14 maggio 2020

“Una Giornata per riconoscerci fratelli
e invocare lo stesso Padre”

Articolo di Giovanni Servodio




Il Documento di Abu Dhabi


Eccoci arrivati a questo “fatidico” 14 maggio.
Ieri, 13 maggio, ricorreva il 103esimo anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima. Non risulta che il mondo cattolico si sia fermato a riflettere, a pregare e a pentirsi, soprattutto in questo periodo di epidemia universale. Risulta invece che, scavalcato il ricordo della Madonna, lo stesso mondo cattolico ha ricordato l’invito espresso da papa Bergoglio e dall’imam Al-Tayyeb, il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, a unirsi per perseguire la “fratellanza universale”.

L’iniziativa è stata promossa dall’“Alto Comitato per la Fratellanza Umana” che, come dice la stessa denominazione, non è un organismo cattolico, ma una delle ultime invenzioni “ecumeniche” scaturite dallo stesso documento di Abu Dhabi.
Non si può fare a meno di notare che, superata la connotazione cattolica, la moderna compagine religiosa, che una volta si rifaceva a Cristo e alla Madonna, oggi si rifà ad una sorta di mondialismo a-religioso. Un salto di qualità all’indietro: tutti uniti come fratelli al di là di Dio e della vera religione.
Il che significa che l’auspicata “fratellanza umana” viene perseguita in nome di se stessi, ormai affrancati dalla naturale sottomissione a Dio.
La presunta autosufficienza di uomini che non si sono “autocreati”, accoglie di Dio un’idea indifferenziata che è una declamazione strumentale più che una realtà.
Si parla sempre del Creatore, ma avendo in vista un’entità indefinita che esula da qualsivoglia cultura fondata sulla vera realtà di Dio. Oggi, ogni genere di credenza riconosce che c’è un dio creatore, ma disconosce la sua vera realtà, in nome di un universalismo concettuale che esalta il mero esistente, in questo caso l’uomo, come fosse principio e fine dell’esistenza stessa, cioè di se stesso.

Per spiegare “cattolicamente” il senso vero di questa iniziativa, il sito “In terris” ha parlato con un padre gesuita, Pino Di Luccio, docente di Sacra Scrittura e decano della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.
E questa autorità accademica ha chiarito che “al di là delle differenze e distanze geografiche, sociali, religiose e culturali siamo un’unica famiglia”.
Dimostrando di concepire la “famiglia” come qualcosa di disorganico e meramente dichiaratorio: un’astrazione senza fondamento nella realtà.

Non può esserci famiglia senza una comunione di presupposti, di comportamenti e di fini; non esiste la “famiglia umana”, ma solo una famiglia che accomuna nello stesso destino un unico padre, un’unica madre e i figli che da questi sono nati, tesi insieme a vivere una vita il cui fine ultimo trascende loro stessi. Diversamente si ha solo una compagine riproduttiva a livello semplicemente animale.
Ma tale fine ultimo non può essere la “fratellanza universale”, perché essa non trascende alcunché, ma costringe l’uomo e la famiglia entro i limiti del meramente umano. Per quanto si allarghi la visione dell’uomo che guarda all’esistenza degli altri uomini, che oggi si contano nell’ordine dei miliardi, questa non riesce ad equivalere al trascendere se stessi … in Dio.

Il padre gesuita conferma che tale iniziativa è “un appello nello Spirito del Concilio Vaticano II ed è rivolto a tutti i credenti, e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà”.
Lo si era capito, e si è anche capito che “tutti i credenti” e “tutte le donne e gli uomini di buona volontà” sono coloro che partono da loro stessi e arrivano a loro stessi. E’ questo lo “spirito” del Vaticano II, che ha relegato il vero Dio in un cantuccio per fare spazio ad un deismo vago e omnicomprensivo che è fine a se stesso.
Non staremo qui a ricordare che tale “spirito” è lo stesso che anima la “fratellanza massonica”, che di per sé rende inutile ogni credenza religiosa e massimamente la religione cattolica. Si tratta infatti di una cosa talmente ovvia che sola la cecità dei cattolici moderni non riesce a vedere.
Ricordiamo invece che i veri credenti adorano Dio in spirito e verità, secondo l’insegnamento di Dio stesso offerto agli uomini per bocca del Suo unigenito Gesù Cristo. E adorare Dio “in verità” significa riconoscere l’unico vero Dio, così da formare un’unica famiglia dei veri figli di Dio.

In questa “fratellanza umana”, invece, il vero Dio è assente; e non basta la firma di un sedicente papa e di un capo musulmano per renderLo presente. Questi due possono solo parlare di loro stessi, a nome di loro stessi e in vista di loro stessi, mentre Dio li guarda distante dalla constatazione che si tratta di ciechi che conducono altri ciechi.  

Il nostro padre gesuita continua affermando che il “Documento sulla Fratellanza Umana … ha un carattere interconfessionale, inter-culturale e internazionale, con la consapevolezza non solo che una crisi globale abbia bisogno di una risposta globale, ma che l’attuale crisi globale richieda una modalità ‘globale’ di affrontare le cause dell’ingiustizia”.
In questo modo egli confessa che questa “crisi globale” è servita molto opportunamente a sollecitare una “risposta globale” che richiede una “modalità globale” di comportamenti. E tale confessione conferma che nella prospettiva di tale “globalità”, Dio è assente; come se gli uomini, dichiarandosi “fratelli”, avessero in mano le sorti dell’umanità; e come se la “crisi globale” non dovesse ricondursi al monito di Dio che chiama gli uomini alla conversione e al ritorno a Lui.
Sono le “cause dell’ingiustizia” che assillano il padre gesuita, non l’allontanamento da Dio che rende gli uomini vulnerabili e bisognosi di conversione.
 
E il padre gesuita, a questa concezione più agnostica che cattolica, aggiunge il contributo di un suo confratello: “Un mio confratello mi dice che in questa emergenza ritiene determinante la scelta di appartenere a un’unica storia che è universale. Non solo il riconoscimento di un dato di fatto. Ma una scelta che coinvolge tutto il nostro vissuto. Fin da adesso la nostra vita cambia se respiriamo al ritmo di una responsabilità dettata dall’appartenenza all’unica famiglia umana”.

Forse sarebbe stato meglio se avesse auspicato di “respirare” al ritmo dettato dalla sottomissione a Dio e dall’ubbidienza ai Suoi insegnamenti. Ma evidentemente i moderni gesuiti hanno già ridimensionato Dio, convinti come sono che quello che più conta è “l’appartenenza all’unica famiglia umana” che, come dicevamo prima è una mera astrazione e una manifesta irrealtà.

Tuttavia, a conclusione del suo intervento, il padre gesuita esprime alcuni auspici in una formulazione che riportiamo per intero.
Nei giorni più difficili della pandemia il segretario generale delle Nazioni Unite fece un appello per un cessate il fuoco mondiale per dare alle persone coinvolte in zone di conflitto la possibilità di far fronte al contagio, favorendo in questo modo la globalizzazione della solidarietà invece di quella dell’indifferenza. Il momento di preghiera e di digiuno per l’umanità colpita dalla pandemia, come tutti i tempi di preghiera e di digiuno, può diventare occasione di conversione, a partire dal riconoscimento dei propri errori, innanzitutto, e per cercare di riformarsi, con la lucidità di una volontà che elabora principi sapienziali per praticarli. Nel “Principio e Fondamento” degli Esercizi Spirituali sant’Ignazio di Loyola sostiene che l’essere umano è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore. Per spiegare la lode sant’Ignazio aggiunge due termini: la riverenza e il servizio. Nella Bibbia la riverenza è la consapevolezza di essere creature limitate, e di essere dipendenti dal Creatore. Il servizio è la pratica di questa consapevolezza e comporta il dono di sé. La solidarietà e la globalizzazione della solidarietà, per sant’Ignazio di Loyola, è la vocazione di ogni essere umano, e accomuna tutta la famiglia umana. In essa si riconoscono tutti i figli dello stesso Padre: ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei… Tutti”.

Qui troviamo finalmente l’auspicio alla conversione e al riconoscimento dei propri errori, ma, secondo uno stile tipico dei moderni gesuiti, questo non è legato al riconoscimento del bisogno di ritornare a Dio.
Il vecchio e sempre più attuale Catechismo di San Pio X, alla domanda “per qual fine Dio ci ha creati?”, rispondeva: “Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in paradiso”.
Qui, il padre gesuita complica inutilmente questa semplice e lapidaria spiegazione e, coinvolgendo impropriamente Sant’Ignazio, si permette di addebitargli un’improbabile spiegazione della “globalizzazione della solidarietà” – lontana anni luce dalle preoccupazioni di Sant’Ignazio – per giungere ad una conclusione che non è affatto ignaziana: “In essa [vocazione alla solidarietà] si riconoscono tutti i figli dello stesso Padre: ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei… Tutti”.
Sant’Ignazio non ha mai insegnato che “ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei … tutti”, fossero figli dello stesso Padre. Sant’Ignazio insegnava a combattere i nemici di Cristo sulla base del monito di Gesù: “Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde” (Lc. XI, 23).

Forse padre Di Luccio dovrebbe ripassare gli Esercizi di Sant’Ignazio, trascurando gli “esercizi di Bergoglio”, cercando di farsi tornare alla memoria che l’unica cosa che conta è essere veri discepoli di Cristo: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv. VIII, 31-32).
Diversamente, si rimane prigionieri della menzogna e si resta schiavi delle lusinghe del mondo, come la bergogliana, tayyebbiana e massonica “fratellanza universale”. 







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