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Gli amici e i nemici della Regalità di Cristo Intervista
di Don Francesco Ricossa
![]() Don Francesco Ricossa: Nel
1919, giusto un secolo fa, ebbe luogo in Italia la fondazione di
movimenti e riviste: il movimento fascista, nato dalle trincee, il
Partito Popolare Italiano (i democristiani di Don Luigi Sturzo) e la
rivista antimodernista e cattolica integrale Fede e Ragione, poco conosciuta in
Francia. Questo triplice anniversario è una buona occasione per
studiare queste tre correnti di pensiero: il Fascismo, la Democrazia
Cristiana e il cattolicesimo integrale, alla luce della dottrina della
Regalità sociale di Cristo, che noi difendiamo.
Rivarol: Può parlarci per prima della rivista Fede e Ragione? Don Francesco Ricossa:
Questa rivista, dapprima mensile e poi settimanale, è stata
animata da Don Paolo de Töth e Mons. Benigni, che furono due
collaboratori del Papa San Pio X nel corso del suo pontificato. La
rivista durò fino alla fine del 1929. La rivista che in Francia
assomigliava di più a Fede e Ragione fu la RISS, la Revue Internationale des
Sociétés Secrètes [Rivista Internazionale
delle Società Segrete]. Fede e
Ragione era molto più vicina agli ideali cattolici
integrali. Nella prima conferenza io parlerò dei temi affrontati
nella rivista, ma soprattutto delle difficoltà che essa ha
incontrato con la linea tracciata sotto i pontificati di Benedetto XV e
Pio XI, in particolare con la Segreteria di Stato del Cardinale
Gasparri. E questo per offrire delle buone idee che i militanti
cattolici di oggi dovrebbero seguire; ed anche al fine di mostrare che
le difficoltà che si sono manifestate al concilio Vaticano II si
potevano già trovare in germe anni prima.
Rivarol: Perché la rivista ha cessato bruscamente di essere pubblicata alla fine del 1929, dopo dieci anni di esistenza? Don Francesco Ricossa: La
rivista Fede e Ragione ha
cessato la pubblicazione in maniera inattesa. Non come certi periodici
che incominciano ad essere pubblicati sempre di meno, che perdono dei
lettori e conoscono delle difficoltà economiche. Il paradosso
è che la rivista era in pieno rigoglio, ma, ahimè,
subiva degli attacchi sempre più forti da parte dei Gesuiti de La Civiltà Cattolica e della
Segreteria di Stato del Cardinale Gasparri. La rivista era protetta
dall’Ordinario del luogo, il vescovo di Fiesole, una piccola diocesi
vicino a Firenze, ove la rivista veniva stampata. La brusca chiusura di
questa rivista, alla fine del 1929, fu dovuta probabilmente a due
fattori concomitanti: da una parte le pressioni esercitate dagli
elementi cattolici su citati, dall’altra, il governo fascista, nel
clima di pacificazione degli accordi del Laterano con la Santa Sede,
non lasciò vivere questa esperienza, senza dubbio sotto
l’influenza del Vaticano. Mussolini aveva solo stima per questa
rivista, diceva al suo Direttore: «Che non si tocchi Don de Töth, egli
è il solo che dice la verità, che parla chiaramente e che
è capace anche di criticarmi».
L’ostilità nei confronti
dei cattolici intransigenti, all’epoca non si è manifestata solo
in Italia, ma anche in Francia, poiché, sempre nel 1929, un
sacerdote francese, amico e collaboratore di Mons. Benigni, Don Paul
Boulin, dovette abbandonare la collaborazione con la RISS, a causa dell’intervento del
comitato di vigilanza della diocesi di Parigi, cosa peraltro
paradossale: un consiglio di vigilanza installato dal Papa San Pio X
per lottare contro il modernismo, venne utilizzato per epurare gli
antimodernisti. E questo prova che già all’epoca vi erano delle
cose che non erano normali e che spiegano quello che è poi
accaduto trent’anni dopo con l’arrivo di Giovanni XXIII e il Vaticano
II.
Rivarol: E tuttavia, il modernismo era stato fermamente condannato da San Pio X. Com’è possibile che solo quindici anni dopo la sua morte si assiste ad una forma di epurazione, di esclusione degli elementi cattolici più antimodernisti, più intransigenti, sia in Francia sia in Italia? Don Francesco Ricossa: In
effetti, il modernismo era stato fermamente combattuto e condannato dal
Papa San Pio X, al punto che il modernismo dogmatico, quello che si
occupava dell’esegesi, dei dogmi e della teologia, dovette
temporaneamente battere in ritirata e comportarsi come se fosse morto.
A partire dal 1914, ed anche un po’ prima, il modernismo
cominciò a ritirarsi negli ambiti che riguardavano maggiormente
il contingente, quelli che il Papa Pio XI, nell’enciclica Ubi arcano Dei, chiama giustamente
“modernismo sociale”. Questo modernismo si rifugiò, per esempio,
nel movimento liturgico degli anni 1920 e 1930, nelle questioni
politiche e sociali (la Democrazia Cristiana, il sindacalismo,
l’aconfessionalismo), vale a dire in quelle materie in cui è
più difficile distinguere ciò che appartiene alla fede da
ciò che ha minore importanza. Fu in questo modo che i modernisti
poterono sopravvivere, riprendere forza, riorganizzarsi e preparare una
rivincita eclatante che è sopraggiunta col Vaticano II. Essi
hanno avuto degli appoggi in alto loco. Senza di questo non si
spiegherebbe quello che è accaduto negli anni sessanta e che
prevale ancora oggi, sessant’anni dopo. Il che, peraltro, va da peggio
in peggio: quando si vede che al Sinodo sull’Amazzonia Bergoglio si
abbandona ad un culto panteista con la Pachamama e apre la via al
matrimonio dei preti, e in maniera insidiosa, secondo il modo abituale
dei modernisti, fa anche un passo verso il sacerdozio femminile. Chi
può credere seriamente che quest’uomo è il Vicario di
Cristo?
Anche se la dottrina non
cambiò da San Pio X ai suoi tre successori (Benedetto XV, Pio XI
e Pio XII), come testimonia l’ammirevole continuità delle
encicliche, non c’è dubbio che sotto Benedetto XV e Pio XI i
cattolici integrali che erano i più fedeli collaboratori di San
Pio X siano stati allontanati, e che quindi vi sia stata una flessione
molto spiacevole circa le cose pratiche, la nomina, la promozione o
l’allontanamento di certe personalità. Si è trattato
dell’inizio lontano, ma reale, della situazione che viviamo noi oggi.
Io non sono di quelli che criticano in maniera esagerata i Sommi
Pontefici, al contrario, ma è certo che all’epoca sono state
fatte delle scelte pratiche contestabili.
Dopo la condanna del Sillon da parte di San Pio X e
l’apparente sottomissione di Marc Sangnier, quest’ultimo è stato
considerato come rinnovato ed ha potuto prendere in mano, negli anni
1920 e 1930, una parte importante dei cattolici francesi. In Italia,
c’è stato il caso un po’ simile di Don Sturzo, salvo che
quest’ultimo ha avuto dei problemi col regime fascista al quale era
molto ostile.
Circa la Francia, si parla
generalmente solo della questione dell’Action
Française e non di un’altra questione che tuttavia ha
avuto delle conseguenze molto importanti: quella delle associazioni
diocesane. Su questo si è giuocata una grossa battaglia che ha
avuto un’influenza considerevole sugli equilibri del cattolicesimo
francese e sull’episcopato.
San Pio X aveva rifiutato i
cultuali, ma i suoi successori accettarono le associazioni diocesane,
il che non era per niente la stessa cosa. Dunque, dal punto di vista
della dottrina stricto sensu,
niente da dire, ma dal punto da vista delle convergenze pratiche tra il
governo francese e la Santa Sede, e soprattutto delle conseguenze che
ciò ha avuto tra i cattolici francesi, e in modo singolare
nell’episcopato, vi è stato come un cambiamento di linea molto
netto, che è stato particolarmente infelice.
Rivarol: Come giudicare il Fascismo da un punto di vista integralmente cattolico? Don Francesco Ricossa:
Il Fascismo in senso stretto riguarda solo l’Italia, paese in cui il
movimento fascista è nato, ma in senso più largo riguarda
tutta l’Europa, con i movimenti simili. Si tratta di un movimento
che è stato una reazione a dei pericoli reali, nata nelle
trincee.
In una seconda conferenza
esporrò quali sono i punti di accordo e di disaccordo tra il
Fascismo e la dottrina del cattolicesimo integrale e mostrerò
come questa rivista di cattolici integrali, Fede e Ragione, abbia giudicato il
Fascismo, il Fascismo degli inizi, il Fascismo movimento del 1919, con
i quali ci fu un’opposizione netta, e il Fascismo regime a partire
dalla fine del 1922 e del 1923, quando la politica di Mussolini
incominciò a cambiare, allontanandosi sempre di più dalla
Massoneria che era presente all’inizio, e cercando di trovare un
accordo fra la Chiesa cattolica e il movimento fascista.
Mons. Benigni espresse all’inizio
un giudizio molto severo sul movimento fascista che nasceva, vedendovi
l’influenza della Massoneria. In seguito, quando vide che grazie al
governo nazionale di Mussolini, c’era il modo per lavorare insieme
contro i nemici comuni: e cioè la Massoneria e tutte le sette
esoteriche, il movimento modernista e la Democrazia Cristiana ed altri
nemici comuni, egli scelse la collaborazione; al punto di passare delle
informazioni al governo, prima al Ministero degli Esteri e poi al
Ministero dell’Interno. Com’è possibile che un difensore del
cattolicesimo integrale sia passato da una posizione ostile al
movimento fascista al sostegno attivo al governo di Mussolini? E’
quello che bisognerà spiegare nella conferenza.
Rivarol: Quali sono stati i rapporti tra il Fascismo italiano e la Massoneria? Don Francesco Ricossa: Il
Fascismo si dichiarò apertamente contro la Massoneria (non sulla
questione di fondo, bisogna dirlo, ma sul fatto che la Massoneria era
una società segreta). Si ebbe il voto del Gran Consiglio che
escludeva la possibilità di appartenere contemporaneamente al
Partito Fascista e alla Massoneria, e in seguito vi fu una legge
nazionale che soppresse le società segrete. Anche se questa
legge non conteneva esplicitamente il termine massoneria, nel momento
che venne discussa in Parlamento era perfettamente chiaro che si
trattasse della Massoneria.
D’altra parte, è
assolutamente certo che i principali dirigenti del Fascismo italiano,
al momento della Marcia su Roma nell’ottobre 1922, con la notevole
eccezione di Mussolini, fossero quasi tutti iniziati. Le due Obbedienze
massoniche, il Grande Oriente e la Gran Loggia, apportarono anche un
sostegno economico al Fascismo, all’inizio del regime. Ma in seguito,
dalla teosofia e dai gruppi esoterici furono fomentati degli attentati
contro Mussolini. Da una certa collaborazione si arrivò ben
presto ad una franca ostilità. Perché vi fu questo
cambiamento di linea? E fino a che punto? Sarà questo l’oggetto
di studio di queste conferenze.
Rivarol: Quando Mussolini arrivò al potere, nell’ottobre del 1922, Pio XI era stato eletto Papa solo da pochi mesi. Qual era il suo parere sul Fascismo mussoliniano? Don Francesco Ricossa: Il
parere di Papa Pio XI era sfumato. Egli ebbe un’attitudine favorevole
quando si trattò di intendersi col governo di Mussolini in
occasione dell’accordo del Laterano, nel 1929, accordo che fu preceduto
da diversi anni di colloqui. Durante questo periodo preparatorio vi
furono delle difficoltà, ma anche dei reali passi avanti.
Poi, vi fu un contrasto sulla
questione dell’educazione cristiana della gioventù, e sulla
questione si ebbe anche l’enciclica di Pio XI, Divinus Illius Magistri; e un altro
contrasto vi fu sulla questione dell’Azione Cattolica. Con quest’ultima
si arrivò quasi alla rottura.
Le riserve di Pio XI sul Fascismo
somigliavano a quelle dei cattolici integrali, cosa logica, trattandosi
in entrambi i casi di cattolici, ma vi erano delle sfumature. I
cattolici integrali avevano apprezzato molto l’enciclica programmatica
di Pio XI, Ubi arcano Dei consilio,
ma la linea seguita dalla Segreteria di Stato del Cardinale Gasparri
era tutto all’opposto, e soprattutto quella del Direttore della rivista
gesuita La Civiltà Cattolica,
il Padre Rosa, nemico mortale dei cattolici integrali. I cattolici
integrali italiani, come Mons. Benigni, si sono dimostrati globalmente
più favorevoli della Santa Sede al Fascismo regime.
Rivarol: Che può dire del Partito Popolare cristiano, che è il soggetto della sua terza conferenza, Democrazia Cristina che dopo la guerra sembra sia stata appoggiata spesso dal Papa Pio XII per la preoccupazione di combattere il Comunismo, allora molto forte in Italia? Don Francesco Ricossa: Fin
dalla nascita del Partito Popolare Italiano, nel 1919, la rivista Fede e Ragione espresse una
condanna totale. Nei suoi dieci anni di esistenza, essa criticò
fortemente la Democrazia Cristiana, in particolare sulla questione
dell’aconfessionalismo. In effetti, il Partito Popolare Italiano si
definiva come un partito che non doveva essere né si doveva
dichiarare cattolico.
D’altronde, quale fu l’attitudine
di Pio XII nei confronti alla Democrazia Cristiana? Per prima cosa
bisogna sapere che il cattolicesimo intransigente e integrale, dopo la
guerra e sotto il pontificato di Pio XII, non esisteva quasi
più, cosa peraltro tragica. Tranne il Comunismo, il solo
movimento organizzato che usciva dalla guerra con una vittoria era la
Democrazia Cristiana. Il Papa, dunque, tenne conto di questo rapporto
di forze, preoccupato di combattere il Comunismo potente e pericoloso.
Tuttavia, il pontificato di Pio XII non si è identificato
completamente con la Democrazia Cristiana. Sono noti i problemi seri
tra De Gasperi, capo della Democrazia Cristiana, e Pio XII, che
arrivò fino al punto di rifiutare di ricevere quello che era pur
sempre il capo del governo italiano.
Pio XII era molto al corrente di
queste questioni. Quando volle canonizzare Papa Pio X, egli sapeva a
quali opposizioni andava incontro, e aveva conosciuto bene Mons.
Benigni di cui fu nel 1911 il successore, come sottosegretario agli
affari straordinari della Segreteria di Stato. Pio XII si rese conto
del problema, ma forse non a sufficienza, e in ogni caso dopo la guerra
la situazione era già molto critica.
Rivarol: Secondo lei, che deve fare oggi un militante cattolico? Don Francesco Ricossa:
Difendere la Regalità sociale di Gesù Cristo. Bisogna
essere integralmente cattolici, e cioè non aderire solo
all’insegnamento di Cristo e della Chiesa, cosa che è il minimo
per essere cattolici, ma bisogna anche organizzare tutta la
società secondo i princípi della fede e della morale
cattoliche, dell’insegnamento di Cristo e del Magistero della Chiesa.
Non vi è dominio della vita sociale dell’uomo (politico,
economico, civile, familiare, educativo) a cui non si debbano applicare
i princípi della Rivelazione e del Magistero. Tutti i movimenti
populisti attuali che i media chiamano di destra o di estrema destra o
che talvolta si designano essi stessi come sinistra nazionale, bisogna
giudicarli innanzi tutto dal punto di vista del cattolicesimo e della
dottrina della Regalità sociale di Gesù Cristo. E da
questo punto di vista si può essere solo severi. Salvini in
Italia, anche se fa dei discorsi di buon senso sulla gestione
dell’immigrazione, non vuole rimettere per niente in questione il
“matrimonio” omosessuale, al pari dell’aborto e del carattere laico
dello Stato Lo stesso si può dire per Marine Le Pen in Francia e
per tutti i partiti populisti in Europa e in Occidente, che sono per di
più sottomessi al sionismo e al giudaismo internazionali, cosa
che è inaccettabile.
Il nostro scopo è dunque di formare i militanti cattolici di oggi, in modo che non si lascino attirare da movimenti e soprattutto da dottrine che non sono fondate sulla dottrina della Regalità sociale di Cristo. Quali che siano le difficoltà, e oggi sono numerose, il militante cattolico deve militare con la bandiera cattolica della Regalità sociale di Gesù Cristo bene in alto. Bisogna apprendere e difendere i buoni princípi, poiché molto spesso vi è molta confusione tra i militanti cattolici di oggi. Dunque, è indispensabile formarsi su tutte le questioni che riguardano la dottrina sociale, studiare le buone fonti, i buoni autori, ed anche ritrovare una tradizione che purtroppo è molto misconosciuta. (torna
su)
novembre 2019 |