente coloro che vengono anatemizzati (“anathema sit”) o scomunicati; i Profeti dell’Antico Testamento maledicevano e imprecavano, predicendo dei mali ai malvagi incorreggibili, conformando la loro volontà alla Giustizia di Dio. Infine il male viene proferito o augurato, con maledizione, sotto aspetto di bene, di utilità o di ristabilimento dell’ordine: come quando uno desidera e augura una malattia fisica a un peccatore affinché si converta o cessi di nuocere. Per esempio S. Rita da Cascia chiese la morte dei suoi due figli affinché non uccidessero gli assassini del loro padre per vendicarne la morte violenta e proditoria.


LA MALEDIZIONE IN ALCUNI CASI È NON SOLO LECITA, MA DOVEROSA

L’Angelico specifica (S. Th., II-II, q. 76, a. 1, ad 4) che la colpa dell’Angelo decaduto merita maledizione e deve essere maledetta: “Culpa ejus maledicenda est”. Inoltre Gesù, giusto Giudice, dirà il giorno del Giudizio universale: “Via, lontano da me maledetti, nel fuoco eterno…” (Mt., XXV, 41). Perciò quando San Paolo (Rom., XII, 14) proibisce di maledire: “Benedicite et nolite maledicere”, proibisce la maledizione in senso assoluto, ossia in vista solo del male in quanto male. Infatti nel Deuteronomio (XXVII, 26) si legge: “Maledetto chi non osserva i Comandamenti del Signore”. Inoltre, come abbiamo visto, il profeta Eliseo maledisse i bambini che lo canzonavano e un orso li sbranò (IV Re, II, 24).

S. Agobardo, Vescovo di Lione (779-840), nella “V Epistola, De cavendo convictu et societate judaica” a Nebridio Vescovo di Narbonne, scrisse: «La maledizione che grava su questo popolo infedele è come un vestito che lo accompagna ovunque, come un olio che entra nelle sue ossa e lo segue nei campi, nelle città, nei viaggi, nei poderi, nelle greggi, nei granai, nelle medicine, nei festini e anche nelle briciole che sopravanzano dai loro banchetti».

S. Agobardo si  rifà qui alle maledizioni promesse agli Israeliti infedeli a Jaweh e contenute nella “seconda Legislazione” (5) del Deuteronomio poco prima dell’entrata d’Israele nella Terra Promessa: “Se non ascolterai la Voce del Signore  verranno  sopra di  te tutte queste maledizioni: sarai maledetto nella città e nella campagna; sarà maledetto il tuo granaio e saranno maledette le tue riserve; maledetto il frutto del tuo seno, il frutto della tua terra, le mandrie dei tuoi buoi e le greggi delle tue pecore; sarai maledetto nell’entrare e nell’uscire. Manderà il Signore la maledizione su tutti i lavori che farai…” (Deut., XXVIII, 16-68).


LA MALEDIZIONE NELLA S. SCRITTURA IN GENERALE

In S. Paolo è rivelato: “Si quis non amat Dominus Nostrum Jesum Christum anathema sit / Se qualcuno non ama Gesù sia separato da Dio” (I Cor., XVI, 22). La separazione o l’anatema equivalgono alla maledizione formale.

Gesù, dopo aver constatata la sterilità di un fico, lo maledisse formalmente ad essere infruttuoso per sempre: “Non nasca mai più da te nessun frutto. E l’albero di fico sùbito seccò” (Mt., XXI, 19).

Non bisogna avere paura delle parole, basta utilizzarle convenientemente. La S. Scrittura parla esplicitamente di “maledizioni” formali e non solo oggettive riguardo al Giudaismo talmudico.

LA S. SCRITTURA E LA MALEDIZIONE DELL’EBRAISMO INCREDULO E DEICIDA

Nella S. Scrittura la maledizione d’Israele da parte di Dio, in conseguenza della sua disobbedienza al “Vecchio Patto” stretto con Lui, è rivelata formalmente e la si trova sovente sia nel “Vecchio” che nel “Nuovo Testamento”: “Io [il Signore, ndr] vi offro benedizioni e maledizioni. Benedizioni se obbedite ai comandamenti divini..., maledizioni se disobbedite” (Deut., XI, 28). Quindi non dobbiamo temere d’insegnare la dottrina cattolica a questo riguardo, certamente con prudenza ed equilibro, ma senza annacquamenti e mezze verità, che spesso son più nocive dell’errore esplicito e palese.

In S. Paolo è divinamente rivelato: “I Giudei hanno messo a morte il Signore Gesù e i Profeti ed hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio [“Deo non placent”] e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai Pagani perché possano essere salvati.” (I Tess., II, 15-16). Se non piacciono a Dio Gli dispiacciono, ossia non Gli “vanno a genio”, Gli “sono sgraditi”, Gli danno “fastidio, pena, rammarico” (N. ZINGARELLI, cit.), perciò sono oggettivamente maledetti o separati, disapprovati, riprovati e rigettati da Dio.


SECONDA PARTE


MALEDIZIONE FORMALE E NON SOLO OGGETTIVA DEL GIUDAISMO RABBINICO

Quanto agli Ebrei increduli nella divinità di Cristo e colpevoli di  deicidio si può parlare di maledizione sia 1°) nel senso di una “maledizione oggettiva”, ossia di una situazione che è costatata come realmente ed effettivamente disordinata o peccaminosa e, quindi, condannata da Dio, della quale Egli dice-male o “male-dice”; inoltre 2°) bisogna anche dire che si tratta di una vera e propria  condanna ad una pena o di una maledizione formale; per esempio Gesù, dopo aver constatata la sterilità di un fico (Mt., XXI, 19) non solo non lo apprezzò, ma lo maledisse formalmente, condannandolo ad essere sradicato e bruciato. Per i Padri ecclesiastici, il fico infruttuoso è il simbolo d’Israele infedele a Cristo.


LA MALEDIZIONE DEL GIUDAISMO POSTBIBLICO

Siccome il Giudaismo talmudico e i suoi accoliti hanno rigettato il Signore Gesù, Iddio ha abbandonato il Giudaismo e i Giudei increduli: “Deus non deserit nisi prius deseratur / Dio abbandona solo dopo essere stato abbandonato” (S. Agostino). In questo senso si può dire che il Giudaismo è “maledetto formalmente”, ossia condannato e non solo “disapprovato oggettivamente” in quanto viene costatata la sua separazione da Dio; perciò è degno di essere abbandonato dal Signore, sanzionato o punito esplicitamente.
Per fare un esempio, il giorno del Giudizio particolare, per quanto riguarda l’anima che si presenta davanti a Cristo Sommo Giudice nello stato di peccato mortale: a) Gesù constata la sua separazione da Lui (maledizione oggettiva); inoltre b) Egli pronuncia la maledizione di condanna al fuoco eterno (maledizione formale); così è per Israele postbiblico: ά) non solo Dio constata la sua separazione da Lui, ma β) lo maledice formalmente e lo condanna all’anatema.


L’ETIMOLOGIA DI “MALEDIZIONE” 

“Maledetti” etimologicamente significa: “condannati, anatemizzati o s/comunicati, separati da Dio, allontanati da Dio, s/consacrati” (NICOLA ZINGARELLI, Vocabolario della Lingua italiana, Bologna, Zanichelli, X ed., 1970, voci corrispettive).

In questo senso l’Ebraismo postbiblico è condannato da Dio e si trova oggettivamente separato da Lui, non è più il “popolo eletto”, ma è stato “s/consacrato” e non è più in comunione con il Signore, ma è stato “s/comunicato” da Lui. 


L’HÈREM EBRAICO

Il termine greco e latino “anathema” traduce l’ebraico “hèrem” dal verbo “hàram”, che significa separare ed esprime la separazione di un oggetto o di una persona abominevoli, affinché non contaminino altre cose o persone (Lev., XXVII, 29). Per esempio i Cananei erano votati da Dio all’anatema, che comporta la distruzione fisica totale, per evitare il pericolo dell’idolatria.
L’Israelita, se cadeva nel peccato d’idolatria o di politeismo diventava anatema, ossia veniva separato dal popolo d’Israele non solo geograficamente, ma era eliminato fisicamente (Exod., XXII, 19). Dopo l’esilio babilonese (anno 586 a. C.) si sostituì all’uccisione la confisca dei beni e l’esclusione o scomunica dalla Comunità (Esdra, X, 8), pratica che si perpetuò sino al tempo di Gesù, in cui venivano scacciati dalla Sinagoga coloro che credevano nel Messia Gesù Cristo (Giov., IX, 22; Lc., VI, 22; Mt., XVIII, 15).
Perciò è paradossale, da parte cattolica, non osare più di ricordare che il Giudaismo deicida e incredulo nel Cristo venuto sia maledetto da Dio non solo oggettivamente, ma anche formalmente; quando invece il Giudaismo postbiblico ha costantemente scomunicato gli Ebrei credenti in Gesù come Messia sin a partire dai tempi della vita pubblica di Cristo fino ad oggi. Infatti leggiamo nel Vangelo: “Complottavano i Giudei [“conjuraverant Judaei”] di scomunicare dalla Sinagoga chiunque osasse dire che Gesù era il Messia” (Giov., IX, 22).


L’ANATEMA NEL NUOVO TESTAMENTO

Nel Nuovo Testamento il termine “anatema” permane, si veda Galati (I, 8); I Corinti (XII, 3; XVI 22); Romani (IX, 3). Si tratta essenzialmente di una “pena vendicativa”; solo in I Corinti (V, 5) e in I Timòteo (I, 20) si parla di una “pena medicinale” affinché il peccatore si converta (cfr. FRANCESCO SPADAFORA, Dizionario biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 29-30, voce “Anatema”). Infatti la pena è innanzitutto vendicativa e solo secondariamente medicinale.

Nella versione del Vecchio Testamento in greco, detta “dei Settanta”, la parola “anatema” indica una cosa o persona destinata da Dio o per Iddio alla distruzione fisica totale. Nel Nuovo Testamento conserva questo significato con una leggera sfumatura: cosa o persona colpita da maledizione divina e destinata genericamente o in senso lato alla rovina (cfr. P. PARENTE - A. PIOLANTI – S. GAROFALO, Dizionario di Teologia Dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 16-17, voce “Anatema” a cura di ANTONIO PIOLANTI).


LA MALEDIZIONE NEL TALMUD

Nel Talmud (Babba metsia 59b) la scomunica si divide in a) niddoui (separazione), essa è una forma blanda di “scomunica” in senso largo e dura sino a tre mesi al massimo; e in b) hèrem (scomunica in senso stretto), che è perpetua. “La cerimonia dell’hèrem è impressionante, essa ha luogo nella sinagoga ove si accendono le candele nere. Un tribunale rabbinico costituito da tre giudici pronuncia una maledizione, in cui si domanda - tra le altre cose - che la persona scomunicata sia colpita da malattie, che perda i suoi  beni, che sia maledetta da tutti, che non sia sepolta con rito religioso e, se è un uomo, che sua moglie sposi un altro” (G. WIGODER – S. A. GOLDBERG diretto da, Dictionnaire Encyclopédique du Judaisme, Parigi, Cerf/Laffont, 1996, p. 349, voce “Excommunication”).
La stessa cosa insegna il famoso esegeta cattolico padre Bonaventura Mariani: “L’hèrem è un’esclusione solenne e perpetua da ogni consorzio con i fedeli israeliti ed è accompagnata da maledizioni, che si rifanno al Deuteronomio cap. XXVIII” (Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, vol. I, coll. 1159-1160, voce “Anatema”).

Come si vede 1°) nel  Giudaismo postbiblico odierno si ricorre alla scomunica, che viene accompagnata da una maledizione esplicita; però 2°) si pretende che l’Ebraismo incredulo nella divinità di Cristo e deicida non possa essere neppure definito “maledetto e riprovato  da Dio”… e la cosa più triste è che i “cristiani” modernisti sono d’accordo con il diktat del Bené Berìt (la Massoneria ebraica)… che ha stilato la Dichiarazione Nostra aetate del Concilio Vaticano II sui rapporti tra Cristianesimo e Giudaismo postbiblico, la quale insegna falsamente che «gli Ebrei non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Scrittura».

Infatti Lazare Landau, sul Quindicinale ebraico/francese “Tribune Juive” (n. 903, gennaio 1986 e n. 1001, dicembre 1987) scrive: «Nell’inverno del 1962, i Dirigenti ebrei ricevevano in segreto, nel sottosuolo della sinagoga di Strasburgo, un inviato del Papa [...] il padre domenicano Yves Congar, incaricato da Bea e Roncalli di chiederci, ciò che ci aspettavamo dalla Chiesa cattolica, alla vigilia del Concilio [...] la nostra completa riabilitazione, fu la risposta [...]. In un sottosuolo segreto della sinagoga di Strasburgo, la dottrina della Chiesa aveva conosciuto realmente una mutazione sostanziale».


CONCLUSIONE

La Sinagoga talmudica – che l’Apostolo S. Giovanni chiama ben due volte “Sinagoga di Satana” (Apoc., II, 9; III, 9) – dopo l’uccisione di Cristo, è stata disapprovata, maledetta, rigettata da Dio, che ha costatato la sua infedeltà al “Vecchio Patto” stretto da Lui con Abramo/Mosè (1900 a. C./1300 a. C.) e l’ha ripudiata o allontanata da Sé per stringere una “Nuova ed Eterna Alleanza” con il “piccolo resto” o “reliquia” d’Israele fedele a Cristo e a Mosè (Cfr. SALVATORE GAROFALO, La nozione profetica del “Resto d’Israele”, Roma, Lateranum, nn. 1-4, 1962), e con tutte le Genti pronte ad accogliere il Vangelo, le quali in massima parte hanno corrisposto al dono di Dio; mentre solo una “reliquia” di Gentili lo ha rifiutato, per adorare se stessa tramite gli idoli pagani che si era costruiti, narcisisticamente, a mo’ di specchio.

Quindi, a mo’ di riassunto, possiamo affermare che IL GIUDAISMO POST-BIBLICO È MALEDETTO NON SOLO OGGETTIVAMENTE, MA ANCHE FORMALMENTE ed è pure RIPROVATO O DISAPPROVATO DA DIO, ossia sino a che esso permane nel rifiuto ostinato di Cristo, non è unito spiritualmente a Dio, non è caro a Lui, non è in grazia di Dio, ma è separato dal Signore, non avendo la fede poiché “senza la fede è impossibile piacere a Dio” (Ebr., XI, 6).

Eugenio Zolli, l’ex rabbino capo di Roma convertitosi al cattolicesimo scrisse: «Il popolo ebraico, che era stato il veicolo della Rivelazione, quando questa si presentò nella sua pienezza con Cristo e gli Apostoli, la rigettò, almeno nel maggior numero dei suoi componenti, e si pose fuori della Chiesa. […]. Nell’Ebraismo più che la Morale sono il Culto e il Dogma che costituiscono offesa a Dio, perché si basano sul rifiuto di ascoltare la Sua Voce, che si è fatta udire con la più alta risonanza nella pienezza dei tempi: “In principio era il Verbo…” (Giov., I, 1 ss.). Di conseguenza gli atti di Culto ebraico costituiscono atti contrari alla Virtù di religione, perché onorano Dio con un culto oramai falsato dagli avvenimenti» (F. ROBERTI – P. PALAZZINI diretto da, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, 1955, pp. 450-452, voce “Ebraismo”, a cura di E. ZOLLI; ristampa, Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2019).
Quindi il Giudaismo si è messo fuori della Comunione con Dio e i suoi atti di culto religioso sono  idolatrici; perciò Dio ha dovuto condannarlo quale separato, scomunicato o maledetto e idolatrico, analogamente a quanto avviene al Giudizio particolare, in cui Dio prende atto dello stato di grazia o di peccato mortale del morto e pronuncia la benedizione o maledizione: “Entra nella Gioia del tuo Signore” oppure: “Via lontano da Me, maledetti nel fuoco eterno!” (Mt., XXV, 41).

Dunque si può affermare, teologicamente parlando e senza nessun timore di antisemitismo biologico, che il Giudaismo rabbinico/talmudico è un’idolatria maledetta o riprovata da Dio e si trova in uno stato di totale separazione da Lui.


NOTE

1 - C’è la maldicenza/mormorazione quando si riferisce il peccato privato e non conosciuto pubblicamente di un altro; invece si ha la maldicenza/calunnia quando si attribuisce ad uno un male che non ha commesso.
2 - Anania fu Sommo Pontefice dal 47 al 60, come narra Giuseppe Flavio (Guerra Giudaica, II, 17, 9; Antichità Giudaiche, XX, 5, 2; XX, 6, 2; XX, 8, 2). Fu un uomo crudele, avaro e dissoluto. Qualche tempo prima della morte fu deposto dal Pontificato dal Governatore Felice.
3 - La “vendetta” o “pena vendicativa” (in latino “justa vindicatio”) è la punizione mediante l’inflizione di una pena o di un male fisico per contraccambiare o castigare un male fatto. È lecito, e certe volte doveroso e persino virtuoso, punire i malvagi per tenerli a freno, togliendo loro ciò che amano ancor più di quello che si sono procurato delinquendo, ad esempio la vita, la libertà, i beni materiali. Cfr. S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q. 108, aa. 1-4.
4 - Cfr. F. ROBERTI – P. PALAZZINI, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, 1955, p. 986, voce “Pena”; ristampa Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2109.
5 - La “prima Legislazione” è quella data da Dio a Mosè sul monte Sinai (Libro dell’«Esodo») nel 1300 a. C. circa. La “seconda Legislazione” - come è rivelato nel 5° ed ultimo Libro dell’intero “Pentateuco”: il “Deuteronomio” – venne data a Mosè – nella pianura di Moab dinanzi alla città di Gerico e al fiume Giordano – 40 anni dopo (nel 1260 a. C. circa), poco prima che morisse sul monte Nebo, essendo giunto all’età di 120 anni (e fosse rimpiazzato da Giosuè, che entrò nella Terra Promessa, come viene narrato dal Libro di “Giosuè”).




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