Il coronavirus,
segno di una Chiesa conciliare senza speranza
 


di Francesca de Villasmundo



Pubblichiato il 14 marzo 2020 sul sito Medias presse info








IDi fronte alla propagazione del coronavirus, dal Nord al Sud dell’Europa, la risposta più comune delle Conferenze Episcopali è consistita nella chiusura delle chiese e nell’interdizione delle celebrazioni liturgiche.

In Francia, fin dal 1 marzo, il vescovo di Beauvais, di concerto con il prefetto locale, ha deciso di interdire la celebrazione degli offici nelle 41 parrocchie della diocesi. Dopo l’annuncio di Macron di chiudere le scuole, le Università e gli asili nido, ci si poteva aspettare che questa decisione radicale fosse applicata a tutto il territorio.

In Belgio non vi saranno più celebrazioni pubbliche nelle chiese del paese «almeno fino al 3 aprile», come annunciato lo scorso giovedì dalla Conferenza Episcopale del paese: «Questa decisione è operativa da questo fine settimana del 14 marzo e resterà in vigore almeno fino a venerdì 3 aprile». «I battesimi, i matrimonii e i funerali potranno svolgersi con un gruppo ristretto» sottolinea la Conferenza Episcopale, che raccoglie undici vescovi tra cui il capo della Chiesa cattolica belga, Mons. Josef De Kesel. «Le chiese rimarranno aperte per la preghiera o la meditazione personale».

A Roma, centro della Cristianità, le misure prese sono state ancora più draconiane:
il sito italiano La Bussola Quotidiana, il 13 marzo 2020, fa sapere che «In nome del “bene comune” tutte le chiese della diocesi di Roma sono state chiuse. E la presidenza CEI prospetta una simile soluzione per tutta l’Italia. Una decisione sconvolgente, senza precedenti, e totalmente irrazionale. E tutto questo mentre il decreto del governo lascerebbe la possibilità non solo di tenere aperte le chiese, ma addirittura di celebrare le Messe, a certe condizioni.»

Il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, ha pubblicato ieri un decreto nel quale annuncia che in tutte le chiese della diocesi è interdetto l’accesso ai fedeli; non solo per le Messe, ma anche per poter pregare davanti al Santissimo Sacramento.
Logicamente, il cardinale De Donatis ricorda che «questa disposizione è per il bene comune. Accogliamo le Parole di Gesù che ci dice “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. 18.20). In questo tempo, ancora di più, le nostre case sono Chiese domestiche». [segnaliamo che alle 13,00 dello stesso giorno, un nuovo decreto è tornato sulla decisione ed ha stabilito che le chiese rimanessero aperte].

Così, gli Italiani o i Belgi e i Francesi dell’Oise, possono continuare ad andare in farmacia, fare le loro corsette, recarsi al lavoro, ma la Messa e l’entrata in chiesa sono loro interdette.

Come sottolinea il giornalista italiano: «Una chiesa totalmente indegna di San Carlo Borromeo, il San Carlo della peste che nel 1576 colpì Milano: 100 morti al giorno, per un totale di quindicimila, i due terzi della città. Cosa fece San Carlo? Chiuse le chiese? Sospese le Messe? No. Raccolse tutti i sacerdoti a disposizione e gli fece moltiplicare le Messe, soprattutto all’aperto; li mandò ad amministrare i sacramenti agli infermi e a confessare. E convinto che la peste fosse un castigo di Dio, pur esortando i milanesi alla cura dell’igiene ed alle necessarie precauzioni, iniziò una lunga catena di preghiere e processioni pubbliche. E lui a piedi scalzi, vestito di sacco, a portare il Santo Chiodo».

In questo concerto di naturalismo, di fronte alla propagazione del virus, i vescovi della Polonia si differenziano: La Conferenza Episcopale polacca propone la moltiplicazione del numero delle Messe domenicali per evitare gli assembramenti. E il presidente della Conferenza Episcopale  polacca, l’Arcivescovo di Poznan Stanisław Gądecki, ha dichiarato: «Nella situazione attuale, vorrei ricordarvi che, al pari degli ospedali che trattano le malattie del corpo, le chiese servono tra le altre cose a guarire le malattie dell’anima; è quindi inimmaginabile per noi non pregare nelle nostre chiese». Tuttavia, i vescovi polacchi accordano una dispensa circa la partecipazione fisica alle celebrazioni ai malati e alle persone anziane.

Queste precauzioni che preservano la fede e adoperano la prudenza, insieme ad altre misure più semplici, potrebbero essere prese anche dai prelati degli altri paesi d’Europa che hanno adottato misure più radicali. E invece no, la chiesa bergogliana diserta; «la Chiesa ospedale da campo», la «Chiesa in uscita«, tanto vantata da papa Francesco, non ha resistito alla prima crisi sanitaria.

Più grave: la gerarchia conciliare, perfettamente in linea con gli Stati moderni, laici, materialisti ed atei, che fanno della scienza la nuova dea da seguire ciecamente, questa gerarchia, come d’abitudine, ha preferito aprire all’annientamento della dimensione soprannaturale della vita.





marzo 2020
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