Il giuoco dei bussolotti sulla pelle dei cittadini … e dei fedeli

di Giacomo Fedele





L’attuale emergenza sanitaria sta facendo emergere, un pezzo alla volta, l’impalcatura che regge l’attuale società, impalcatura che per molti aspetti è molto diversa da quello che si potrebbe pensare e, soprattutto, da quello che ci viene dato di pensare.
A sentire i discorsi e a leggere i documenti, questa società sarebbe la migliore che si possa avere: libertà, tutela dei diritti, salvaguardia delle sensibilità, rispetto per le idee e per i sentimenti, ecc. E tutto questo nonostante sia palese e non dissimulato che il motore principale di questa società è il “mercato”, cioè l’insieme di interessi che mirano al “profitto”, siano essi materiali o morali o esistenziali.
Diciamo nonostante perché è facilmente comprensibile che non possono conciliarsi gli “interessi” con le idee e con i concetti: tranne che i secondi siano al servizio dei primi.
Ed in realtà è di questo che si tratta: l’impalcatura che regge l’insieme dei principi guida di questa società è la struttura mercantile, con i suoi uomini, i suoi strumenti, le sue logiche, i suoi fini.

Ora, caso vuole che l’uomo, il cittadino, il fedele, insomma il componente la società è qualcosa di più complesso di un insieme di interessi, è un essere prevalentemente informato da istanze che sono iscritte nel suo intimo, non nelle sue viscere, in quell’intimo che sfugge ad ogni concezione mercantile ed ha un afflato ben più ampio ed aereo della pulsione del tornaconto, dell’interesse quantificabile e godibile.
L’uomo è più di una combinazione di calcoli, è un insieme di visioni e di aspirazioni che sono talmente distanti dal suo stesso essere materiale da farlo arrivare, se necessario, al sacrificio di quest’ultimo. Per desiderio di infinito, l’uomo è pronto a rinunciare al suo stesso essere finito.
Tutto questo è iscritto nell’intimo dell’uomo. E tuttavia, nella sua componente più esteriore, l’uomo è condizionato dalle percezioni sensibili e dalle suggestioni che gli giungono dal mondo che lo circonda.
In condizioni normali, ambientali, culturali e formativi, ciò che sta iscritto nell’intimo dell’uomo dovrebbe valutare e discernere ciò che suggeriscono la sensazione e la suggestione, secondo una gerarchia di valori dove l’elemento preminente è il suo bene interiore, meglio detto “il suo bene spirituale”. Ma oggi, purtroppo, non viviamo in condizioni normali, poiché le sensazioni e le suggestioni sono così tante e pervasive da soverchiare ogni altra facoltà dell’uomo. Oggi l’uomo, più che dirigere tali fattori, è diretto da essi: da soggetto ha finito col diventare oggetto, al punto da non comprendere più la realtà che lo circonda e a scambiarla con l’immaginazione, o la sensazione.


Se quanto detto volessimo esprimerlo con un linguaggio diverso, ma pur sempre rispondente all’intimo dell’uomo, potremmo ricorrere ad una massima ben nota, ma di cui oggi sembra sia andato perso il profondo significato: “non di solo pane vive l’uomo”; dove per “pane” va inteso non solo il nutrimento materiale, ma anche ogni sensazione ed ogni suggestione legate alla vita ordinaria.
Nella particolare contingenza che stiamo vivendo si sta invece verificando che quella impalcatura di cui abbiamo parlato è rimasta come spoglia ed ha mostrato la sua vera natura: i capi di questa nostra società hanno emanato disposizioni, da valere erga omnes, che rispondono ad un’unica esigenza, quella del bene fisico, stimolata in tutta evidenza dalla preoccupazione di non dover affrontare spese “inutili” per curare la malattia, spese che in definitiva sarebbero a fondo perduto e non produrrebbero alcun profitto. Tant’è che subito si è messa in moto la macchina mercantile che ha colto l’occasione per procurare nuovi profitti: fabbricare un “vaccino” e venderlo forzatamente anche a chi non lo vuole.

In questa prospettiva, il Governo ha disposto, ed imposto, che i fedeli non dovessero più andare in chiesa a pregare: troppo pericoloso e foriero di contagi incontrollati. E questa disposizione è stata decisa su suggerimento di un cosiddetto “comitato scientifico”, l’unico ritenuto idoneo a decidere su ogni ambito del vivere civile, preghiera compresa.
Pur essendo operante la categoria dei chierici, che sono i competenti in tema di preghiera dei cittadini, il Governo ha ritenuto di non doverla interpellare, anche perché ha ritenuto che tale categoria non si intenda di problemi di salute.
Ovviamente, i chierici si sono risentiti e hanno presentato al Governo le loro proposte, rivendicando la loro esclusiva competenza in tema di preghiera e ricordando che il Governo non può trascurare tale esclusività. Il Governo, da parte sua, ha convenuto che i chierici hanno anch’essi le loro ragioni ed ha promesso di allentare la rigidità delle imposizioni e delle restrizioni in tema di preghiera.
Insomma, sulla pelle dei fedeli, si è svolto una sorta di giuoco dei bussolotti. Siccome la vostra salute fisica, dice il Governo, è più importante di ogni altra vostra esigenza, per il vostro bene è meglio che non andiate in chiesa a pregare. Da parte loro, i chierici hanno riconosciuto la fondatezza di questo assunto e si sono dichiarati disposti a collaborare, lamentando solo di non essere stati consultati e richiesti di collaborare alla stesura delle disposizioni.

Come si vede, in questo strano giuoco delle parti la posta principale è stata la salute fisica dei fedeli e, di rimando, di tutti i cittadini. Nessuno dei giocatori ha messo in campo la salute spirituale dei cittadini: il Governo per colpevole ignoranza, i chierici per dolosa negligenza. Tutti hanno dimenticato l’antica massima: “non di solo pane vive l’uomo”; dimostrando così di concepire l’uomo, che dovrebbe essere il soggetto reale delle loro preoccupazioni, come un semplice corpo mosso da bisogni e interessi solo materiali.
Il Governo ha azzerato le idee e le esigenze intime dei cittadini e li ha ridotti a semplici birilli da spostare e ricollocare a suo piacimento: ha annullato ogni loro diritto ed ogni loro autonomia. I birilli non hanno un’anima.
I chierici, in un comunicato intitolato “Disaccordo dei Vescovi”, hanno dichiarato: «I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale». Da cui si evince facilmente che l’imperativo dei Vescovi è il “servizio verso i poveri”, a cui sono strumentalmente subordinati la “libertà di culto” e la “vita sacramentale”.
Questo comunicato, emesso dalla Conferenza Episcopale Italiana il 26 aprile scorso, in seguito all’arbitraria disposizione restrittiva del Governo, non dice una parola sulla esigenza dei cittadini, e dei fedeli in particolare, di richiamarsi al bisogno di vicinanza con Dio. Proprio i Vescovi hanno clamorosamente trascurato di appellarsi alla seconda parte della massima già citata, che precisa: «ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt. IV, 4).

Non di solo pane”, ma di sola salute fisica, sembrano concordare Governo e Vescovi. E tutti fanno finta di non sapere che nell’uomo il bisogno di vita spirituale è tale che in mancanza di essa l’intera società rimane afflitta da quella che si usa chiamare “angoscia esistenziale”. Ed è questa angoscia che porta l’uomo ad attaccarsi in modo esasperato ai suoi bisogni materiali, innescando un processo che invece di appianare tale angoscia la amplifica e la approfondisce.
Governo e Vescovi procurano ad ampliare l’importanza dei bisogni materiali, tra i quali nel caso in specie primeggia la salute fisica, e determinano una sorta di nuova schiavitù dell’uomo, sociale e comunitaria il Governo, individuale e familiare i Vescovi.
Nel primo caso gli uomini sono ridotti a birilli, nel secondo caso a bruti; con un complessivo arretramento a livelli esistenziali privi di ogni afflato spirituale, che rende gli uomini più simili alle bestie e li colloca ad un gradino più in basso di esse.

Di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, ma qui occorrono orecchie per intendere e megafoni per diffondere tale parola; cose che oggi difettano entrambe: le orecchie degli uomini che rintronano degli slogan assordanti fabbricati e diffusi dai padroni del mondo al servizio del loro capo; i megafoni dei Vescovi che ormai sono privi di energia e diffondono solo rauchi gracchii sui temi più insulsi e fuorvianti: migranti, pachamame, pratiche contro natura, scioglimento dei ghiacciai, ecc.; temi che, guarda caso, sono graditi agli stessi padroni del mondo e al loro capo.
E il “loro capo” è quello stesso che ci provò con Nostro Signore, offrendogli tutti i regni del mondo in cambio di sottomissione e a cui Nostro Signore rispose: «Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi culto» (cfr. Mt. IV, 8-10).

Ora, se il Governo ha instaurato un regime quasi dittatoriale in nome del bene dei regni del mondo, i Vescovi hanno il dovere non di approntare proposte e protocolli atti a perseguire tale bene, ma di ricordare ai governanti che devono adorare Dio e a Lui solo rendere culto. Altro che chiudere le chiese e interdire la preghiera e la Messa!
I primi a dover rendere culto a Dio sono i governanti, indipendentemente dal fatto che siano o no credenti, e i Vescovi esistono proprio per ricordare loro questo, indipendentemente dal fatto che essi vogliano farlo o meno: ognuno è libero di credere in Dio o di non crederci, ma non è libero, né ad alcun titolo legittimato, ad ostacolare  l’esercizio del culto di coloro che credono.
In questo caso specifico, il disposto dei governanti non ha alcun fondamento serio e reale e va respinto e disatteso, e i Vescovi dovrebbero essere i primi a respingerlo e a rendere culto a Dio, anche a costo di pesanti sanzioni sia pecuniarie sia giudiziarie, “usque ad sanguinem effusionem”, come si diceva nel tempo in cui i veri fedeli cattolici, non solo credevano, ma praticavano il loro credo.
Eppure, visto che nel merito il capo dei Vescovi, nella sua personale rappresentazione quotidiana in quel di Santa Marta, ha tenuto a dichiarare, il 28 aprile 2020, appena prima dell’omelia e solo due giorni dopo il “Disaccordo dei Vescovi”: «In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni»; appare evidente che il primo elemento scomposto presente nelle menti e nei cuori degli uomini della attuale gerarchia cattolica è che non ci credono: costoro non credono nel culto da rendere a Dio, perché in definitiva non credono in Dio.






aprile 2020
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