BUON NATALE A CHI SE LO MERITA

Buon Natale Pachamama?


di Roberto Pecchioli


Pubblicato su Accademia Nuova Italia






Dicono che a Natale si diventa più buoni. Non è vero; tutt’al più si è più ipocriti che nel resto dell’anno. E’ tutto un fiorire di sorrisi stereotipati, strette di mano e l’immancabile parolina magica: auguri! Il significato della parola richiama i sacerdoti romani che interpretavano, come presagio, il volo degli uccelli. L’augurio è quindi un auspicio, un desiderio: ebbene, io non desiderio affatto un buon Natale per tutti. 

Innanzitutto perché, da credente cristiano, mi piacerebbe che ritornasse una riflessione, anche breve, piccola, sul significato di quella nascita di oltre due millenni fa. Nulla, silenzio perfino da parte di tanti uomini e donne di Chiesa, troppo impegnati con i nuovi dèi, l’idolo Pachamama, i migranti, per tacere di chi si occupa prevalentemente di affari o di traviare fanciulli.
 
Poi perché, come milioni di altri, troppo spesso ho vissuto il Natale come costrizione: era doveroso trascorrerlo con i familiari, spesso in condizioni psicologiche difficili, in compagnia di persone che in fondo non amavo. Infine, ed è il motivo più forte, non sopporto più il luna park del consumo, dei mercatini, delle luci per strada, l’obbligo dell’allegria forzata, il Babbo Natale in plastica Made in China che si arrampica dai poggioli.
Mi sento – è lo scorrere degli anni – come l’autoritratto di Egon Schiele: nudo, scorticato, con uno sguardo innaturale, le braccia penzoloni in posizione improbabile. O come uno che ascolta una musica, ma avverte solo la dissolvenza. In questi giorni si sentono più acute le assenze: ogni anno di più, si lascia sulla strada qualcuno e qualcosa che non tornerà. Resta la nostalgia, un dolore strano per il quale non conosciamo analgesici.




Buon Natale Pachamama? Io non desiderio affatto un buon Natale per tutti. Innanzitutto perché, da credente cristiano, mi piacerebbe che ritornasse una riflessione, anche breve, piccola, sul significato di quella nascita di oltre due millenni fa!


Natale, poi, è vicino alla fine dell’anno. Inevitabilmente, ciascuno fa bilanci. La maggior parte porta il segno meno e il colore rosso. E tuttavia bisogna ringraziare. Dio innanzitutto, per quello che ci ha dato dallo scorso Natale: la buona salute, le persone che amiamo e che ci sono state accanto. Un loro sorriso ci risarcisce di tante delusioni, del male visto, ricevuto e, ammettiamolo, anche di quello fatto.
Allora si scioglie il cuore di pietra del vecchio guerriero senza pace, metto da parte l’avversione natalizia e faccio anch’io gli auguri. Quelli veri, quelli che significano il desiderio del bene, della felicità, della fortuna. Non a tutti, sia chiaro.

Nonostante il consumismo aggressivo, voglio dimenticare una riflessione del sociologo Valerio Valeri sulle feste: “le feste non sono necessariamente trasgressive. Lungi dall’essere il caos supposto da alcuni teorici, sono più spesso il culmine dell’attività organizzata di molte società ”.  
E’ così, ma gettiamo alle ortiche i pensieri e scendiamo sulla terra.
Un buon Natale a chi deve lavorare, innanzitutto, e sono molti. Poi ai milioni che dovranno condividere la festa con persone che non amano. Consolatevi con la riflessione che ho consegnato a me stesso per tanti anni: anche Natale dura come gli altri giorni, poche ore ed è finita.
Buon Natale a chi sta male e alle tante brave persone che fanno qualcosa per gli altri. Il credente rivolga una preghiera sincera per loro.
Buon Natale, infine, a chi sarà lontano da chi ama.

Non è stato un esercizio di buonismo retorico per bilanciare quanto detto all’inizio: buon Natale, insisto, solo a chi se lo merita. Per tutti gli altri, e sono tanti, nessuna mano tesa, nessun sorriso di circostanza, nessun augurio stereotipato.
Ve lo dico chiaro: non mi importa nulla del vostro Natale e se mi importasse qualcosa, vorrei il peggio. Parlo di voi, cinici che conoscete solo il tornaconto, voi che vi mettete sempre dalla parte dei più forti, del potere, perché conviene, perché è più comodo. Li chiamo con una punta di cattiveria gli “juventini della vita”, quelli che vincono sempre, in un modo o nell’altro, o almeno così credono. Ricordate lo splendido brano dei Nomadi, Dio è morto? Una strofa mi torna in mente in questo tempo in cui avanzo a tentoni: “è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto: è un dio che è morto.”
Infatti ignoriamo la sua presenza pure nel giorno in cui è nato.




Buon Natale, solo a chi se lo merita? Vogliamo augurare Buon Natale ai pedofili, con e senza tonaca, ai farabutti di tutte le razze che hanno scelto lo Stivale perché è quasi garantita l’impunità?


Quale buon Natale, dunque? Ad essere generosi, tutt’al più buona digestione. Strafogatevi e tenete a portata di mano la magnesia per l’intestino.
Nessun buon Natale a politici che cambiano pelle e governo senza battere ciglio, negano ciò che affermavano ieri con la mano sul cuore. Quale augurio si può fare a chi ci trascina nelle fauci di finanzieri al di sopra di ogni legge (informatevi, italiani, informatevi!) approvando il MES, Meccanismo Europeo di Solidarietà, un nome che somiglia all’idea che la ghigliottina sia un ottimo rimedio per l’emicrania. Centoventicinque miliardi di euro, quasi duecentocinquantamila miliardi del vecchio conio regalati a dei gentili signori che ce li presteranno a strozzo in caso di bisogno. Anzi no, siamo troppo indebitati, li daranno alle banche tedesche piene di titoli “tossici”. 
Nulla di nuovo: un tale paragonava il prestito delle banche all’ombrello. Ve lo danno quando splende il sole, se lo riprendono alle prime gocce di pioggia. Ai falsari del MES non auguro neppure la buona digestione: si strozzino in mezzo ai (nostri) miliardi.

Nessun buon Natale a chi fa crollare i ponti delle autostrade nello stesso tempo in cui realizza profitti miliardari. Denaro che sarebbe potuto entrare nelle casse pubbliche, se non avessero svenduto il patrimonio di tutti. L’unico augurio per costoro e per i loro servitori politici è che allunghino le loro vacanze: faranno meno danni. Se resteranno in Italia, almeno alimenteranno il PIL; se lo possono permettere.
Nessun buon Natale a chi ha chiesto, voluto, ottenuto e promulgato le leggi che hanno reso il lavoro una schiavitù precaria. Quattro, cinque euro all’ora di salario, contratti a tempo, lavoro in affitto, correre e tacere. Viva la democrazia e il progresso.




Quale Buon Natale tutt’al più Buona digestione e ai falsari del Mes neppure quello:
si strozzino in mezzo ai (nostri) miliardi!



E che dire degli scafisti, degli sfruttatori dell’immigrazione clandestina, dei loro patroni internazionali (Soros e compagnia orribile) e dei loro amichetti ed amiconi di casa nostra? Uccidono una civiltà, sfruttano nuovi poveri cristi e in più ci guadagnano. Appalusi in platea e – ahimè - anche dal loggione.
Vogliamo augurare Buon Natale ai pedofili, con e senza tonaca, ai farabutti di tutte le razze che hanno scelto lo Stivale perché è quasi garantita l’impunità?
Non riusciamo a fare alcun augurio neppure a certi personaggi mediatici come un vignettista di cui non scrivo il nome per rispetto dei lettori, che per Natale ha prodotto una fenomenale prestazione intellettuale: Gesù neonato nella grotta piange disperato con ai lati, nel ruolo di Giuseppe e di Maria, due capi dell’opposizione, chiedendo di essere portato a Bibbiano. Sì, proprio nel paese in cui si sono svolti (no, si sarebbero svolti, per lorsignori vale il garantismo) abusi e illegalità a carico di minori e sottrazione di figli ai genitori.

A proposito, vogliamo fare gli auguri ai protagonisti di quelle disgustose vicende, estese magari alle famiglie “omogenitoriali” e al variopinto circo LGBT? No davvero.
Nessuna cordialità natalizia neppure per i giornalisti che da anni, attraverso il gruppo Carta di Roma, hanno riformulato le parole dell’immigrazione. Clandestino non si può dire, perché le frontiere non esistono, chi arriva è sempre un rifugiato o un profugo, chi non è d’accordo è xenofobo, ma è meglio razzista: più diretto, definitivo.
Pessimo Natale ai cultori del politicamente corretto che cambia le parole per formattare i cervelli, chiamare bianco il nero e acqua il vino.
Pessimo, orribile Natale agli inventori del Black Friday, alle offerte speciali, al “comodo pagamento rateale”, a chi aspetta Natale solo per non lavorare.
Forse, sono solo diventato vecchio, non so e non capisco. Guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po’, non riconosco più luoghi, persone, cose. 
Aspetto l’Epifania, che tutte le feste si porta via. Buona digestione.

 



dicembre 2019
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