L’omosessualità sdoganata

dai preti dei tempi post-moderni


di Francesca de Villasmundo


Pubblicato su Media Press Info






Alla vigilia di compiere l’atto più prudente del suo episcopato, la consacrazione di quattro vescovi per salvaguardare la Tradizione cattolica, avvenuta il 30 giugno 1988, Mons. Lefebvre, il vescovo che resistette allo spirito novatore del concilio Vaticano II per non collaborare «all’autodemolizione della Chiesa», nel corso di un’intervista fece questa triste constatazione per spiegare la sua decisione:

«Ma oggi, ciò che è in ballo è la Fede stessa. Io sento che la Chiesa «conciliare» cambia e mette in pericolo il centro della Fede cattolica. (…) Accettare la libertà religiosa, l’ecumenismo, le riforme conciliari, per me significherebbe contribuire all’opera di «autodemolizione» della Chiesa. In coscienza, questo non mi è possibile. Il liberalismo del Papa distrugge dall’interno la Fede cattolica. (…) La Fede è l’insegnamento della Chiesa nel corso dei secoli, conformemente all’insegnamento degli Apostoli.»

Trentuno anni più tardi, il cataclisma procurato dal Vaticano II, «questa terza guerra mondiale», come lo definiva lo stesso vescovo, non cessa di fare disastri, di «mettere in pericolo la fede cattolica» e la salvezza delle anime, cambiando la dottrina per meglio «aprirsi» al mondo. Questo orientamento pastorale antropocentrico dato dal Vaticano II si adatta nel corso degli anni ai costumi e alle mode del mondo contemporaneo.

Essendo oggi di moda l’arcobaleno, la dottrina conciliare si ammanta dei suoi mille colori attraverso i teologi mondani. Questi chierici post-moderni e post-Concilio rigettano dottamente la dottrina cattolica tradizionale sul peccato di omosessualità.
Fra costoro ve n’è uno, prete dal 1991, professore di teologia morale nel seminario della diocesi di Milano e nella facoltà di Teologia Morale dell’Italia del Nord, don Aristide Fumagalli, che non solo la rifiuta, ma insegna tutto il contrario ai suoi allievi, in maggioranza seminaristi.

Il suo corso sulla Morale speciale per l’anno 2019-2020 alla Facoltà di Teologia Morale dell’Italia del Nord, intitolato esplicitamente Amore sessuale e fede cristiana, tratterà, «a partire dall’ascolto dell’esperienza omosessuale», le «variegate interpretazioni delle scienze umane al fine di pervenire ad una comprensione il più possibile accorta e complessiva», e ricorrerà «all’insegnamento tradizionale della Chiesa» per «chiarire quanto esso intercetti effettivamente e quanto invece non colga adeguatamente l’attuale esperienza omosessuale di persone credenti».
Ciò permetterà il dialogo, spiega ancora la presentazione del corso, e, «sulla scorta di una rinnovata interpretazione e valutazione cristiana dell’amore omosessuale, si provvederà a indicare i criteri morali che devono orientare la vita amorosa di persone omosessuali affinché anch’essa corrisponda al comandamento nuovo dell’amore di Cristo».

Queste righe sono più che sufficienti per comprendere il cambiamento sostanziale attuato nei confronti della dottrina relativa a questa questione morale.
Già chiamare «amore» la pulsione omosessuale è un errore che serve ad assolverla… chi oserà essere contro l’«amore»? Poi, studiare quanto «l’insegnamento tradizionale della Chiesa» «intercetti effettivamente e quanto … non colga adeguatamente l’attuale esperienza omosessuale di persone credenti» di fatto capovolge i ruoli: non più l’insegnamento tradizionale che detta la norma, ma l’esperienza omosessuale che detta la dottrina.
E per finire, l’idea che «si provvederà a indicare i criteri morali che devono orientare la vita amorosa di persone omosessuali» significa che la relazione contro natura non è più immorale, ma porta con sé la propria moralità e può corrispondere «al comandamento nuovo dell’amore di Cristo».

Ecco dunque il nuovo insegnamento che ricevono i futuri preti conciliari, accreditato dal vescovo di Milano e non sanzionato dal Vaticano e da Papa Francesco.
Quanto ridicole e ipocrite si rivelano a questo punto i lamenti della gerarchia ufficiale davanti al muro dei numerosi scandali legati alla pratiche contro natura che si svolgono al suo interno!

Questo è il nuovo paradigma arcobaleno della postmoderna Chiesa conciliare: non più principi cattolici assoluti che trascendo il tempo e lo spazio, tutti gli insegnamenti anteriori al concilio Vaticano II devono essere giudicati alla luce dell’esistenza e dell’esperienza, le quali diventano così co-produttori della dottrina.

Il concilio Vaticano II ha aperto la via ad un «aggiornamento» della dottrina che non conosce freni: è una rivoluzione modernista senza fine che trascina la sua carcassa sul cammino della «religione del progresso indefinito», progresso che è il nome dato alla decadenza della virtù… il poeta Charles Baudelaire l’aveva capito già un secolo e mezzo fa:

«E’ anche un forte errore alla moda, da cui mi voglio guardare come dall’Inferno.
Parlo dell’idea di progresso. Questo fanale oscuro, invenzione del filosofismo attuale, brevettato senza garanzia della natura o della Divinità, questa lanterna moderna che getta le tenebre su tutti gli oggetti della conoscenza; la libertà svanisce, il castigo scompare. Chi vuol vedere chiaro nella storia deve prima di tutto spegnere questo perfido fanale.
Questa idea grottesca, che è fiorita sul terreno marcio della fatuità moderna, ha sollevato ognuno dal suo dovere, liberato ogni anima dalla sua responsabilità, liberato la volontà da tutti i legami che gli imponeva l’amore del bello: e se questa penosa pazzia durerà a lungo, le razze indebolite si addormenteranno sul cuscino della fatalità nel sonno scomposto della decrepitezza. Questa infatuazione è la diagnosi di un declino già troppo visibile.
Chiedete a qualsiasi buon francese che legge ogni giorno il giornale nel suo ufficio cosa intende per progresso, risponderà che si tratta del motore a vapore, dell’elettricità e dell’illuminazione a gas, miracoli sconosciuti ai romani, e che queste scoperte testimoniano pienamente la nostra superiorità rispetto agli antichi; a questo punto hanno prevalso le tenebre in questo cervello sfortunato e tante cose dell’ordine materiale e dell’ordine spirituale vi si sono bizzarramente confuse! Il pover’uomo è stato talmente americanizzato dai filosofi zoocrati e industriali, che ha perduto la nozione delle differenze che caratterizzano i fenomeni del mondo fisico e del mondo morale, del naturale e del soprannaturale.
Se oggi una nazione comprende la questione morale in un senso più delicato di quanto la comprendesse nel secolo precedente, vi è progresso; questo è chiaro. Se quest’anno un artista produce un’opera che testimonia più conoscenza o forza immaginativa rispetto all’anno scorso, è certo che egli ha progredito. Se oggi i prodotti alimentari sono di migliore qualità e meno cari di ieri, è innegabile che vi sia stato un progresso nell’ordine materiale. Ma dov'è, di grazia, la garanzia di progresso per il giorno dopo?
I discepoli dei filosofi del vapore e dei fiammiferi chimici è così che intendono il progresso: esso appare loro solo sotto forma di una serie indefinita. Ma dov’è la garanzia di questo? Io dico che esiste solo nella vostra credulità e fatuità.
Tralascio la questione di sapere se, deliziando l’umanità in proporzione ai nuovi piaceri che le procura, il progresso indefinito non sia la sua più geniale e crudele tortura; se, procedendo con un’ostinata negazione di se stessa, l’umanità non realizzi un tipo di suicidio continuamente rinnovato, e se, chiusa nel cerchio del fuoco della logica divina, non assomigli allo scorpione che si trafigge con la sua terribile coda; questo eterno desiderare che fa la sua eterna disperazione!»
(Charles Baudelaire, Curiosità estetiche, Esposizione universale, 1855)




Don Aristide Fumagalli insegna “gender”




novembre 2019

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