Ma Cristo è morto?

Ce biel ch’al è lâ a Messe

di Francesco Lamendola


Articolo pubblicato sul sito Accademia Nuova Italia







Ce biel ch’al è lâ a Messe (in lingua friulana): che bella cosa è andare alla santa Messa!
Ce ne accorgiamo adesso, che le chiese sono chiuse o che sono aperte, ma è proibito entrarvi in più di due o tre, e comunque senza poter partecipare alla santa Messa. Siamo esclusi dal Sacrificio eucaristico: i sacerdoti continuano a celebrarlo, ma da soli, a porte chiuse. Noi possiamo solo guardare la Messa alla televisione o ascoltarla alla radio; o pregare per conto nostro.
E questo nel bel mezzo della più grave situazione d’emergenza che abbia mai colpito l’intero Paese, anzi l’intero continente europeo e quasi tutto il mondo, dalla fine della Seconda guerra mondiale. In poche settimane, in pochi giorni, in poche ore siamo piombati nell’incubo dell’isolamento, della solitudine e della paura, con la televisione quale sola compagnia, la quale invece di confortarci e rassicurarci, non cessa un solo minuto di bombardarci con messaggi allarmistici, angosciosi, terrorizzanti.
Lo Stato ci ha abbandonati: non è stato in grado di proteggerci ma in compenso ci minaccia, sguinzagliando le forze dell’ordine contro di noi, per il gravissimo reato di uscir di casa senza un valido e impellente motivo. Qualunque vigile o poliziotto ci può fermare, interrogare e decidere, a suo giudizio, se lasciarci andare o infliggerci una multa salatissima ed eventualmente una denuncia penale. Se siamo negozianti, e i clienti sono entrati troppo numerosi nel locale, sempre a suo giudizio, magari in tre o quattro in una piccola bottega di paese, può multarci e anche farci abbassare le saracinesche, per insegnarci ad esser cittadini più disciplinati e rispettosi della legge.
Se poi stiamo andando in chiesa, sia pure la più vicina a casa nostra, per dire una preghiera, anche in quel caso ci possono fermare  e interrogare: era proprio necessario?




Oggi una cosa sola possiamo fare: gettarci in ginocchio e dire:
Domine, non sum dignus: «Signore, non sono degno; ma Tu di’ soltanto una Parola ed ecco, io sarò salvato»!


La nostra non era, secondo le autorità, una necessità primaria: potevamo benissimo pregare a casa nostra; una necessità primaria, secondo le autorità, è il fumo, quindi potevamo andare dal tabacchino, quello sì, o al distributore automatico delle sigarette; ma in chiesa, meglio di no.
E il Santissimo, e l’adorazione? Questi sono dettagli che non interessano alle forze dell’ordine. In breve, rischiamo una multa anche per essere andati a pregare.
A Cerveteri la santa Messa è stata interrotta perché il sacerdote si era ostinato a celebrarla, sia pure con pochissime persone e ben distanziate fra loro, alcune anche all’esterno, tenendo la porta aperta. A Giulianova, provincia di Teramo, la polizia ha denunciato il sindaco che si era recato in un santuario, accompagnato da poche persone, per dedicare la sua città alla Madonna dello Splendore, lì venerata.

Questa è l’aria che tira nell’Italia laicista e secolarizzata del terzo millennio. Le chiese si potevano usare, fino a ieri, per allestirvi concerti rock di propaganda omosessualista, e naturalmente per dare da mangiare e da dormire ai poveri e ai migranti; ma adesso che servirebbero, più che mai, per permettere ai fedeli di pregare, di implorare l’aiuto di Dio, di partecipare al sacrificio Eucaristico mediante la santa Comunione, le chiese restano chiuse o sono aperte di straforo, ma solo a pochissimi e per la benevolenza delle autorità.




Ce biel ch’al è lâ a Messe (in lingua friulana): che bella cosa è andare alla santa Messa!


Confessiamolo: non ce lo aspettavamo. Questo colpo ci ha tramortiti ed è arrivato del tutto inaspettato. Avremmo dovuto prevederlo, invece, perché da anni, anzi da svariati decenni, i segnali di quel che si stava preparando c’erano, ed erano evidenti: non parliamo di epidemie virali, ma del distacco graduale e irreversibile della nostra società dal sacro, clero compreso, anzi, clero in testa, a partire dal Vaticano II.
Questo è il logico, lineare punto d’arrivo della sedicente chiesa in uscita dei sedicenti vescovi di strada, che altro non è se non la diabolica contraffazione della vera chiesa: essa è, per usare le parole della veggente, beata Caterina Emmercik, la chiesa delle tenebre.
I segni, ripetiamo, erano chiarissimi, ma occorreva aver voglia di vederli. Preti che usano l’omelia per far propaganda politica e per incitare i fedeli a profanare i Sacramenti; conventi adoperati per tenervi veglie di preghiera a sostegno dell’omoeresia o sedicenti corsi di affettività gay; un “magistero” diabolicamente impegnato a confondere le menti, a intorbidare la Verità, ad allontanare anziché avvicinare le anime a Gesù Cristo, lusingandole con fallaci promesse e illudendole che il peccato non è più peccato, che non ci sarà il giudizio, che l’inferno non esiste; e via di seguito con eresie e bestemmie sempre peggiori, sempre più orribili, sempre più sfrontate: di quali altri segni avremmo dovuto aver bisogno, per capire?
Non basta il vescovo di Innsbruck che espone crocifissi rotti in guisa di lancette dell’orologio, e rane crocifisse al posto di Gesù? Non bastava il vescovo di Terni che faceva affrescare l’intera controfacciata del suo duomo con un blasfemo “redentore” che chiama a sé i peccatori impenitenti, un affresco che è una manifesta apologia del peccato contro natura, e col bravo vescovo che si fa raffigurare, compiaciuto e sorridente, in mezzo a quella bella compagnia?




  Una “chiesa delle Tenebre”? Il blasfemo “redentore” del duomo di Terni!


E non bastava quel prete che affigge cartelli per intimare ai cattolici “razzisti”, cioè contrari all’invasione afro-islamica dell’Italia, di starsene a casa, e che si mette a intonare Bella ciao quale canto liturgico per concludere la santa Messa?
Di quali altri segni avevamo bisogno per capire? Che altro avrebbero dovuto fare, che altro doveva succedere per aprirci gli occhi?
E intanto un sacerdote onesto come don Minutella, scomunicato due volte; un arcivescovo coraggioso, come monsignor Viganò, costretto a vivere nascosto; e un ordine religioso totalmente devoto a Maria Immacolata, come i Francescani di padre Manelli, commissariati, umiliati, costretti a lasciare il convento.
Sì, una chiesa delle tenebre: coi buoni cacciati fuori e i cattivi, o i pessimi, onorati e riveriti, e promossi alle più alte posizioni della gerarchia ecclesiastica.




Chiese chiuse e seminari vuoti? Questo è il logico, lineare punto d’arrivo della sedicente chiesa in uscita dei sedicenti vescovi di strada, che altro non è se non la diabolica contraffazione della vera chiesa: essa è, per usare le parole della veggente, beata Caterina Emmercik, la chiesa delle tenebre!


In quest’ora così tragica, più che per l’emergenza sanitaria in sé, insensatamente dilatata oltre ogni limite, per il futuro delle nostre libertà civili e, più ancora, per il vuoto spaventoso che si è prodotto nelle nostre anime, ormai così lontane da Dio che ben pochi si ricordano ancora che da Lui, e solo da Lui, vengono la vita e la morte, e non dalla scienza, meno ancora da una scienza atea e materialista, torniamo col pensiero alle liete mattine di domenica della nostra infanzia, quando la Messa era ancora la vera Messa cattolica, la dottrina era ancora quella compendiata nel Catechismo di Pio X, e la fede era ancora la fede cattolica, quella autentica e non quella intrisa di modernismo massonico e di accomodamenti e compiacenze verso il mondo, preludio alla resa ingloriosa cui stiamo ora assistendo.
Non la Messa del sabato sera, ma la vera Messa, quella della domenica: perché Gesù Cristo è Risorto la domenica mattina, non il sabato sera; e il clero cattolico aveva ancora la fierezza di essere quel che era, la fierezza di chi sa chi è, da dove viene e cosa ci sta a fare al mondo: senza complessi e sensi di colpa, senza l’assurda smania di domandare continuamente perdono al mondo intero per le colpe, vere o presunte, del passato. Un clero fiero, una dottrina salda, una pietà del popolo cristiano molto sentita: con le chiese strapiene, nella Settimana Santa, per ascoltare i predicatori e con gli altari, bellissimi, tutti pieni di fiori, adornati per le Quarant’ore come si conviene alla Sposa del Signore che sta aspettando l’arrivo del suo Sposo (mentre i preti arcobaleno di oggi, volti nuovi dell’eterna ipocrisia farisaica, obietterebbero che i soldi spesi per acquistare tutti quei fiori sarebbero dovuti andare ai poveri).
L’aria risuonava del suono festoso delle campane di quasi cento campanili: ché tante chiese aveva la nostra città, pur non essendo molto grande, fra pubbliche e private dei diversi ordini religiosi; mentre oggi ne restano aperte al culto forse un terzo, forse meno, le altre sono chiuse o cedute alle varie comunità ortodosse, qualcuna è perfino diventata una palestra o una sala congressi.
Allora tutta la nostra famiglia, coi vestiti della domenica, si recava alla santa Messa e noi bambini spesso la servivamo da chierichetti. Abitavamo in una vecchia casa del centro e la nostra parrocchia era la Cattedrale della Beata Vergine Maria: chiesa meravigliosa, con l’esterno romanico-gotico e l’interno barocco, sfarzosissimo, ricco di altari marmorei, colonne attortigliate, statue e bassorilievi, e con due magnifici cori lignei intarsiati e decorati e le volte altissime dalle quali pioveva una mistica luce che creava meravigliosi chiaroscuri.
Come dimenticare la stupenda Annunciazione del Torretto: l’Arcangelo Gabriele a sinistra dell’altar maggiore e la Madonna a destra, verso la quale correvano gli sguardi per tutto il tempo della sacra funzione? Come scordare la cupola verso la quale saliva il fumo dell’incenso? E l’intensità, la solennità dei celebranti il divino Sacrificio? E la bellezza maschia, austera, armoniosa, del canto gregoriano? E le note possenti che si spandevano dall’organo posto lassù, a un’altezza vertiginosa, e scendevano con tanta dolcezza, quasi ad accarezzare i fedeli?




Lo Stato ci ha abbandonati, non è stato in grado di proteggerci ma in compenso “ci minaccia” e la Chiesa?
Un tempo i sacerdoti e i religiosi non avevano paura del contagio e non si chiudevano in casa, come oggi!


Poi è venuto il Concilio ed è venuta la cosiddetta riforma liturgica. Non vogliamo vantare meriti inesistenti e perciò non diremo che comprendemmo subito l’inganno vergognoso, la diabolica truffa che si celava dietro i tanto strombazzati cambiamenti e rinnovamenti; del resto, cosa poteva capire un bambino che aveva appena fatto la Prima Comunione e la Cresima? Poteva intuire qualcosa, forse; cogliere certe sensazioni, però assai vagamente, assai confusamente.
Tutti parevano tranquilli e perfino ottimisti: c’era quasi un clima di euforia. Fin da subito furono pochi, pochissimi, a manifestare ad alta voce i loro dubbi, le loro perplessità. Ne vogliamo ricordare uno, forse il solo del nostro Friuli, a prendere da subito le distanze dallo sciagurato indirizzo conciliare: don Luigi Cozzi, severo parroco di Solimbergo, che allora però non conoscevamo e che abbiamo “scoperto” solo molto più tardi, dopo la sua morte. Gli altri parevano assecondare il movimento, o piuttosto lo slittamento generale: e se non manifestavano dubbi loro, perché mai avrebbero dovuto averne i semplici laici? 
Nondimeno qualche volta, dopo aver cambiato casa, ma sempre in centro e sotto la parrocchia della Cattedrale, per sottrarci alla fiera delle vanità della Messa grande, con le signore ingioiellate e impellicciate, e perfino coi cavallerizzi che si presentavano in stivaloni e tenuta da equitazione sotto il soprabito, qualche volta avevamo preso l’abitudine di andare alla santa Messa nella chiesa dei Frati Minori, Santa Maria della Neve (che nel 1880 accolse il giovane Leopoldo Mandić), in un’atmosfera assai più semplice e popolare. I cappuccini vantavano un’antica presenza nella nostra città, che risaliva al Medioevo, quando si prodigavano per gli appestati del Lazzaretto (sì, perché un tempo i sacerdoti e i religiosi non avevano paura del contagio e  non si chiudevano in casa, come oggi: conosciamo tutti la storia di padre Cristoforo per aver letto i Promessi Sposi, no?) e il loro convento, con la chiesa annessa, sorgeva in via Ronchi, uno degli antichi “borghi”.




Concilio Vaticano II diabolica contraffazione della vera chiesa? Confessiamolo: non ce lo aspettavamo. Questo colpo ci ha tramortiti ed è arrivato del tutto inaspettato. Avremmo dovuto prevederlo perché da anni, anzi da svariati decenni, i segnali di quel che si stava preparando c’erano, ed erano evidenti: non parliamo di epidemie virali, ma del distacco graduale e irreversibile della nostra società dal sacro, clero compreso, anzi, clero in testa!

 
Lì, fra le persone semplici di un rione povero e quasi periferico, ci sentivamo più a nostro agio; soprattutto si sentiva di più la presenza del Signore.
La chiesa esiste ancora, ma è chiusa e sprangata: non temporaneamente, per il Covid 19, ma in via definitiva, perché alcuni anni fa il convento è stato chiuso per mancanza di vocazioni, e gli ultimi, pochi cappuccini, vecchi e malati, se ne sono andati dalla città, dopo secoli di presenza ininterrotta.
Proprio negli anni della nostra infanzia, e sull’onda del famoso rinnovamento conciliare, la Chiesa invece carezzava grandiosi progetti d’espansione: e i cappuccini avevano fatto costruire una chiesa più grande in periferia, in via Chiusaforte, e un convento molto più spazioso, che avrebbe dovuto ospitare le decine e decine di nuovi confratelli che sicuramente lo “spirito” del Concilio avrebbe suscitato.
E’ andata a finire che quel convento è rimasto malinconicamente vuoto e più tardi è stato venduto all’università, che ha trasformato la chiesa in auditorium. Altro che nuove vocazioni! E così in tutta la regione, col grande seminario, accanto al quale si passava per recarsi dai frati, svuotatosi quasi da un giorno all’altro e poi trasferito altrove, ma decimato e accorpandolo con altre due diocesi; così pure in tutta l’Italia. Come fu detto, al posto dell’attesa primavera era arrivato l’inverno.




Vi sono delle cose che, in questa vita, bisogna accettare anche senza capirle, così, per fede,
come appunto il bambino accetta alcune verità dai suoi genitori, anche se non le capisce.



E adesso, eccoci qui. Non abbiamo più il conforto della santa Messa e la gioia della Comunione: non perché ce l’abbia rubata l’emergenza sanitaria, ma perché ci siamo allontanati da Dio e, peggio ancora, abbiamo chiamato questo allontanamento, un avvicinamento. Abbiamo fatto finta che operare tutto il contrario di ciò che dice il Vangelo, si potesse contrabbandare per rinnovamento del Vangelo; ci siamo presi la libertà di rinnovare, cioè di cambiare, la Parola di Dio, e di rielaborare e “perfezionare” le sue sante Volontà.
Falsari sacrileghi, abbiamo mutato e pervertito la Verità di Dio con una “verità” tutta nostra, tutta umana, senza però avere il coraggio di dir le cose come stavano e cioè che, per noi, Dio è morto. In questi ultimi giorni la cosa è del tutto evidente, ma lo sarebbe stata anche dieci, venti o trenta anni fa, se solo avessimo saputo guardare meglio, soprattutto entro noi stessi.
Quanti di noi sono rimasti fedeli, sono stati capaci di vivere la vita che piace a Dio e non quella che piace agli uomini? Quanti si sono ricordati che la vita senza la Grazia è una vita bassa, materiale, animalesca, dalla quale non può venire nulla di buono?
Certo, abbiamo l’attenuante che il clero, la nostra guida, partendo dai teologi e dai cardinali, e poi giù, fino all’ultimo “prete di strada” esibizionista e narcisista, ha tradito per primo: si è ingannato o ci ha ingannati, o entrambe le cose insieme.
Noi, però, non siamo esenti da colpa. Sapevamo la verità, perché abbiamo avuto la fortuna di conoscere la vera Chiesa e di venir formati da essa, con materne premure: dovevamo perciò capire. Una cosa sola possiamo fare, arrivati a questo punto: gettarci in ginocchio e dire: Domine, non sum dignus: «Signore, non sono degno; ma Tu di’ soltanto una Parola ed ecco, io sarò salvato».




marzo 2020
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI