QUARESIMA 2020

Senza autocertificazione Cristo uscirà dal sepolcro


di Silvana De Mari


Pubblicato il 8 aprile 2020 sul sito dell'Autrice





Quaranta giorni di Quaresima, precedono la Pasqua, come l’Avvento precede il Natale. Anche l’Avvento è quaranta giorni ad attraversare il deserto. Nel deserto, che è il luogo dove, sempre a, avviene l’acquisizione di sé, nella religione ebraica e in quella cristiana. Il deserto non è solo un luogo geografico, è il luogo della semplificazione assoluta, il luogo con il confronto continua con la morte, dove la vita non può più disperdersi e distrarsi, è il viaggio con la propria ombra. Il deserto è il luogo della gratitudine. E’ solo nel deserto che si capisce il valore dell’acqua, che si ringrazia per ogni goccia. Nel deserto nulla è dato per scontato.
Abramo traversa un deserto per eseguire l’ordine di trovare la terra dove vivrà la sua gente, Mosè resta quaranta anni nel deserto. Gesù Cristo 40 giorni. Quaranta in ebraico è indicato con la lettera Mem, che ha la forma di un pozzo: la compassione dell’acqua. Il deserto è la malattia, il deserto è l’abbandono. Il deserto è il dolore che può distruggerci, ma che, se lo accettiamo, ci rende più forti. Il deserto è consapevolezza. E’ nel deserto che capiamo il valore dell’acqua.

La Chiesa, la Sposa di Cristo è stata rapita.

Prima del Concilio Vaticano II la Quaresima era una roba da cavalieri, mentre ora è una roba da mammolette. La Quaresima ci rendeva più forti. Fino a quando nella vita di tutti c’erano quaranta giorni l’anno di penitenza e digiuno, il colesterolo non era un problema, ne ignoravamo persino il nome, e l’obesità era rimasta un fenomeno mite e minoritario. La Quaresima addestrava anche alla forza di volontà, alle sfide e a scoprire che potevamo superarle. Ce la farò a stare quaranta giorni senza caramelle? Ce la farò a imparare a non avere paura di niente, a non indietreggiare mai? La Quaresima era il periodo dove imparavamo il coraggio
Nelle Chiese i paramenti viola, il Cristo velato erano la seconda scoperta: il dolore esiste, esiste la morte. Fino a quando eri bambina ti terrorizzavano. Decenni dopo davanti a mio padre agonizzante per il cancro continuavo ad avere nella memoria il Cristo velato.
Dove non esiste la Quaresima come si può insegnare ai bambini che il dolore esiste e che può non spezzarci? E dopo la Quaresima, dopo quaranta giorni senza nemmeno un cucchiaio di miele finalmente c’era la Pasqua, la pastiera della mamma e il cioccolato, e dietro la pastiera la potenza della Resurrezione.
La Quaresima insegnava il coraggio di non temere la morte né il dolore perché c’è la Resurrezione.

Quaranta giorni di Quaresima, precedono la Pasqua, e sono la metafora del deserto. Attraversare la Quaresima è come attraversare il deserto.  Il deserto è il luogo dove, sempre, avviene l’acquisizione di sé, nella religione ebraica e in quella cristiana.
Il deserto non è solo un luogo geografico, è il luogo della semplificazione assoluta, il luogo con il confronto è continuo  con la morte, dove la vita non può più disperdersi e distrarsi, è il viaggio con la propria ombra. Il deserto è il luogo del silenzio. Il deserto della gratitudine. E’ solo nel deserto che si capisce il valore dell’acqua, che si ringrazia per ogni goccia. Nel deserto nulla è dato per scontato. 
Abramo traversa un deserto per eseguire l’ordine di trovare la terra dove vivrà la sua gente, Mosè resta quaranta anni nel deserto. Gesù Cristo quaranta giorni e quaranta è il numero delle ore in cui resterà nel sepolcro. Quaranta in ebraico è indicato con la lettera Mem, che ha la forma di un pozzo: la compassione dell’acqua.
Mentre il popolo con Mosè traversa il deserto, l’acqua sgorga dal deserto. Il deserto è la malattia, il deserto è l’abbandono. Il deserto è il dolore che può distruggerci, ma che, se lo accettiamo, ci rende più forti. Il deserto è consapevolezza. E’ nel deserto che capiamo il valore dell’acqua. Negli ultimi duemila anni abbiamo traversato innumerevoli deserti, ognuno più arido e sassoso degli altri, ma sempre con la compassione dell’acqua, l’acqua benedetta delle nostre acquasantiere, l’ombra rischiarata dalle candele delle nostre chiese, ora abbiamo questa assurda pestilenza, mite come una qualsiasi influenza e insidiosa come l’acqua che distrugge il granito.

Ora la Messa è finita. Siamo soli nel deserto, e la Chiesa, la Sposa di Cristo è stata rapita. Siamo in mezzo a un’epidemia e nessuno sta chiedendo perdono.
Recordare, Domine, testamenti tui, et dic Angelo percutienti: Cesset jam manus tua, et non desoletur terra, et ne perdas omnem animam viventem. 
(2 Reg. 24, 16)
Ricordati Signore della tua alleanza e dì all’Angelo che percuote: desista la tua mano e non sia spopolata la terra e non dannare ogni anima vivente.

Cantando questi versi, con la cenere sulla testa, scalzo, San Gregorio Magno cominciò la processione contro la peste. Durante la processione chiese perdono, per i peccati suoi e per quelli della Chiesa, perché l’ira di Dio fosse allontanata. La processione non era stata annunciata. Tutti i romani vedendola passare le finestre, si precipitarono in strada per seguire la processione. Erano un popolo che credeva in Dio, comandati da un uomo di Dio. Ognuno chiese perdono. I romani si passarono la parola, l’un l’altro e l’infinta processione arrivò fino al ponte di Adriano, oggi detto di Sant’Angelo, perché in quel punto Papa Gregorio magno vide l’arcangelo Michele che rinfoderava la spada. E la spada non si abbatté più, la peste scomparve, i malati guarirono.

Questi Papi Medioevali oggi sarebbero considerati risibili perché parlavano dell’ira di Dio, concetto ormai non solo cancellato, ma considerato folklore. Il cristianesimo non è zucchero filato e l’ira di Dio non è folklore, quindi nel momento della catastrofe, il compito di un pastore è chiedere perdono a Dio. Ora il catechismo si studia con disegnetti da colorare dove Gesù Cristo è una specie di amicone. Nel Cristianesimo, che nasce dall’ebraismo, l’ira di Dio esiste, ed è la parte fiammeggiante della sua misericordia. Dio vuole la salvezza delle nostre anime. E vuole salvarle, anche a costo del dolore.

L’ira di Dio, che è parte della sua misericordia, si abbatté su Sodoma. Abramo cercò di contrattare la salvezza di Sodoma, ma non era possibile, perché la distruzione di Sodoma faceva parte del disegno di salvezza di Dio, e Sodoma fu distrutta. Nelle scritture Sodoma è stata distrutta. Questo è stato apertamente contraddetto da monsignor Galantino in una folle omelia a Cracovia, per le giornate della Gioventù, ed è stato sottilmente contraddetto da Bergoglio in una folle omelia del 22 marzo. Quella che si salva è Ninive.
Giona, dopo essere rimasto tre giorni nel ventre di una balena a meditare su tutte le possibili declinazioni delle parole fede e coraggio, finalmente eseguì l’ordine di Dio di annunciare alla città di Ninive la sua prossima distruzione. Ninive si rivolse a Dio, chiese perdono, tutti si vestirono di sacco con la cenere in testa, cioè si avvicinarono a Dio, rendendo inutile la punizione, che quindi fu annullata.

Nell’affermare che Sodoma si è salvata è contraddetta la Bibbia: si realizza la profezia dell’Apocalisse, la negazione della Parola.
Per questo, da sempre, davanti alle catastrofi si chiede perdono, e ci si avvicina a Dio. Noi andiamo al tabernacolo, dove è Dio. Il cristianesimo è una religione incarnata. Esistono le case di Dio, le chiese, le basiliche, le cattedrali. Dio incarnato nel tabernacolo.
Ora le chiese sono chiuse. Le chiese sono chiuse e tabaccai sono aperti. La necessità della vicinanza con tabernacolo è giudicata meno angosciante delle sigarette.

La Chiesa in uscita è in caduta libera. Siamo nella follia di un’epidemia e le nostre Chiese sono sprangate e i sacramenti vietati. Le Messe viste attraverso il televisore o attraverso computer non sono partecipare al Sacrificio, sono uno spettacolo come un altro.  Continuano gli sbarchi dei migranti, molto amati dalla Chiesa, che per noi sono una catastrofe sanitaria a fulgida dimostrazione che alla Chiesa della salute del popolo italiano non importa molto, eppure si è precipitata a toglierci la Messa e sprangare le chiese.

Il 27 marzo una cerimonia molto coreografica, oserei dire istrionica, studiata fino all’ultima inquadratura, è stata trasmessa da una Piazza san Pietro deserta, a dimostrare che Cristo ha perso, il Vicario di Cristo, come sua abitudine, non si è inginocchiato davanti al Santissimo. In Vaticano esistono inginocchiatoi e persone che aiutino a rialzarsi: nulla giustifica un gesto così grave, restare in piedi o peggio seduto davanti al Santissimo, innumerevoli volte ripetuto. Non è stato chiesto perdono di nulla. Non è stato chiesto perdono per le colpe della Chiesa, quelle passate e quelle attuali, l’orrendo idolo Pachamama sugli altari, non è stato chiesto perdono per i nostri peccati, l’aborto, il rifiuto del dono di Dio della vita, della sessualità che la genera. Non è stato chiesto perdono per le blasfemie pagate con denaro pubblico, Non è stato chiesto perdono per i cristiani martirizzati in terra di Africa e Asia nella nostra indifferenza. E’ stato dichiarato che non è il tempo del giudizio di Dio, ma del giudizio dell’uomo. Una frase folle che nega il cristianesimo.

Di Dio è stato negato il giudizio e la sua  Casa è chiusa. Cristo è stato invitato a svegliarsi e risolvere la situazione.

Esiste una profezia apocalittica di Daniele che vide un giorno “abolito il sacrificio quotidiano” ed “eretto l’abominio della desolazione” .

Poche cose sono una desolazione come Piazza San Pietro deserta:  come scritto nell’Apocalisse, la Chiesa, la Sposa di Cristo è stata rapita. Nessuno dei suoi credenti ha sfidato la legge e l’autocertificazione per arrivare al suo cospetto.
Eppure la Messa non è finita. Non prevarranno. Sta già nascendo un’altra Chiesa, guerriera e nascosta, impavida e militante. Verrà il vento e porterà via la pula. Verrà Pasqua prima o poi.
Senza autocertificazione Cristo uscirà dal sepolcro. Attorno a lui i sacerdoti che sono morti per non smettere di benedire il loro popolo.





aprile 2020

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