Altaria tua, Domine virtutum!

Una meditazione e un accorato appello
nel tempo dell'epidemia

di Cesare Baronio



Pubblicato sulsito dell'Autore Opportune Importune






Dexteram tuae majestatis extende.


Nelle nostre strade c’è un silenzio surreale. Un silenzio che non sentivamo - poiché anche il silenzio può avere un suono - da moltissimo tempo. Lo strepito delle auto, delle voci, delle grida, delle musiche scomposte e volgari è scomparso. L’aria è più pura e si sente il canto degli uccelli. Il rintocco di una campana. A Venezia i canali sono tornati limpidi e si vedono guizzare dei pesci. I mucchi di immondizia intorno ai cassonetti sono scomparsi. In alcuni paesi di montagna gli animali selvatici si avventurano per le vie deserte, non più spaventati dal rombo dei motori e dei clacson. Chiusi gli uffici, i negozi, le discoteche, i bar. E di domenica, forse per la prima volta dopo decenni, non si profana pubblicamente il giorno del Signore.

Ma in questo apparente idillio, in cui la natura si prepara a rifiorire dopo l’inverno e punteggia di gemme i rami degli alberi, vi è un silenzio inquietante ed innaturale. Il silenzio delle nostre chiese, sotto le cui volte non risuonano più gli echi della preghiera, la lode elevata al Padre dal Corpo Mistico di Cristo. Quel silenzio assordante per le anime cristiane, quelle navate vuote, quegli altari deserti. Un silenzio che costa ai fedeli sgomenti la presa di coscienza d’un abbandono. Signore, da chi andremo? E lo chiede anche il buon parroco che celebra sine populo non più rivolto alla Croce, ma ad una fila di banchi muti, ad un portale sbarrato.

Certo, quella sensazione di solitudine è condivisa anche dal sacerdote che non ha abbandonato la Messa cattolica, o che l’ha riscoperta recentemente. Il popolo inginocchiato in preghiera, che lo seguiva come un pastore a capo del gregge, non c’è più. E quando si volge per il Dominus vobiscum, gli rispondono solo gli Angeli, i Santi e le anime del Purgatorio, mentre i fedeli della Chiesa militante sono costretti nelle loro case, forse connessi in streaming, forse uniti spiritualmente mentre recitano il Rosario o leggono le letture del messalino.

Quanti Ministri di Dio e quanti laici, negli anni Settanta, si sono sentiti come noi oggi? Quanti hanno visto loro vietata la Messa cui erano assidui, proibiti i canti sacri, bandito l’accesso alle chiese?
Allora non fu il Covid-19, ma la peste conciliare a bandirli dal tempio, a farli sentire scomunicati, a colpire con l’interdetto le loro chiese e i loro sacerdoti. Ma nemmeno oggi, a ben vedere, un morbo oscuro priva il popolo di Dio del dovere e del diritto della Messa: è sempre quella stessa, pavida ed arrogante setta asservita al mondo che non si smentisce mai, che prende a pretesto il Coronavirus per sottrarsi al proprio dovere di sfamare le anime con il Pane degli Angeli e dissetarle con la Parola di Dio cui anela l’anima come il cervo desidera la sorgente d’acqua.
E in questa smania d’assecondare la mentalità moderna indifferente alle cose dello spirito, pare che i campioni siano tanto più numerosi, quanto più si sale nella Gerarchia. Fino a giungere al suo vertice, pronto a chiudere i portali di San Pietro per le celebrazioni del Sacro Triduo con un mese di anticipo, quasi a scongiurare l’intollerabile eventualità che i fedeli possano farsi coraggio con la speranza che tra un mese la situazione cambi.
Lasciate ogni speranza: o voi che non potete entrare!

Eppure, in questo scenario desolato e desolante, sono certo che molti, moltissimi sacerdoti stanno riscoprendo tanto il significato intimo del proprio Ministero, quanto il valore incommensurabile del Santo Sacrificio. Nonostante il lavaggio del cervello cui sono stati sottoposti da decenni; nonostante la povertà del rito riformato; nonostante quel tavolo spoglio rivolto al nulla, questi giorni di solitudine surreale fanno emergere la vera natura del loro essere non già presidenti dell’assemblea, ma Ministri di Dio che intercedono per il popolo santo.

Soli dinanzi alla Maestà divina, perché è a Dio ch’essi si rivolgono, per impetrare quelle grazie e chiedere perdono a nome di tutta la Chiesa, quam pacificare, custodire, adunare et regere digneris. E sulla patena, assieme all’Ostia santa, pongono l’anziana ammalata, il padre di famiglia preoccupato per il proprio stipendio, il medico che rimane in corsia fino a tarda sera, l’imprenditore che non può pagare i dipendenti, il precario lasciato in ferie anticipate, la madre che fa la spesa con la mascherina e pensa alle bollette e all’affitto imminenti, quorum tibi fides cognita est, et nota est devotio.

E gli avevano detto - ci avevano detto - che la Messa, anzi, l’Eucaristia, è una cena fraterna; che senza fedeli non ha senso celebrare; che è inutile moltiplicare le celebrazioni, e molto meglio concelebrare. Ma quel parroco sa bene che tutti i suoi parrocchiani sono attorno all’altare, in quel momento, anche se lontani. E che dalle fiamme del Purgatorio le anime sante di quanti egli ha accompagnato al cimitero aspettano che su di essi si riversino i suoi suffragi, per poter godere di quel locum refrigerii, lucis et pacis che ancora è loro precluso.
Non parla più all’assemblea, non interrompe più la Messa coi suoi interventi estemporanei, non affida la distribuzione della Comunione alla zelatrice del tempio o alla suora con velleità presbiterali: è solo, come solo era Cristo nel Getsemani, e solo sul Calvario. Sarà solo anche dinanzi al tabernacolo, la sera, mentre prega per i parrocchiani il divino Prigioniero.

Eppure la sua solitudine, proprio come quella di Colui di cui egli è alter, lo rende davvero pontifex, costruttore dell’unico ponte tra gli uomini e Dio, di quella scala dalla quale salgono e scendono gli Angeli, senza la grottesca retorica dei novatori, senza i brogliacci dei predicabili di qualche esegeta progressista pieno di sé e vuoto dell’amore di Dio.

Nella Messa di oggi l’antifona alla Comunione riprende il Salmo 83: è un brano stupendo, non solo per le parole del Salmista, ma anche per le modulazioni del canto gregoriano (qui).  Questo struggente desiderio di dimorare nella casa del Signore è oggi quantomai sentito da coloro che a causa del contagio si sentono lontani, se non addirittura allontanati a forza, da quella che a giusto titolo sentono come casa loro: sani e malati, santi e peccatori, donne e uomini, vecchi e bambini, padri e madri, mariti e mogli.

Passer invenit sibi domum, et turtur nidum sibi, ubi ponat pullos suos. Il passero si è trovato una casa, e la tortora un nido nel quale porre i suoi piccoli. Altaria tua, Domine virtutum, Rex meus et Deus meus! Io ho trovato la mia dimora al tuo altare, Signore degli eserciti, mio Re e mio Dio! Beati qui habitant in domo tua: in saeculum saeculi laudabunt te. Beati coloro che abitano nella tua casa: essi ti loderanno nei secoli dei secoli.

A tutti i Sacerdoti, ai Vescovi, ai Principi della Chiesa io rivolgo questo accorato appello: non cessate di impetrare all’altare di Dio che risparmi al suo popolo la giusta punizione per le sue colpe, che gli conceda quelle grazie e quel perdono che solo la penitenza e il pentimento possono placare! Consacrate voi stessi anzitutto, e noi con voi, ai Sacratissimi Cuori di Gesù e di Maria: affidate le vostre comunità, le parrocchie, le Diocesi e l’intera nostra Patria alla protezione celeste! Fate risuonare le campane delle nostre chiese, affinché sia scacciata tanto la pestilenza del corpo quanto e soprattutto quella delle anime.

E quando finalmente potremo accorrere dinanzi ai nostri altari, ricordatevi che se vi volgerete alla Croce non penseremo che ci date le spalle, ma che vi ponete alla testa di una ideale processione che ha come sua meta ultima il Cielo e come viatico il Corpo e il Sangue di Nostro Signore.

Quaesumus, omnipotens Deus, vota humilium respice; atque ad defensionem nostram, dexteram tuae majestatis extende.
Ti preghiamo, o Dio onnipotente: volgi lo sguardo ai voti degli umili; e stendi la destra della tua maestà in nostra difesa.




marzo 2020
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