Rivedremo i nostri cari?


di Francesco Lamendola


Pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia






Non solo la fede religiosa, ma anche la teologia e la retta filosofia ci assicurano che la vita terrena è solo un breve pellegrinaggio e dopo di essa saremo di fronte all’eternità.
Dal Fedone di Platone fino alle Briciole di filosofia di Kierkegaard, passando per san Tommaso d’Aquino e la sua splendida e monumentale Summa theologiae, mirabile esempio di quanto possa la ragione naturale quando procede non disgiunta e magari contrapposta, ma affiancata alla fede, per lumeggiare agli uomini il loro destino eterno, sempre troviamo confermata questa verità: la nostra vera patria è quella celeste, noi qui siamo solo dei pellegrini e dei penitenti.
Eppure, anche dopo letture così eccelse e meditazioni così profonde, permane in noi un residuo d’incertezza, una sottile sensazione di disagio e forse d’insoddisfazione. A noi non basta, infatti, sapere che vivremo in eterno: abbiamo l’assoluta necessità di sapere se la nostra vita eterna sarà un ripartire da zero, come una tabula rasa, senza alcun ricordo del passato, oppure perfettamente indifferenti ad esso; o se sarà la continuazione, ovviamente più luminosa e perfetta, e incomparabilmente più felice e pacificata, della nostra vita attuale. Perché solo in questo caso noi sapremo che ci è riservata la consolazione più grande: ritrovare le persone care che ci hanno lasciato, precedendoci lungo la strada per quale ciascuno deve passare; sapere che rivedremo il loro volto amato, e che potremo ancora riscaldarci il cuore di esultanza con la loro presenza, dopo aver sopportato per anni il pesante fardello della loro assenza.
Che ce ne faremmo della vita eterna, se non avessimo questa suprema consolazione? A che servirebbe tutta la felicità del Paradiso – stiamo parlando in un senso meramente umano, cioè da poveri stolti – se non ci fosse dato di ritrovarle, di poter essere di nuovo insieme a loro?  Se la madre non potesse riabbracciare il figlio morto anzitempo, e il figlio riabbracciare sua mamma; se la vedova non potesse ritrovare lo sposo tanto amato in vita, e lui non potesse rivedere lei, a che servirebbe la vita eterna?
E che senso avrebbe avuto la vita terrena, con tutte le sue prove, le sue rinunce, le sue difficoltà, ma anche con i suoi meravigliosi momenti di dolcezza? Sarebbe solo una tragica ironia, una beffa suprema. A tali condizioni, crediamo che ben pochi sceglierebbero tutta la beatitudine dell’eternità; la maggioranza preferirebbe – stiamo vaneggiando, stiamo parlando da pazzi: ma tale è il sentire degli esseri umani, per quanto spirituali – cessar di vivere del tutto, scomparire nel nulla.
Certo: al centro dell’eternità vi è Dio, fonte perenne di Amore inestinguibile, Principio e Fine di ogni cosa, di ogni bene, di ogni desiderio; ma come si può immaginare che Dio, che conosce tutto, non conosca questo segreto desiderio dei nostri cuori: ritrovare il volto delle persone care?




Non solo la fede religiosa, ma anche la teologia e la retta filosofia ci assicurano che la vita terrena è solo un breve pellegrinaggio e dopo di essa saremo di fronte all’eternità!


Tanto più che il Dio cristiano non è infinitamente lontano dalla realtà umana; si è anzi fatto uomo, ha preso un corpo di carne per vivere fra noi e per morire per noi, e con quella morte trionfare della morte, e socchiuderci la porta della beatitudine eterna.
Come dunque Egli non conoscerebbe questa nostra profondissima aspirazione? Ma certo che la conosce: non pianse forse Gesù Cristo, davanti alla tomba del suo amico Lazzaro? Se pianse, vuol dire che la sua morte lo aveva profondamente turbato; se si commosse a tal punto, significa che, nell’ordine complessivo della creazione, vi è il principio che nulla di quanto è buono andrà perduto, nessun sentimento e pensiero di bene si smarrirà nel vuoto, ma ogni cosa buona sarà infine ritrovata, ogni lacrima verrà asciugata e ogni sofferenza troverà consolazione. Come immaginare, altrimenti, che le lacrime stesse del Nostro Signore siano andate perse nel nulla? Perché Lazzaro, anche se resuscitato, era rimasto pur sempre mortale: Gesù non lo ha sottratto alla morte per sempre, non lo ha emancipato dalle catene della mortalità umana.




Rivedremo i nostri cari, se li avremo amati con cuore puro e con animo generosamente disinteressato; se avremo desiderato il loro bene, quindi, e non il nostro bene piccolo, meschino ed egoistico; se li avremo aiutati a procedere sulla via del Bene, che poi è anche la via della Verità, nel faticoso apprendistato della vita terrena!


No: è chiaro che noi riprenderemo la nostra nuova condizione di anime eterne esattamene dal punto in cui avevamo deposto questo corpo di carne, che abbiamo portato con noi nella vita terrena e che ha tanto condizionato il nostro modo di esistenza; e se ripartiremo da quel punto, è chiaro che non perderemo, bensì ritroveremo le anime alle quali abbiano voluto bene.
Ma qui appunto si trova il passaggio chiave per capire sotto quale forma ritroveremo le anime che abbiamo amato nella dimensione terrena. La condizione ineludibile sarà quella di aver amato davvero quelle persone, perché solo in quel caso noi saremo degni di ritrovarle, e il ritrovarle ci riempirà di gioia e di consolazione. Se le avremo amate male, con egoismo, con possessività, in maniera immatura e venata di opportunismo, non le ritroveremo, perché il ritrovarle non farebbe che rinnovare in noi, per tutta l’eternità, stati d’animo disordinati e dolorosi. Ma questo sarebbe l’Inferno: mentre ritrovare le persone care implica un passaggio ad uno stato superiore di esistenza, dove i nodi si sciolgono e i dubbi si disperdono; dove i dolori sono dimenticati e l’uomo vecchio, pieno di brame e di paure, cose che tengono attaccati alla dimensione terrena,  se ne è andato per sempre.
Dunque se passeremo ad uno stato superiore di esistenza – per essere chiari: eternamente beato e non eternamente dannato – ritroveremo tutto il bene e tutte le cose buone, e dunque senza dubbio ritroveremo le persone che abbiamo saputo amare nella maniera giusta, con sollecitudine e benevolenza e non con egoismo e possessività.




La nostra vera patria è quella celeste!


I sentimenti sono una forma di energia e l’energia, ce lo insegna la fisica, si trasforma, ma non  può essere distrutta. Il segreto dell’eternità della vita ultraterrena è comprensibile alla luce di questo principio: i pensieri e le azioni, buoni o malvagi, non si distruggono, ma continuano a esistere all’infinto dopo che i rispettivi sentimenti li hanno generati. L’Inferno è il ripercuotersi inesorabile dei cattivi pensieri e delle cattive azioni: esso è la negatività assoluta, quindi le persone care non verranno a consolare l’anima che si trova prigioniera nella rete spirituale da essi creata; oppure, se essa le incontrerà, avrà l’ulteriore dolore di vederle immerse nella sua stessa infelicità e disperazione.
C’è un solo modo per impedire che la catena autodistruttiva del male s’interrompa e le energie negative si trasformino in positive: il pentimento e l’espiazione durante la vita terrena, quando ancora esiste la possibilità di un soccorso celeste. Dopo, è troppo tardi. I teologi buonisti inorridiscono davanti all’eternità dell’Inferno; Bergoglio ha detto di ritenere che le anime malvagie si estingueranno dopo la morte del corpo. Essi hanno paura di ammettere che l’Inferno esiste e che etterno dura, come dice Dante (Inf., III, 8), perché pensano che ciò sia inconciliabile con l’infinito Amore di Dio. Come se il suo Amore fosse in contrasto con la sua Giustizia e come se la scelta consapevole del male non fosse opera dell’uomo, cattivo artefice della libertà che gli fu data in dono.





Rivedremo i nostri cari, dunque, se li avremo amati con cuore puro e con animo generosamente disinteressato; se avremo desiderato il loro bene, quindi, e non il nostro bene piccolo, meschino ed egoistico; se li avremo aiutati a procedere sulla via del Bene, che poi è anche la via della Verità, nel faticoso apprendistato della vita terrena.
A questa condizione, sì, li ritroveremo e uniremo la nostra gioia alla loro, nella smagliante luce divina. Ma, dirà qualcuno, con la morte si abbandona il corpo e quindi i puri spiriti sono simili gli uni agli altri; non vi sarà più distinzione fra il fratello e lo sconosciuto, fra il vicino e il lontano, e persino fra maschio e femmina: vi saranno solo anime splendenti. A questi fautori del comunismo ultraterreno, a questi odiatori della identità personale, rispondiamo che la morte non distrugge che il corpo carnale, ma non il corpo spirituale. Le anime conserveranno un corpo di luce, glorioso e immortale: non saranno puri spiriti nel senso di entità invisibili e indifferenziate. Certo, non saranno condizionati dalla materia e non saranno soggetti ai limiti e alle necessità fisiologici; non vedranno con gli occhi del corpo e non udranno con gli orecchi del corpo: ma vedranno e udranno e useranno tutti e cinque i sensi, con la sola differenza che questi non conosceranno più i limiti dello spazio e del tempo, ma abbracceranno tutta intera la realtà, poiché la fonte della loro percezione sarà Dio stesso, e in Dio tutto è trasparente, tutto è presente, tutto è palese, tutto è vicino.
Anche duemila anni fa i sadducei, negatori della vita dopo la morte, cercarono di far cadere in contraddizione Gesù Cristo su questo argomento, la condizione del corpo dopo la morte; e perciò gli chiesero, con aria falsamente ingenua: Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli. Da ultimo anche la donna morì. Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie (Luca, 20, 28-33).





Il Regno dei Cieli è stato silenziosamente spodestato dal regno di questo mondo,
e ora ne vediamo l’estrema deriva: con il culto di Pachamama!



E ad essi, conosciuta la loro malizia, rispose  il divino Maestro: I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione da morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui (id., 34-38).
Ma un corpo, un corpo glorioso e immortale, sopravvive alla morte: non si è forse nutrito di pesce arrostito Gesù Cristo, dopo la Resurrezione, quando apparve ai discepoli sulle rive del Mare di Galilea, per convincerli di non essere un’apparizione, né un fantasma? Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. (id., 24, 36-43).
E ancor prima di questo episodio, non aveva forse spezzato il pane e non lo aveva mangiato a tavola, insieme ai due discepoli di Emmaus? Un puro spirito disincarnato non può spezzare il pane, e tanto meno mangiarlo; anche se può entrare in una stanza a porte chiuse, come fa Gesù nel cenacolo per rivelarsi ai suoi. E nemmeno può dire a qualcuno: Metti il dito nel mio costato e vedi la piaga che c’è in esso.




  Nell’ordine complessivo della creazione, vi è il principio che nulla di quanto è buono andrà perduto: nessun sentimento e pensiero di bene si smarrirà nel vuoto, ma ogni cosa buona sarà infine ritrovata, ogni lacrima verrà asciugata e ogni sofferenza troverà consolazione. Come immaginare, altrimenti, che le lacrime stesse del Nostro Signore, versate per il suo amico Lazzaro siano andate perse nel nulla?


Si sarà osservato che il clero, di questi tempi, ha praticamente cessato di parlare di tali cose. Ha pressoché cessato di predicare i Novissimi: Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso, che fino a un paio di generazioni fa erano al centro di ogni catechesi. E il motivo è chiaro: il falso clero modernista vorrebbe rinchiudere l’anima nell’orizzonte ristretto delle cose materiali; con la scusa, alquanto ipocrita, della carità verso il prossimo (come se la vera carità si preoccupasse solo del pane!), vogliono suggerire l’idea, pur senza dirlo apertamente, che preoccuparsi della vita dopo la morte è una forma di alienazione, una fuga dalle responsabilità di questo mondo. Anche da ciò si vede fino a che punto il materialismo, l’immanentismo, lo storicismo e il marxismo sono penetrati, come un veleno micidiale, nei seminari e nelle facoltà cattoliche, a partire dal Concilio Vaticano II: quando si è smesso di studiare San Tommaso d’Aquino, si è tirato un rigo sulla philosophia perennis e si sono aperte, anzi spalancate, le porte a Bultmann, Heidegger, Rahner, Freud, la psicanalisi e tutto il resto.
Il Regno dei Cieli è stato silenziosamente spodestato dal regno di questo mondo, e ora ne vediamo l’estrema deriva: con il culto di Pachamama, la Madre Terra, introdotto non di soppiatto, ma trionfalmente, nella Chiesa cattolica, e con degli sciagurati vescovi che portano a spalla, sorridenti, gli idoli fin dentro la basilica principale della cristianità, San Pietro a Roma; e con degli sciagurati frati e suore che si prostrano, il culo all’aria, ad adorare l’idolo maligno, già insozzato dal sangue di sacrifici umani, sotto l’occhio benevolo e compiaciuto dell’antipapa Bergoglio.
Lo stesso significato hanno le incessanti persecuzioni contro lo spirito contemplativo, contro la preghiera, allo scopo di sostituire ad essa un attivismo frenetico, come dar da mangiar ai poveri (una volta l’anno, e coi fotografi!) dentro le chiese, portando via i banchi e sospendendo le sacre funzioni, per far vedere che sfamare il prossimo di cibo perituro è assai più importante che sfamarlo col Pane di Vita eterna, che è il Corpo stesso di Gesù Cristo, nel mistero ineffabile della santa Eucarestia!




È il Diavolo che vuole distoglierci dalla preghiera! Perché pregare intensamente,
come ci ha insegnato Gesù (cfr. Lc, 18, 1), significa restare uniti a Lui!



Il gesto di Bergoglio, che separa le mani del bambino congiunte in preghiera, e l’ultimo episodio di persecuzione contro i religiosi contemplativi, ossia il tentativo di scacciare le suore domenicane di clausura dal loro convento di Marradi con l’accusa di dedicare troppo tempo alla preghiera (!), indicano chiaramente la stessa strategia: una strategia diabolica. È il Diavolo che vuole distoglierci dalla preghiera, perché pregare intensamente, come ci ha insegnato Gesù (cfr. Lc, 18, 1), significa restare uniti a Lui e non perdere di vista l’essenziale a vantaggio delle cose transeunti.
L’essenziale è la vita eterna, non questo misero affaccendarsi fra le cose di quaggiù (id, 10,42). Anche la carità materiale verso il prossimo, se non è vivificata dallo spirito e dalla preghiera, non giova a nulla: riempie lo stomaco per qualche ora, e poi?
Il cibo di cui abbiamo bisogno è il Cibo della vita eterna.






gennaio 2020

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