L’INDOTTRINAMENTO AL NULLA

Indottrinamento senza dottrina


di Roberto Pecchioli


Pubblicato su Accademia Nuova Italia






Dalle nostre parti abbiamo un’espressione irriferibile per descrivere la vanità del tentativo di rianimare i morti. Ne prendiamo atto, ma continuiamo ad accogliere l’esortazione di Cicerone: piantare alberi per altre generazioni.
Nell’Italia e nell’Occidente terminale uno spettatore imparziale trova infinite occasioni di studiare l’agonia e praticare autopsie, esercizi macabri ma necessari. Nella spaventosa guerra di trincea e di materiali, le tempeste d’acciaio della prima guerra mondiale, risuonò il grido inascoltato di Paul Valéry: Civiltà, ricordate che siete mortali!

Il laboratorio italiano, tra mascherine per proteggersi da un virus di cui l’unico elemento certo è la menzogna generalizzata e una strana allegria di naufraghi, ci consegna al ridicolo. Il primo ministro attacca i sanitari in prima linea contro la malattia - a Caporetto fu la stesso, la rotta dell’esercito addossata ai poveri fantaccini - mentre l’Italia intera si blocca per il coronavirus. Una nazione chiusa per paura di un contagio che tuttavia, dicono, non è così pericoloso: il genere farsesco al potere.
Solo un Dio ci può salvare, concluse Heidegger. Impossibile, Dio è un’invenzione del passato, gli astuti europei credono solo a ciò che vedono. Peccato che miopia e astigmatismo confondano il panorama.

Il cardinale guineano Robert Sarah, per noi il vero “papa nero”, una delle superstiti voci cattoliche della neo Chiesa, scrive senza mezzi termini che la fine dell’Europa è figlia dell’abbandono del cristianesimo.
Come Agostino contemplava l'incredibile spettacolo del crollo incipiente di Roma, noi osserviamo svanire tutto ciò che era nostro. Non si salva neppure il carnevale. Credevamo che fosse ancora vero l’antico adagio secondo cui a carnevale ogni scherzo vale. Non è più così, l’estenuata civilizzazione, negli spasmi di una prolungata e ormai ridicola agonia, nell’impulso suicida di un mesto cupio dissolvi, è offesa, irritata, guardinga, con l’indice puntato contro tutto ciò che richiama alla vita, ovvero al passato. Gli indignati in servizio permanente della polizia del pensiero considerano inaccettabile la discriminazione di genere nei costumi di carnevale.




L’indottrinamento senza dottrina!


No, non siamo in un cabaret comico a base di nonsense, ma nella realtà superiore a ogni fantasia distopica. Avanti dunque con il carnevale politicamente corretto e rispettoso dei nuovi valori a cui dobbiamo essere educati. Maschere e costumi non devono discriminare le donne e le mille minoranze di irritati e offesi. Chiediamo scusa per Arlecchino, Colombina, Brighella e, dalle nostre parti, per il maschilista Barudda, che suonava la campana di mezzogiorno quando sentiva i morsi della fame.
La tempesta perfetta è arrivata, sotto forma di un indottrinamento senza dottrina, come scrisse, inascoltato, Roger Scruton, cacciato per eccesso di cultura dalle cattedre di una Inghilterra senile, in preda alle convulsioni di una fine ingloriosa.

Carnevale significava la rottura delle regole, l’esaltazione dell’eccesso prima di un lungo periodo di contenzione e ascetismo. Liberava la volontà popolare di derisione del potere e dell’autorità, dalle istituzioni secolari sino alla profonda autorità spirituale della Chiesa. In attesa della lunga Quaresima, preceduta dalle Ceneri con cui ci si cospargeva il capo, simbolo di pentimento, il carnevale si presentava come una parentesi vitalistica ed esuberante, un’incursione temporanea nel regno dell’eccesso, ma controllata, necessaria, lo sfogo della pressione sociale e morale del resto dell’anno. Si celebrava il rovesciamento dei ruoli, l’esultante confusione di generi, categorie, gesti come festa di libertà, dopo la quale giungeva il “caro levare”, eliminare la carne (quello è il significato etimologico di Carnevale) della Quaresima.

Non abbiamo mai praticato le trasgressioni carnevalesche, riluttanti alle sfrenatezze salutari per molti, ma abbiamo sempre riconosciuto il senso importante della beffa al potere, la burla di ogni autorità mondana, la messa in ridicolo delle pompose vanità.
Non abbiamo avuto bisogno di travestirci e nascondere sotto una maschera la derisione verso le forme del potere: sempre, dietro la maschera di tutti i giorni abbiamo visto il volto deformato del giudice, del signore, del padrone del mondo. Chi ha mantenuto sempre un’infinita lontananza dal potere non ha bisogno di prenderne patetiche distanze approfittando del carnevale. La condizione della burla era la persistenza di un nucleo sostanziale inviolabile, un centro di gravità attorno al quale viveva la civiltà.

L’avversione immediata a forme di derisione o satira come la violazione della santità, il disprezzo del martire, il sarcasmo verso i vinti e gli umiliati ha resistito finché si è mantenuto un centro comune, uno spazio inviolabile. Se la dissacrazione raggiunge quel nucleo intangibile, perde efficacia, soffoca, oltraggia, opprime.
Il Carnevale raggiunge la sua espressione come momento moralmente liberatorio, altrimenti si converte in baccanale, uno dei tanti nel calendario della dissacrazione continuata, del consumo compulsivo. Da tempo, celebra in maschera l’omicidio e lo stupro, la fame dei poveri e la sofferenza degli innocenti, lo scatenamento degli istinti, la lunga notte di Valpurga di un tempo guasto.

Recuperare il nucleo intangibile, il recinto del sacro che, in quanto tale non è in vendita, è la condizione dell’esistenza di un minimo comune antropologico, il sentimento di fede nella potenza del braccio “capace di disperdere gli orgogliosi di cuore, abbattere i potenti dal trono ed esaltare agli umili”, come canta il Magnificat.
Gli accigliati epuratori del Carnevale non LGBT sono gli stessi che avevano già trasformato una festa liberatoria, una sana gioia comunitaria, un tempo sospeso di qualche settimana, in baccanale collettivo, distruttivo, senza freni e privo di qualsiasi riferimento al dopo, alla Quaresima e alla natura originaria del tempo carnevalesco. Ignari del senso – Dio è un’ipotesi scartata con dileggio - si ergono a paladini moralistici di un carnevale come comanda il loro pseudo Dio politicamente corretto, eticamente corrotto.

Dal piedistallo di fango da cui impartiscono lezioni, esigono costumi unisex e transex in omaggio alle loro folli teorie di genere. Questi acrobati della libertà intendono impedire l’offerta di costumi secondo il canone di una femminilità che considerano sbagliata mentre è semplicemente naturale. Però accettano senza eccepire travestimenti da drag queen, infermiere da postribolo, suore intente a sedurre sessualmente, poliziotte pornografiche. Il carnevale è programmaticamente scorretto, con l’eccezione della dimensione del sacro, ma quale sarà mai la definizione di sacro nel vocabolario politicamente corretto?
Mistero, essenziale è eccedere, violare ogni limite compatibile con il breviario politicamente corretto del bravo post borghese, post credente, post umano. Vietato trasgredire la loro trasgressione.




Fino a quando continueremo a lasciarci manipolare, indottrinare, consumare cose,
consumare noi stessi nella dolce caduta nell’abisso?


L’indottrinamento al nulla spaventa soprattutto perché non è contrastato. Agisce un’incredibile blocco psicologico che lascia via libera a follie di ogni tipo.
In questi giorni chi scrive ha presentato ad alcuni esponenti politici programmi a favore della natalità e azioni contro l’uso della triptorelina, un principio attivo che arresta lo sviluppo sessuale negli adolescenti sessualmente “incerti”, una bomba biologica, un imbroglio esistenziale degno della società discarica in cui viviamo. Le risposte sono sempre le stesse: giustissimo, ma sono temi divisivi.
E’ la politica, è la vita ad essere divisiva, e la divisione essenziale è tra il bene e il male. Chi diserta le battaglie ha tre motivazioni, tutte spregevoli: o non crede ai principi che dice di propugnare, ovvero è un vigliacco o un opportunista. Codesti tipi umani prevalgono, per disgrazia, su chi afferma principi e per essi si batte. Chi non lotta ha già perduto, merita la sconfitta, è degno della fine.

Intanto, tra divieto di certe maschere del carnevale, proibizioni culturali in nome del multiculturalismo e intolleranze in nome della tolleranza del “diverso” da non offendere, la nostra apocalisse continua. E’ la lenta rivelazione di un finale annunciato ma ignorato.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa è un continente spaventato. Il terrore di un prolungamento del conflitto continuò con la guerra fredda, l’allarme costante di un’ecatombe atomica.  Gli anni sessanta raggiunsero il parossismo dell’ansia e aprirono la strada a ribellioni isteriche che esaltavano forme di libertà nevrotiche: basta autorità, vietato vietare...

La transizione postcomunista, che inizialmente allentò la tensione, lasciò il posto a un conflitto di civiltà che nascondeva a malapena l’inarrestabile guerra economica mondiale per lo sfruttamento delle risorse secondo l’unica ortografia che governa il mondo globalizzato: crescita economica misurata in denaro, l’adorazione di una divinità recente accolta nell’Olimpo postmoderno, il PIL, il prodotto interno lordo, compresa la malavita, la droga e l’assassinio. Essenziale è che siano misurabili nel metro universale, il denaro.

Il nervoso, tremebondo pacifismo degli Europei si estende come una macchia di impotenza, il segno della paura, la malattia di popolazioni la cui irresponsabilità è conseguenza di un edonismo codardo. Sazi e disperati, come disse inascoltato il cardinale Biffi. Il pacifismo, ricordava il premio Nobel per la letteratura Octavio Paz, è l’altra faccia del terrorismo: due espressioni contrarie dello stesso nichilismo.

E’ l’ansia incapacitante di chi vuole continuare a godere del benessere senza vedere l’orizzonte che si avvicina. La pace apparente di questo edonismo ludico-libidico deriva dalla fuga da ogni responsabilità. Per continuare nella falsa gioia del consumo di massa è essenziale ignorare, liberarsi di ogni impegno morale, politico e storico, consegnarsi alle panzane della correttezza politica, della teoria del genere, della tolleranza consolatoria. Tutto fuorché vedere, lottare, uscire dal guscio fino a ieri rassicurante.

La volontà di espiazione dell’opinione pubblica europea è l'effetto di una sconfitta ideologica accettata nella speranza che il delizioso benessere possa essere prolungato per un altro minuto. La vecchia, assertiva, dominante Europa riscatta i suoi delitti presunti accogliendo a braccia aperte popolazioni che convergono da ogni angolo del pianeta, ostentando rispetto per ogni singolarità sofferente offesa dall’arroganza occidentale, eteropatriarcale, in un suicidio da ballo Excelsior sul Titanic, negando l’evidenza dell’iceberg fatale sino al naufragio.




Il laboratorio italiano? L’unico elemento certo è la menzogna generalizzata!


Adesso, venuta da lontano, ci minaccia una pandemia e trova un’Europa invecchiata, terrorizzata, con la “coscienza infelice” del suo passato, risultato del dannato colonialismo. L’emergenza climatica è accompagnata da un olocausto virale. Il declino demografico dell’Europa avviene in un clima nebbioso, ma la fine ci sorprende a ballare, una danza lenta da reparto geriatria. Ci scusi il lettore dell’analisi lucida e triste. Ci scusi soprattutto chi crede nella soluzione. Alcuni trovano una via d’uscita su scala personale e quotidiana: consumo responsabile, ambientalismo per un’economia sostenibile, apertura a forme alternative di esistenza umana, armonia con il mondo.

Chi scrive riesce solo a trovare tragicomiche queste soluzioni.  Stati, istanze di governo globale, multinazionali, la pseudocultura che indottrina al nulla, tutti impegnati a farci credere nella virtuosa rivoluzione personale che cambierebbe il mondo; diffusori sospetti di felicità confezionata. Non ci si può attendere nulla da questo modo benpensante, se non il tentativo di prolungare il narcotico benessere dipingendolo di verde e arcobaleno. Un’altra maschera di carnevale, l’“università del disastro” come ironicamente diceva Paul Virilio.

Sappiamo di essere solitari profeti di sventura. Cassandra è una figura tragica del mito greco perché conosce la verità ma non è creduta, testimone inascoltata e alla fine sacrificata. Inutile come soccorrere un cadavere è chiedere a una folla che non vuole ascoltare- vox clamantis in deserto – la voce di chi predica nel deserto di pentirsi, invertire l’inversione.
Nessuno troverà motivo di pentimento perché - sebbene sia facilmente ammessa la presunta colpa alla base della smania di espiazione - nessuno la percepisce nell’uso della sua automobile accessoriata, del suo telefono furbo - questo significa smartphone - nella corsa alle luci del centro commerciale tra le piacevoli novità del consumo a disposizione con rid bancario, nella meritata vacanza, la crociera dei nostri sogni (indotti), nel sesso atletico, ginnico, compulsivo. Se la predicazione raggiungesse il riconoscimento di una colpa primaria ed elementare, profondamente umana, ci potrebbe essere ancora qualche speranza nel mondo.

Invece continueremo a lasciarci manipolare, indottrinare, consumare cose e consumare noi stessi nella dolce caduta nell’abisso. A Carnevale nessuno scherzo vale.

 



marzo 2020
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