Bene o male: quale felicità?

Intuizioni e ispirazioni di bene

di Francesco Lamendola


Articolo pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia







La vita morale di ciascun essere umano è il teatro di una lotta incessante fra il bene e il male; e la disgrazia della nostra epoca, e più in generale di tutta la cosiddetta civiltà moderna, è che ci siamo scordati di questa semplice verità, e abbiamo adottato l’idea che la vita, invece, sia lì perché noi possiamo inseguire i nostri sogni, perché possiamo realizzare le nostre aspirazioni e soprattutto perché noi possiamo esercitare i nostri diritti, primo dei quali il diritto alla libertà.
Nessuno ci ha spiegato, anzi, la cultura nella quale siamo immersi ha fatto di tutto perché ce ne scordassimo, che la vera libertà non consiste nel diritto di fare quel che si vuole in quel dato momento, e magari tutto il contrario un momento dopo, bensì nel fare ciò che è giusto fare, ieri, oggi e domani; quel che è giusto sempre, in senso assoluto, sia che la nostra vita debba durare ancora per cento anni, sia che debba terminare fra un minuto.
A una tale consapevolezza, che era il fondamento del senso morale dei nostri nonni, si è sostituita la vacuità del relativismo: è vero tutto e il contrario di tutto, e noi possiamo scegliere qualsiasi cosa ci passi per la testa di desiderare, senza alcuna preoccupazione per il bene in senso assoluto; che, del resto – ci viene detto e ripetuto fino alla noia – non esiste. Ogni epoca ha la sua morale, ogni cultura ha la sua idea di bene e di male, di giusto e d’ingiusto; perciò, bando alle malinconie e agli scrupoli eccessivi, viviamo la vita come ci viene, e cerchiamo di godercela al massimo, perché quando sarà finita, non ne avremo un’altra per fare le cose alle quali avremo rinunciato, non ci verrà data una seconda occasione per cogliere quei piaceri che abbiamo trascurato.




La vita è un pellegrinaggio ed è, contemporaneamente, una battaglia: un pellegrinaggio verso la nostra patria vera, che non è di questo mondo, e una battaglia incessante fra il bene e il male,
la cui posta in gioco è la nostra anima!


Questa è una filosofia da disperati, e infatti l’uomo moderno è un disperato, anche se, nella maggior parte dei casi, non sa di esserlo. Poi, senza riuscire a spiegarsene la ragione,  a un certo momento cade in depressione: allora si riempie di psicofarmaci, accarezza il suicidio, ma continua a pensare: Ho tutto sotto controllo; qualche pastiglia, qualche seduta dallo psichiatra o dallo psicanalista, e mi rimetterò in carreggiata: sono fortunato a vivere di questi tempi, perché posso fare tutto ciò che voglio, mentre i nostri nonni dovevano sottostare a una lunga serie di obblighi, di divieti, di condizionamenti.
Povero sciocco: e non si è reso conto che la libertà è un dono troppo prezioso per chi non è maturo per servirsene; che è come una lama a doppio taglio e che, se non si è abbastanza cresciuti per sapere come va adoperata, diventa la propria croce, non la propria felicità.
Per essere felici, bisogna sapere cosa si viene a fare nella vita, bisogna capire perché essa ci viene data. La libertà non è il dato essenziale: il dato essenziale è il fatto di esserci, di esistere, di avere delle opportunità; la libertà è il naturale completamento del nostro essere uomini, nel pieno senso della parola. E cosa significa essere pienamente uomini (e pienamente donne), se non che si è compreso che la libertà non serve a levarsi qualsiasi capriccio (libertà negativa: il rifiuto dell’ordine e della tradizione) ma per fare ciò che è giusto fare, e per essere ciò che è giusto essere, in accordo con l’ordine universale (libertà positiva)?
Chi non ha capito questo, non ha capito nulla: è e resta come un eterno bambino, come un adolescente di quaranta, cinquanta, sessanta anni. E nella sua vita non farà altro che ripetere le stesse dinamiche inconcludenti, le stesse azioni insoddisfacenti, e nel cogliere le stesse soddisfazioni a metà, le stesse delusioni a catena. Non sarà felice, perché per essere felici bisogna realizzare se stessi, non come esseri isolati e capricciosi, ma proprio in quanto esseri umani degni di questo nome: creature dotate di anima e di libero arbitrio; e come si può essere felici se si inseguono senza posa progetti confusi e velleitari, e brame di godimento disordinate e autodistruttive?




L’uomo moderno, vittima della vacuità del relativismo è un disperato,
anche se, nella maggior parte dei casi, non sa di esserlo!



Dunque: la vita è un pellegrinaggio ed è, contemporaneamente, una battaglia: un pellegrinaggio verso la nostra patria vera, che non è di questo mondo, e una battaglia incessante fra il bene e il male, la cui posta in gioco è la nostra anima, e quindi il nostro destino eterno. E’ chiaro che attaccarsi a questo mondo come se esso fosse la nostra vera patria comporta la sconfitta esistenziale, perché, presto tardi, ciascuno deve fare i conti con la propria mortalità e con la caducità di tutte le cose terrene.
E’ molto probabile che ciò comporti anche la sconfitta nella battaglia morale, perché attaccarsi alle cose di quaggiù significa farsi schiavi dei propri appetiti materiali e trascurare la propria dimensione spirituale, il che è la strada più sicura per cadere in potere delle forze maligne, e ignorare sistematicamente il richiamo delle forze benevole. La grande legge universale, infatti, è che sia il male, sia il bene, esercitano un’attrazione su di noi: ma essendo creature dotate di libero arbitrio, noi possiamo scegliere se lasciarci sedurre dalle une o dalle altre, perché né queste, né quelle, hanno il potere di asservirci senza che vi sia un consenso da parte nostra.
Ora, la grande colpa e la grande responsabilità della cultura moderna è quella di averci tenuto nell’ignoranza di tale fatto; oppure, cadendo nell’eccesso opposto, di averci presentato la vita malvagia o la vita virtuosa come il risultato di forze esterne troppo forti perché l’uomo abbia la possibilità di fronteggiarle, sicché fra l’essere dei malvagi o divenire delle anime sante non vi sarebbe sostanzialmente differenza, dipendendo tutto dal caso e dalle circostanze nelle quali ci si viene a trovare.
Contro questa visione fatalista, che tende a deresponsabilizzarci, oltre che a deprimerci, dobbiamo sostenere con forza la visione opposta: noi siamo liberi, anche se le suggestioni certamente esistono; abbiamo tuttavia la possibilità di accoglierle o di respingerle, perché non siamo dei burattini abbandonati al destino, ma delle creature razionali e responsabili, dotate di sufficiente libertà – anche se non di una libertà assoluta, che compete solo a Dio – per fare la nostra scelta, sia nell’uno che nell’altro senso.




  Intuizioni e ispirazioni di bene? Le forze del bene esistono ed agiscono:
ciascuno di noi può diventare uno strumento di bene per gli altri!



La letteratura e il cinema ci hanno abituati, anche se in senso esteriore e volgarmente spettacolare, al manifestarsi delle temibili forze del male; assai meno frequentemente ci parlano di quelle del bene, le quali spesso si intrecciano con i casi della nostra vita e che, se le sapessimo vedere, e quindi cogliere, sarebbero per noi altrettante occasioni di maturazione, di ascesa e di perfezionamento – in termini cristiani, di santificazione della vita quotidiana. Ma il fatto è che noi, moltissime volte, non le vediamo neppure, non le sappiamo riconoscere; o, peggio ancora, se pure le vediamo, le giudichiamo sul metro dei nostri istinti più grossolani e perciò le scartiamo da un lato, come se nulla di utile potessero recarci, e seguitiamo stoltamente ad inseguire le occasioni di male, anziché quelle di bene.
Però le forze del bene esistono ed agiscono; ed esiste, in particolare, l’Angelo Custode, come insegna la dottrina cattolica, compagno invisibile ma sollecito del nostro bene, il quale si sforza di proteggerci dal male e di allontanarci dai pericoli fisici e morali, ma nulla di decisivo può fare senza il nostro assenso, frutto di una chiara e libera scelta.
E il bene che le presenze amorevoli si adoperano per portare nella nostra vita, non è diretto solamente a noi, ma anche verso altri; ciascuno di noi, infatti, può diventare uno strumento di bene per gli altri, e perfino di salvezza, se è disposto ad assecondare gli impulsi generosi che giacciono potenzialmente al fondo dell’anima e che le forze benefiche si incaricano di suscitare e di ravvivare continuamente.

Proviamo a riandare, col pensiero, ai momenti della nostra vita nei quali una forza misteriosa ci ha spinti a dire o fare la cosa giusta per venire concretamente in aiuto del prossimo in difficoltà, qualche volta un amico, qualche volta addirittura un perfetto sconosciuto: non è forse vero che noi stessi ci siamo trovati a pronunciare delle parole o a compiere delle azioni che parevano venire non da noi, ma da qualcun altro, e che tuttavia ci guidavano con infallibile sicurezza nella giusta direzione, mentre noi ci rendevamo docili strumenti affinché si manifestassero pienamente?




La libertà positiva? Per essere felici, bisogna sapere cosa si viene a fare nella vita. La libertà non è il dato essenziale, ma il naturale completamento del nostro essere uomini in accordo con l’ordine universale: chi non ha capito questo, non ha capito nulla: è e resta come un eterno bambino!

Per chiarire questo concetto, vogliamo citare uno dei tantissimi episodi, testimoniati da migliaia di persone, nei quali si direbbe che non solo colui che riceve un soccorso insperato, ma anche colui che lo porge, sembrano afferrati da una misteriosa forza benevola, assai più grande di loro, che li ispira e li conduce con sicurezza verso ciò che è necessario fare per scongiurare un grave pericolo (da: Lawrence E. Joseph, Apocalisse 2012. Un’indagine scientifica sulla fine delle civiltà (titolo originale: Apocalypse 2012; New York, Morgan Road Books, 2007; traduzione dall’inglese di Tullio Cannillo, Milano, Corbaccio, 2008, pp. 178-179):

… Una volta però ebbi il privilegio di fare quattro chiacchiere con lui. Una volta il capitano Eirikur Kristofersson aveva cent’anni. Quell’uomo basso e tarchiato dalla barba argentea ben curata aveva comandato per decenni le lance della guardia costiera islandese. Era un vero eroe. Le pareti della sua stanza nella struttura di assistenza per anziani di Reykjavik erano coperte di targhe, riconoscimenti, ritagli di giornale e libri che documentavano una serie incredibile di salvataggi in mare.

Accanto a tutti i ricordi gloriosi c’era una fotografia in bianco e nero, incorniciata e illuminata, di un uomo con uno sguardo misterioso e penetrante: Magnus, un amico medico morto da tempo, che era stato lo spirito guida di Kristofersson sin dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Durante tutta la sua carriera, Kristofersson aveva attribuito interamente la sua capacità di “vedere e sentire cose che gli altri non vedono e non sentono”, come diceva, a Magnus. E il vecchio lupo di mare metteva in pratica ciò che predicava. Una volta nel 1956 Kristofersson aveva appena ricondotto la sua imbarcazione sana e salva in porto durante una furiosa tempesta nordatlantica, quando da Magnus gli giunsero istruzioni di rimettersi in mare. Non c’erano state comunicazioni radio, non aveva ricevuto nessun’altra trasmissione (convenzionale), cosa di cui l’atterrito radiotelegrafista e altri membri dell’equipaggio in seguito diedero vigorosa testimonianza. Eppure Kristofersson aveva invertito la rotta e si era diretto nuovamente nel cuore della tempesta. L’imbarcazione aveva raggiunto con estrema difficoltà un punto in alto mare a diverse ore di navigazione. Là aveva trovato una nave britannica, la “Northern Star”, che, come tutti gli otto uomini dell’equipaggio confermarono, stava affondando da dodici ore, e che colò a picco subito dopo che l’ultimo marinaio, il capitano, fu messo in salvo. L’Atlantico settentrionale in prossimità dell’Islanda è il luogo con i venti e le onde più forti della terra. Nessuno sarebbe sopravvissuto più di qualche minuto nelle sue acque gelide e terribili.

“In un primo momento non sapevo da dove venissero quelle intuizioni, e cercai di ignorarle. Ma quando capii che era Magnus a parlarmi, non ebbi difficoltà a servirmi di quanto venivo a sapere in quel modo” spiegò Kristofersson.     




La nostra vita è un campo di battaglia tra le forze del bene e quelle del male. Il nostro compito è assecondare le prime e rigettare le seconde. Infatti, come ci si può fare strumento del bene, si può servire anche il male. È il tremendo mysterium iniquitatis


Quel capitano di mare, Kristofferson, era convinto che a guidarlo nei suoi salvataggi fosse  un amico defunto, il medico Magnus, che lui considerava come il proprio spirito-guida. Non sappiamo in base a quali elementi fosse giunto a questa interpretazione: forse aveva fatto delle letture esoteriche e antroposofiche: immaginiamo che, se fosse stato un fervente cattolico, lo avrebbe interpretato come il suo angelo custode, che aveva preso le sembianze dell’amico.
La letteratura parapsicologica è piena di simili interventi provvidenziali da parte di persone lontane o addirittura defunte; ma lo sono anche le vite dei santi. Ne potremmo citare una quantità strabocchevole: chi non conosce certe “visite” dall’aldilà che si sono manifestate, ad esempio, nella vita di san Giovanni Bosco?
Il pericolo dei culti New Age è quello di far cadere gli incauti in una forma di dipendenza dai cosiddetti spiriti-guida, che possono anche essere, in realtà, delle entità fortemente negative. E se è vero che l’albero si riconosce dai frutti, tuttavia non sono pochi i casi nei quali gli spiriti malvagi ingannano le anime concedendo loro un periodo di prosperità, o addirittura assumendo le parvenze di amici o di creature angeliche, per meglio irretirle e farle cadere in proprio potere. Sia come sia, non è questa la sede per approfondire tali questioni, che d’altronde abbiamo più volte trattato (cfr., ad esempio: Chi era quell’uomo giunto a salvarla, non si sa da dove, mentre stava per annegare?, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 24/01/11 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 19/01/18; e Le signore del chanelling: il caso di Jane Roberts, ovvero “Seth”, rispettivamente il 06/06/2008 e il 16/01/18).  

Quel che qui vogliamo evidenziare è che quando compiamo delle buone azioni, talvolta più “grandi” di noi, nel senso che, con le nostre sole forze, non ne saremmo capaci, sia per difetto di conoscenza, sia per difetto di risorse fisiche e morali, vi è, all’origine, una buona ispirazione che può anche venire dall’esterno.
La nostra libertà, tuttavia, resta impregiudicata: allorché ci si presentano tali “ispirazioni”, infatti, noi possiamo anche decidere d’ignorarle, come sovente accade, magari facendo ricorso alla mente razionale che ci suggerisce trattarsi di mere suggestioni emotive.

Ribadiamo il concetto: la nostra vita è un campo di battaglia tra le forze del bene e quelle del male. Il nostro compito è assecondare le prime e rigettare le seconde. Infatti, come ci si può fare strumento del bene, si può servire anche il male. E’ il tremendo mysterium iniquitatis



marzo 2020
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