Brevi considerazioni sui tempi di epidemia

di Don Jean-Michel Gleize, FSSPX


Pubblicato su La Porte Latine, sito dells Fraternità San Pio X in Francia


Presentazione de La Porte Latine

La questione della ripresa delle Messe sarà saffrontata dalla Chiesa alla fine del mese, così ci informa Le Figaro del 17 aprile. Nell’attesa, secondo le direttive dei nostri Superiori, gli offici e le Messe negli orari abituali nelle nostre cappelle non sono assicurate, né in settimana, né la Domenica. Facendo così, obbediamo ad un ordine giusto dello Stato in vista del bene comune? O si tratta di un abuso del potere temporale che la Chiesa deve tollerare per prudente realismo?
Abbiamo chiesto un chiarimento a Don Jean-Michel Gleize, professore di Ecclesiologia nel seminario di Ecône.



Attitudine cattolica in tempo do epidemia: la dedizione di Mons. de Belsunce
durante la peste di Marsiglia del 1720, di Nicolas André Monsiau (1818)



«Come non è permesso ad alcuno trascurare i proprii doveri verso Dio, e che il più grande di tutti i doveri è abbracciare con lo spirito e col cuore la religione, non quella che si preferisce, ma quella che Dio ha prescritta e che delle prove certe e indubitabili stabiliscono essere la sola vera tra tutte; così le società politiche non possono comportarsi, senza colpa, come se Dio non esistesse in alcun modo, o considerare la religione come estranea o inutile, o ammetterne una qualsiasi secondo il loro gradimento» (1).

1. Queste decise parole di Papa Leone XIII non sono l’espressione di una visione arretrata. Perché il Vicario di Cristo vi espone il principio stesso dell’ordine sociale cristiano, ordine necessario perché espressione della volontà divina.
Il cardinale Billot ne ha dato la giustificazione teologica nella seconda parte del suo Trattato sulla Chiesa (2).

2. Quest’ordine ha la sua radice profonda nella natura stessa dell’uomo, e nella sua gratuita elevazione ad un ordine soprannaturale. I beni esteriori dell’uomo (le ricchezze) sono ordinati al suo benessere corporale e il benessere corporale dell’uomo è ordinato al suo benessere spirituale naturale, cioè al bene naturale della sua anima, e questo bene naturale dell’anima è esso stesso in qualche modo ordinato al fine ultimo soprannaturale, all’unione soprannaturale dell’uomo con Dio, di cui la Chiesa è incaricata; esso lo è nella misura esatta in cui il bene naturale dell’anima è la condizione necessaria, quantunque non sufficiente, del bene soprannaturale, poiché la grazia presuppone la natura.
Questa gerarchia dei beni implica la gerarchia dei poteri a cui spetta il compito di procurare questi beni (3).

3. Il potere dello Stato ha il fine (tra gli altri) di preservare nel suo ordine proprio la salute pubblica (che è il bene del corpo) e, per far questo, di neutralizzare gli effetti pregiudizievoli di una malattia contagiosa. Il potere della Chiesa ha per fine di assicurare nel suo ordine proprio l’esercizio del culto dovuto a Dio e per far questo di determinare per mezzo dei precetti le condizioni concrete della santificazione della Domenica.
Pur essendo distinti, ciascuno nel suo ordine, il potere dello Stato e il potere della Chiesa non devono essere separati (4), poiché il bene che è di competenza dello Stato non è in sé un fine ultimo; esso stesso è ordinato al fine soprannaturale.
San Tommaso spiega molto chiaramente nel De regimine, libro I, cap, XV:
«E’ al Papa che appartiene la cura del fine ultimo, è a lui che devono sottomettersi coloro a cui spetta la cura dei fini intermedii, ed è dai suoi ordini che essi devono essere diretti» (n° 819).
Il Papa esercita dunque un potere «architettonico» nei confronti dei capi si Stato, e questa espressione significa che il Papa ha la responsabilità del fine ultimo in funzione del quale i capi si Stato sono tenuti ad organizzare tutto il governo della società.

4. La salute, che è uno degli aspetti principali del benessere corporale dell’uomo, non ha niente a che vedere con la santità, poiché questa è ordinata in qualche modo all’esercizio del culto e alla santificazione della Domenica, In effetti, anche se non basta essere in buona salute per essere un santo, e si può essere un santo senza essere in buona salute, ordinariamente, per poter andare a Messa la Domenica, una delle condizioni richieste è quella di essere in buona salute. Il ruolo dello Stato, dunque, è di preservare la salute pubblica (e di neutralizzare l’epidemia) al fine di realizzare la migliore condizione per l’esercizio del culto, di cui la Chiesa ha il compito, e di rendere ordinariamente possibile la santità.
Il Papa Leone XIII dice infatti che «in una società di uomini, la libertà degna di questo nome consiste nel fatto che, con l’aiuto delle leggi civili, noi possiamo più facilmente vivere secondo le prescrizioni della legge eterna» (5). Dunque, lo Stato, qui come in altre occasioni, è alla dipendenza della Chiesa e ad essa subordinata nella misura esatta in cui il suo ruolo è di mettere il bene temporale, di cui è incaricato, al servizio del bene eterno, di cui è incaricata la Chiesa.
«Il temporale» - dice il cardinale Billot - «deve vegliare a che niente impedisca la realizzazione dello spirituale, e stabilire le condizioni grazie alle quali questo possa essere ottenuto in tutta libertà». E aggiunge che il fine temporale «non deve porre alcun ostacolo al fine spirituale, anche a costo del suo stesso pregiudizio» (6).
Parole sorprendenti agli occhi della semplice ragione, ma parole veridiche agli occhi della ragione illuminata dalla fede. Poiché «è meglio per te entrare nella vita eterna con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nel fuoco della Geenna» (7).

5. Di conseguenza, interdire o limitare il culto per neutralizzare un’epidemia, da parte del potere dello Stato sarebbe, non solo illegittimo (per abuso del suo potere temporale che come tale non può riguardare l’esercizio del culto), ma anche assurdo, poiché la neutralizzazione dell’epidemia deve avere in definitiva lo scopo di favorire l’esercizio del culto. A meno di supporre l’inversione radicale dei fini e di sostituire l’ordine col disordine: invece della salute (con la neutralizzazione dell’epidemia) ordinata all’esercizio culto, si avrebbe (con la restrizione o l’interdizione del culto) l’esercizio del culto ordinato alla salute. E disgraziatamente è questo che stiamo constatando nelle attuali circostante e che giustifica la recente osservazione di Mons. Schneider: «molti membri della gerarchia … danno più importanza al corpo mortale che all’anima immortale degli uomini» (8). Questo si spiega in ragione dell’inversione radicale introdotta dal concilio Vaticano II: non è più lo Stato che è subordinato alla Chiesa e al suo servizio, è la Chiesa che è divenuta dipendente degli Stati.




1918: la Croce Rossa porta via le vittime dell'epidemia dell'influenza spagnola


6. Può accadere che, sul piano della contingenza, che è quello delle circostanze concrete, non sia possibile garantire una sanità pubblica sufficiente a neutralizzare il contagio di una malattia, così da rendere possibile l’esercizio del culto in maniera ordinaria. Spetta allora all’autorità ecclesiastica – e solo ad essa – stabilire la forma particolare dell’esercizio del culto richiesta dalle circostanze, e renderla possibile appoggiandosi al braccio secolare. In questo modo lo Stato potrebbe, per esempio, mettere a disposizione della Chiesa degli spazi sufficientemente vasti in cui i fedeli potrebbero assistere ad una Messa rimanendo dentro le loro auto. Al peggio, la Chiesa potrebbe dispensare i fedeli dall’assistere alla Messa e, anche qui, appoggiarsi alle risorse tecniche e finanziarie che lo Stato metterebbe a sua disposizione per diffondere massicciamente nelle case le trasmissioni televisive della celebrazione della Messa.
Le situazioni e le soluzioni possono essere molto diverse; ma in ogni caso, la Chiesa ha il potere di decidere le condizioni in cui deve essere stabilito l’ordine totale, un ordine totale secondo il quale l’esercizio del culto è un bene superiore a cui deve essere ordinato il bene della salute pubblica. Non spetta allo Stato interdire o restringere la celebrazione del culto in nome della salute; è alla Chiesa che spetta decidere le condizioni per la celebrazione del culto rispetto alle circostanze, rivendicando, come ha il dovere e il potere di fare, il sostegno e l’assistenza del potere temporale.

7. Questa gerarchizzazione dei poteri, necessaria e normale, faceva sentire in gran parte i suoi effetti nei cantoni cattolici della Svizzera ancora agli inizi del XX secolo. Anche all’indomani dei grandi sconvolgimenti che avevano scosso l’ordine sociale cristiano in tutta Europa, le autorità politiche avevano, per esempio nel Vallese, solo un potere limitato nelle chiese e potevano intervenire solo i maniera diplomatica per raccomandare alle autorità ecclesiastiche il rispetto delle misure sanitarie resesi necessarie per l’epidemia dell’influenza spagnola. Così, non stupisce trovare nel disposto del Consiglio di Stato del 25 ottobre 1918: «L’autorità ecclesiastica prescriverà le misure d’igiene necessarie per ciò che concerne le chiese e la celebrazione degli offici divini».
In questo modo, è il clero a dovere scegliere le misure che ritiene di applicare, senza che possa incorrere in rappresaglie finanziarie o giuridiche. E’ così che le varie lettere inviate alle parrocchie si presentano più come una successione di raccomandazioni che cercano di tenere conto le sensibilità, piuttosto che una ferma decisione politica.
Una seconda circolare  dell’autorità civile riguardante più specificamente le sepolture, stabiliva che il feretro doveva essere condotto direttamente al cimitero per l’inumazione e che la Messa funebre doveva essere celebrata unicamente in presenza dei parenti stretti e dopo la sepoltura; e ancora una volta la disposizione si chiude con un diplomatico: «Noi speriamo che comprendiate la necessità di queste misure destinate ad evitare per quanto possibile il pericolo della contaminazione e che vi conformerete a queste istruzioni», cosa che è molto diversa dalle disposizioni inviate ai diversi organismi imprenditoriali che invece si chiudono col richiamo alle possibili sanzioni nel caso in cui le misure non venissero adottate.
E’ interessante segnalare che questa stessa circolare, del 20 luglio 1918, è stata ritrovata negli archivi episcopali di Sion, ma con l’aggiunta di una piccola nota manoscritta a pie’ di pagina: «Sulla questione vorremmo ricevere delle indicazioni dal Vicario, l’autorità politica non fa fede dappertutto…» (9).
Quando cent’anni più tardi, gli Stati apostati del XXI decidono in maniera unilaterale l’interdizione o la limitazione dell’esercizio del culto, in nome della salute, i fedeli cattolici reagiscono, sotto la direzione dei loro pastori, non come dei reazionari fanatici, ma come delle persone prudenti e realiste, e tollerano (10) o sopportano con pazienza delle decisioni ingiuste, contrarie alla prudenza soprannaturale. Ma in nessun caso essi saranno tenuti ad un vero atto della virtù di obbedienza nei confronti di quello che in realtà è un abuso di potere.

8. Tutto questo si spiega in ragione di una causa finale. Da questo punto di vista, il potere della Chiesa nei confronti dei capi di Stato è come il potere di un infermiere professionale nei confronti di un aiuto-infermiere. Quest’ultimo realizza il dosaggio delle medicine a seconda di quanto richiesto dalla salute del corpo, di cui ha cura l’infermiere professionale. Allo stesso modo, il capo di Stato deve vegliare al buon ordine della società a seconda di quanto richiede la salute delle anime, di cui ha cura la Chiesa. Poiché l’uomo non deve cercare la salute, né le ricchezze, se non per quanto richiesto – come dice Sant’Ignazio – dalla salvezza della sua anima: «Che vantaggio avrà l’uomo a guadagnare il mondo intero, se poi perderà la propria anima?» (Mt. XVI, 26).
Che serve all’uomo vincere l’epidemia se finisce col trascurare la santificazione della sua anima, perdendo l’abitudine di andare a Messa la Domenica?
L’antica liturgia della Chiesa prevedeva una Messa per i tempi di epidemia e le rubriche prescrivevano che questo genere di Messe dovevano essere celebrate «con gran concorso di popolo» …


NOTE

1 –  Papa Leone XIII, enciclica Immorale Dei, del 1 novembre 1885, AAS, t. XVIII (1885), pp. 163-164.
2 – Cardinale Louis Billot, La Chiesa. III, La Chiesa e lo Stato, Courrier de Rome, 2011.
3 – Cardinale Louis Billot, op. cit., n° 1183.
4 – La separazione della Chiesa e dello Stato è stata condannata da Papa San Pio X nell’enciclica Vehementer nos dell’11 febbraio 1906.
5 – Papa Leone XIII, enciclica Libertas del 20 giugno 1888, AAS, t. XX (1988), p. 598.
6 – Cardinale Louis Billot, op. cit. n° 1182.
7Mt. XVIII, 9.
8 – Intervista di Mons. Athanasius Schneider alla rivista The Remnant, La pandemia da coronavirus e la Chiesa, tradotta dal sito di Sabino Paciolla.
9 - Laura Marino, L’influenza spagnola nel Vallese (1918-1919); tesi di laurea presentata alla Facoltà di Biologia e Medicina dell’Università di Losanna, 2014, pp. 182-183. La tesi è nell’archivio dell’Università (http://serval.unil.ch), sotto il riferimento BIB_860E861187545.
10 - Così si spiega la comparsa del regime dei concordati, con la definizione di certe materie dette «miste», Cfr. Billot, n° 1247 e ss.




aprile 2020
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