Lo strano caso della coppia Corona e Virus

del Benpensante del Paese





Non appena li hanno visti insieme, tutti hanno pensato: attenti a quei due!
Non che non facessero bella figura: erano quanto di meglio si fosse visto in piazza negli ultimi 70 anni. Lei avvenente e scintillante di puntine luminose, lui avvolto in un invidiabile tabarro nero: uno spettacolo!

Molti si ricordavano dei loro antenati che avevano scorazzato per il paese in tempi diversi e avevano seminato sconcerto e anche un po’ di paura. Ma questa volta si era sparsa in giro la voce che loro due fossero più pericolosi dei loro vecchi. Tutti ne convenivano, ma nessuno ne aveva spiegato il perché. Fatto sta che la gente scappava non appena li intravedeva in lontananza.
Poverini! Eppure non avevano un aspetto meno simpatico di tanti altri.

I vecchi ricordavano la dipartita di tanti paesani a colpi di starnuti e naso chiuso e raccontavano di aver sentito dai loro padri che si era già vista in paese la riduzione delle persone circolanti: una volta la piazza era rimasta quasi vuota.
Eppure, questa volta, il sindaco e il farmacista invitavano tutti a stare a casa, a non uscire di casa, a servirsi solo delle provviste abitualmente conservate nel loro solaio e nel loro ammezzato, quelli dei due notabili cioè. Sarebbero bastate, dicevano.
Il curato, da parte sua, non sapeva che pesci pigliare, continuava a bazzicare con i notabili del circolo dei nobili, ma era restio a chiudere le porte della chiesa che faceva bella mostra di sé nella parte centrale della piazza.
Vero è che i paesani presenti erano pochi, ma c’erano ancora di quelli che avevano voglia di entrare sul retro della navata per dire velocemente una preghiera. Come avrebbero fatto?

Il sindaco si sbracciava per dire che potevano farsela a casa, la preghiera, e il farmacista sorrideva sornione ricordando che valeva meglio un chinino piuttosto che uno spreco di fiato accanto alle candele accese.
Il povero curato, cercava di alzare la voce, ma la moglie del sindaco, molto amica della speziala, lo riprendeva stizzita, ricordandogli di come l’avesse svergognata l’ultima volta dal pulpito: “signor sindaco faccia aggiustare il lavatoio, perché proprio la sua signora vi è scivolata già tre volte”.

La sindaca, nel banco di prima fila, era diventata rossa, non tanto per la vergogna, quanto perché tutti avevano capito che lei al lavatoio ci andava spesso, e questo nonostante avesse in casa, fortunata, un bel servizio di lavatura e stiratura.

Il paese era in subbuglio: mastro Beppe, il poeta, si lamentava col maresciallo perché il garzone era da diversi giorni che non si presentava in bottega, e i trucioli avevano ormai coperto tutto il pavimento, attirando decine di scarafaggi. Ma il maresciallo era imbarazzato, aveva ricevuto ordini precisi dal sindaco di non fare più circolare nessuno, anche se in casa di mastro Titta, il beccamorto, non c’erano più ricci di legno per accendere il camino. Usino lo sterco, aveva sbottato il sindaco, con la coppia Corona e Virus in giro, è meglio rimanere tappati in casa.

Il vecchio barbiere, che la sapeva lunga sui salassi, andava dicendo ai soliti avventori che riuscivano a venire a trovarlo, che finalmente il sindaco aveva trovato il modo per far capire a tutti chi era che comandava: a lui bastava che Maru, il fornaio, riuscisse a sfornare i suoi filoni per sfamare la ciurma, addetta alla semina e alla raccolta delle carote e al governo delle oche e delle galline per la fornitura delle uova.
Ormai non c’erano più agnelli disponibili, gli ultimi li avevano finiti a carnevale e per Pasqua bisognava accontentarsi dei pochi conigli selvatici che si riusciva ad acchiappare. Mastro Ubaldo, il tintore, conciava le pelli dei conigli per riservarle alla sindaca e alla speziala, per gli altri non bastavano, si dovevano accontentare delle ciocie rimaste.

Parlando col compare di battesimo, mastro Beppe lamentava che il poco vino disponibile era tutto nelle botti del sindaco e il povero curato non sapeva più come fare per dire Messa: il sindaco gli forniva solo un bicchierino a settimana; mentre lo spaziale, dal canto suo, ricordava al curato che era meglio usare un bel decotto di finocchio, rinfrescante e privo di eccitanti. Non che non credesse nella Messa detta dal curato, ma la sua esperienza di speziale lo portava ad essere convinto che la gente avesse più bisogno di decotti di finocchio e di zucche, per rinfrescarsi e per riposare meglio. Fra l’altro, spiegava, i decotti di zucche selvatiche erano ottimi per fare sgravare prima le ragazze rimaste incinte loro malgrado, liberando i giovanotti inseminanti dall’onere di sfamare altre bocche. Invano, reclamava mastro Beppe, certi inseminanti non erano più dei giovanotti, e approfittavano delle cucine e delle cantine per barattare cibo e vino con le lavoranti ragazzotte.

Intanto, la coppia Corona e Virus, continuava a girare per il paese e i due erano davvero meravigliati di come tutti li guardassero, non capivano perché quegli sternuti e quei moccoli venissero addebitati alla loro presenza, quando era da anni che i paesani usavano i cappelli per sternutire e i moccolatori per soffiarsi il naso. Era stato sempre così, da quanto si ricordavano, quindi non capivano lo scalpore che circolava, il sindaco che sbraitava e lo speziale che ammoniva: come altri anni, passato il tempo e fatto il suo sfogo, i disturbi del raffreddamento sarebbero scomparsi, loro due non erano né più belli né più brutti delle altre coppie che li avevano preceduti. E anche i morti, pensavano, non erano certo più di quelli degli altri anni, anzi, in certi rioni del paese erano anche di meno. Solo che i sindaci che c’erano prima non avevano fatto tutto il baccano del sindaco di adesso, e perfino gli speziali più vecchi se l’erano saputo cavare con qualche decotto di malva, qualche radice di liquirizia e poche foglie di menta.
Vuoi vedere, borbottava mastro Beppe, che il sindaco e la sindaca stavolta ne stanno approfittando per riempire meglio il solaio e l’ammezzato? E che lo speziale e la speziala ne stanno approfittando per rubare quanti più clienti al barbiere e diventare gli unici cavadenti del paese?

Erano le stesse cose che frullavano nella mente di mastro Beppe: vuoi vedere, diceva al curato che era andato a trovarlo, che a furia di costringere tutti a casa, impedendo loro di lavorare, il sindaco e lo spaziale rimarranno i soli ad avere delle riserve alimentari e i soli che potranno offrire un pezzo di pane, secco, a chi ne avrà bisogno e glielo chiederà?
Speriamo che abbiano il cuore di fare la carità al momento giusto, rispondeva il curato. Ma mastro Beppe aveva i suoi dubbi e confessava al curato i cattivi pensieri che gli venivano: credo piuttosto che per un pezzo di pane secco chiederanno in cambio chissà quale servizio gratuito, tanto i paesani e le paesane preferiranno sfamarsi e si abitueranno a servire gratuitamente sindaco e speziale e relative consorti.
E l’ingenuo curato si chiedeva che interessi potesse avere lo speziale ad approfittare della situazione. Ma come, replicava mastro Beppe, non avete ancora capito, signor curato, che ancor più che rubare i clienti al barbiere, lo speziale vuole togliere a lei tutti i clienti che ha? Ma io non ho clienti, ricordava il curato, da me i paesani vengono solo per parlare col mio principale che, come sapete, non è del paese e non ha alcun interesse da curare; egli è ricco di per sé, anzi è tanto ricco che dà del suo a tutti gratuitamente, ecco perché i paesani vogliono parlargli.
Ma è proprio per questo, replicava mastro Beppe, caro signor curato, lo speziale è geloso del suo principale, non può sopportare che i paesani chiedano a lui dei medicamenti e che lui glieli fornisca gratuitamente e perfino che lui fornisca ai paesani dei medicamenti più efficaci di quelli che architetta lo speziale nel suo retrobottega. E’ geloso pazzo, perché vuole mantenere a tutti i costi il suo ascendente sui paesani, che già si servivano da suo padre ed erano stati convinti che per campare bene bisognava che usassero le pozioni da lui preparate.
Questo è vero, diceva il curato, ma i medicamenti che il mio principale elargisce a gratis sono di un altro genere e sono serviti da anni a regalare ai paesani delle soddisfazioni tali che, già i loro vecchi, sentivano di stare meglio anche senza bisogno di mangiare chissà ché o di ingoiare un po’ di chinino del vecchio speziale.
E bravo il mio curato, replicava mastro Beppe, ma non capite che è proprio questo che manda in bestia lo speziale? Per lui è insopportabile che ci sia qualcuno, per di più non del paese, che permetta ai paesani di convincersi che per star bene non hanno bisogno delle sue pozioni, perché a loro bastano i medicamenti gratuiti del vostro principale.
L’altro giorno, io stesso ho sentito lo speziale che parlava con mastro Titta e gli spiegava che in realtà non c’è nessuno che è di fuori paese e che regala medicamenti, e che si tratterebbe di un espediente architettato da voi, signor curato, per infinocchiare le povere paesane che poi a loro volta infinocchiano i loro mariti, allo scopo di distrarre tutti dall’avere bisogno delle pozioni dello speziale e della speziala.
E mastro Titta, che restava a bocca aperta, osservava che non era possibile che lo speziale e il sindaco non avessero capito che loro non contavano niente, perché i paesani, che avessero o no le provviste conservate dal sindaco e che avessero o no le pozioni preparate dalllo speziale, alla fine venivano tutti da lui per farsi trovare un posto dove riposare definitivamente, e questo era tanto vero che il padre di mastro Titta un posto così lo aveva già trovato anche per il padre del sindaco e per il vecchio speziale.
Già, replicava mastro Beppe, ma questo a loro non interessa, perché loro pensano solo alla giornata e, da dove si trovano, si sono convinti che quello che più importa che è intanto godano oggi, e magari domani, a mastro Titta per ora non ci pensano, anzi pensano che col tempo le uova della sindaca e le pozioni della speziala renderanno inutili i servizi di mastro Titta; la sindaca, più scaltra, aveva perfino proposto di liberare il terreno assegnato a mastro Titta per farci razzolare altre oche e altre galline e raccogliere altre uova, e aveva trovato concorde la speziala che avrebbe così avuto altre malerbe a disposizione per le sue pozioni.

Il curato era scandalizzato, non credeva alle sue orecchie, ma non osava reclamare, temeva i notabili, e allora, dopo tanti anni, provò a rivolgersi al suo principale: chissà, pensava, che lui non abbia qualche altro medicamento per sanare le cattive idee della sindaca e della speziala.
Il suo principale, dal suo lontano paese, gli lesse nel pensiero, e la prima che cosa che gli fece sapere è che aveva sempre pronto il medicamento per sanare prima di tutto il fatto che il curato era da tempo che non parlava con lui, eppure lui lo aveva avvisato da tempo e gli aveva ricordato come gli altri curati prima di lui non avevano smesso mai di chiedergli i medicamenti per sanare i malanni dei paesani. In queste cose ci vuole costanza, ricordava al curato il suo principale: i malanni dei paesani e i medicamenti per sanarli sono sempre gli stessi, basta chiederli, invece di correre dietro alle pretese del sindaco e alle trovate sempre nuove dello speziale.

Scusate, principale, diceva il curato, ma questa volta ci sono in giro Corona e Virus e le cose sembrano più gravi. Forse non ti fidi più di me, mio buon curato? Replicava il principale. Forse credi che non sappia che in giro ci sono Corona e Virus? Forse pensi che dal paese in cui mi trovo non riesca a vedere la piazza della chiesa vuota, e tu che ti nascondi per paura del sindaco? Senti, mio buon curato, ti sei chiesto anche solo per un momento se per caso Corona e Virus non siano arrivati in paese proprio per ricordare a tutti, e per primo a te, che quello che bisogna cercare per primi sono i miei medicamenti e poi verranno da soli uova e giuste pozioni di buone erbe? Come è possibile che non ti sia passato per la testa un così semplice pensiero, dopo anni che sei al mio servizio? Vuoi vedere, mio buon curato, che credi di più al sindaco e allo speziale, che sono del paese, piuttosto che a me che sono di un altro paese? Ma che pure ti ho preso al mio servizio e ti ho fatto diventare un notabile del paese? Ti sei forse scordato che quella chiesa dove stai te l’ho permessa io perché i paesani potessero chiedere i medicamenti che io do loro gratuitamente, basta che me li chiedano?

Scusate, principale, balbettava il curato, ma non è che non creda più a voi, è che voi siete di un altro paese e io invece devo vivere in questo paese, e qui chi comanda sono il sindaco e lo speziale, con l’aiuto del maresciallo;  e non è facile.
O curato di poca fede, ribatte il principale, eppure ti ho insegnato che i curati prima di te si sono sempre preoccupati di portare in chiesa i sindaci e gli speziali per primi, e non per fare bella figura, ma perché sono i primi ad avere bisogno dei miei medicamenti; sono i primi che devono mettere da parte le uova e le pozioni e ricordarsi che in paese c’è anche mastro Titta, che non è un notabile, ma che è quello che alla fine mette tutti al loro posto.
Anzi, i curati prima di te, sapevano che anche mastro Titta, per mettere tutti al loro posto, deve chiedere l’aiuto del curato, perché è il curato l’unico che può indicargli qual è il posto giusto per ognuno.
O curato di poca fede, davvero il paese è ridotto male e davvero è bene che vadano in giro Corona e Virus, perché forse tu per primo torni a guardare le cose con gli occhi giusti e a comportarti come si deve e così potrai aiutare i paesani a fare altrettanto. Io ti ho avvisato, poi fai come vuoi, la pelle è la tua.

Il povero curato si fece piccolo piccolo e ammutolì.








aprile 2020
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