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Il segreto dell’universo
nella
“Trilogia cosmica” di C.S. Lewis Incontro con padre Ambrogio Cassinasco di Alessandro Gnocchi
Pubblicato il 29 maggio 2020 sul sito “Ricognizioni” ![]() ![]() L’idea può sembrare bizzarra, ma certi libri bisognerebbe avere il candido ardire di leggerli partendo dalla fine e risalirli, capitolo dopo capitolo, contro la corrente del narrare. Un esercizio di antistoricismo narrativo che, se ben condotto, permetterà poi di procedere nella canonica lettura dall’incipit all’epilogo assaporando la contemporaneità degli eventi presenti fin dal principio nel cuore dell’autore, se non già nella sua testa. A maggior ragione, questo metodo vale per le saghe composte da più episodi. L’ho constatato con la “Trilogia cosmica” di C.S. Lewis composta da Lontano dal pianeta silenzioso, Perelandra e Quell’orribile forza che, senza precise intenzioni, ho letto cominciando dal volume conclusivo. Soltanto così ho potuto comprendere il senso più intimo delle avventure del professor Elwin Ransom, che iniziano sul pianeta di Malacandra, poi si trasferiscono su quello di Perelandra per concludersi su Thulcandra: in linguaggio terrestre, Marte, Venere e Terra. Nell’impossibilità di ridurre in poche righe il racconto di Lewis, bisogna almeno dire che narra in modo fantastico, ma plausibile, la lotta tra il Bene e il Male con tutto quanto riguarda Dio, le schiere celesti, i demoni, l’uomo e il creato. Ma, soprattutto, fa sentire che quanto avviene nella storia, dalla creazione alla caduta, fino alla redenzione e al secolo futuro, è contemporaneo a ogni uomo. Ma non è la mia opinione che sta all’origine di questa intervista a padre Ambrogio Cassinasco, prete monaco del Patriarcato di Mosca, da circa un ventennio parroco della chiesa ortodossa di san Massimo vescovo a Torino, studioso del pluralismo religioso e dell’apologetica cristiana nella società contemporanea. Ho conosciuto recentemente padre Ambrogio per chiedergli il permesso di pubblicare su Ricognizioni un articolo sugli effetti spirituali del coronavirus uscito sul sito che cura quotidianamente. E quella è stata l’occasione per approfondire quanto avevo letto in un suo scritto sull’apprezzamento riscosso da Lewis nell’ambiente intellettuale ortodosso inglese. Ho scoperto così un grande conoscitore della letteratura fantastica e un fine indagatore dei temi spirituali che la sorreggono, quando è di stoffa buona. È questo il motivo che sta al principio di questa chiacchierata sulla “Trilogia cosmica”. ![]() Padre Ambrogio, cominciamo circoscrivendo e definendo il nostro tema. Mi pare che la trilogia di Lewis sia un esempio di fantascienza esplicitamente cristiana. È una definizione corretta? Assolutamente corretta. Il
protagonista dei tre libri, il professor Ransom, è un cristiano
che vede tutti gli avvenimenti in cui è implicato, anche i
più sconvolgenti, alla luce della sua fede. Proprio
perché la trilogia non pretende di “fare teologia”, la fede
cristiana si presenta in modo abbastanza semplice – e sorprendentemente
chiaro – in molti punti del racconto. Ricordiamo come Lewis affermasse
che noi abbiamo fin troppi libri di autori che parlano di
cristianesimo: quelli che invece servirebbero sono i libri di autori
cristiani che parlano di ogni altra cosa. Questa trilogia ce ne offre
un assaggio.
Ho sempre ritenuto fuori luogo e un po’ ridicole le censure di autori fantasy da parte di cristiani che vorrebbero trovarci la trasposizione letterale del loro catechismo preferito. Penso, per esempio, a quei bigotti letterari che stanno alla larga da Tolkien perché lo ritengono un apologeta del paganesimo. A mio avviso, le opere di Lewis sfuggono alla possibilità di simili incomprensioni e, anzi, vi si possono trovare espliciti riferimenti ai dogmi cristiani. Comincerei dalla Trinità e dall’incarnazione. La Trinità è
espressamente citata in Perelandra,
che fra i tre libri è quello più abbondante di citazioni
bibliche e religiose, e vi si allude nella danza cosmica che conclude
il libro. Tuttavia, la riflessione sul mistero della Trinità non
è centrale nel pensiero di Lewis quanto lo è
l’Incarnazione, o, nelle parole del Lewis appassionato di miti e
leggende, “il mito che diventafatto”. Gli effetti
dell’Incarnazione divina si estendono a tutto il cosmo. Anche
retroattivamente, nell’antico mondo di Malacandra che pur senza
partecipare alla caduta ne subisce i danni. E potenzialmente, nel mondo
di Perelandra, dove si manifesta una nuova tentazione della caduta e si
riflette sull’Incarnazione avvenuta sulla Terra.
Un cosmo così concepito deve essere popolato da creature celesti. Nell’opera di Lewis è possibile rintracciare un’angelologia compatibile con quella cristiana? Penso, tra l’altro, alle figure dei reggitori dei diversi pianeti. L’angelologia di Lewis è
del tutto compatibile con quella cristiana: esseri incorporei, ma che
possono interagire con il mondo materiale, luminosi e oscuri a seconda
della loro partecipazione alla caduta primordiale e soggetti a una
gerarchia. Il genio di Lewis è stato quello di far conciliare il
platonismo cristiano delle gerarchie celesti, un influsso che a partire
dalle opere dello Pseudo-Dionigi si è attestato nella
letteratura cristiana di tutti i tempi e tutti i luoghi, con i
reggitori dei pianeti, che anche nel cristianesimo medioevale
esprimevano alcune delle qualità ancestrali attribuite alle
antiche divinità dei pianeti. Perfino i nomi degli antichi
dèi possono essere impunemente coinvolti in una storia di esseri
angelici. Ricordiamo come anche nell’epilogo delle Lettere di Berlicche Lewis si
riferisce agli angeli chiamandoli “dèi”, senza che questo abbia
alcuna connotazione neopagana.
Come si possono interpretare le creature razionali diverse dagli uomini che si trovano su pianeti come Malacandra e Perelandra? Nel modo in cui i cristiani
dovrebbero affrontare il tema della presenza di forme di vita razionali
diverse dalla nostra, sia che esse possano vivere su altri mondi, sia
in dimensioni parallele in qualche modo collegate al nostro mondo. Sia
che queste forme siano fisiologicamente simili a noi oppure differenti,
sia che si tratti di popolazioni antiche oppure in divenire, sia che
vivano sole su un pianeta oppure in compagnia di altri esseri analoghi,
tutte sono creazioni di Dio, tutte sono dotate di libero arbitrio e
tutte sono assoggettate alle stesse leggi della crescita spirituale. I
destini di ciascuna di queste stirpi possono essere diversi
perché la libertà può concedere di resistere
oppure no alle tentazioni della caduta, così come possono essere
differenti i loro rapporti con gli esseri incorporei a loro contigui.
Prima si diceva che il tema centrale della trilogia è quello dell’Incarnazione. Dunque, nell’opera di Lewis si trova anche una teoria della caduta? Tutta
la trilogia è una storia di caduta e di redenzione, che
manifesta in modo particolare la cosiddetta “teologia del riscatto”.
Ricordo che “riscatto” è il significato del nome del
protagonista, Ransom. Questa teoria, cara agli antichi padri greci, e
in modo particolare a san Gregorio di Nissa, vede il diavolo come
detentore di diritti sul mondo umano a causa della caduta. Dio rispetta
questi diritti, e in quanto giustizia ultima ripaga al diavolo il
dovuto con il proprio sacrificio. Tuttavia, il valore redentivo del
sacrificio ha una profondità che il diavolo stesso non
comprende. Per inciso va detto che questo è il tema che Lewis
sviluppa anche nel sacrificio di Aslan in Narnia. Alla fine il diavolo stesso
è sconfitto dalla Croce cercando di inghiottire Gesù come
“esca sull’amo”, secondo le
parole stesse di san Gregorio di Nissa, e perdendo il dominio sulla
morte. Questa teologia fu in seguito accantonata sia in Oriente sia in
Occidente, dove il riscatto degenerò, con la teoria anselmiana
dell’espiazione, in un conto da pagare per pacificare l’ira divina, ma
le sue implicazioni sulla storia fanno capire come Lewis abbia dedicato
una straordinaria riflessione al tema della caduta.
Lei ama profondamente Tolkien, un altro autore fantasy che tratta il tema della caduta. È possibile tracciare un parallelo tra la sua opera e quella di Lewis? Da un punto di vista personale,
non ritengo quella di Lewis la miglior narrazione del tema della caduta
nella letteratura fantasy. Io assegnerei volentieri il primo premio a
un testo di poche pagine, Il
racconto di Adanel, che J.R.R. Tolkien aveva inserito come
appendice alla più “teologica” delle sue opere, Il dialogo tra Finrod e Andreth (Athrabeth Finrod ah Andreth).
Consiglio volentieri la lettura di queste due opere postume di Tolkien,
che peraltro fu uno degli artefici del processo di conversione dello
stesso Lewis, a chiunque voglia approfondire anche per fini apologetici
il rapporto tra la letteratura fantasy e la fede cristiana.
Tornando alla trilogia di Lewis, come viene definito il peccato? L’allontanamento dall’Essere
supremo, sia nella degradazione volitiva e intellettuale rappresentata
da Weston nei primi due libri, sia nelle brame mondane mostrate da
Devine su Malacandra, e che può colpire sia gli esseri corporei
sia, a maggior ragione, quelli incorporei. È la perdita del
dominio dato alle creature razionali sulla creazione, una perdita che
getta la creazione intera nel caos.
Ci sono un concetto di bene e uno di male da attribuire a una rivelazione e non solo a una morale naturale? Tutto il filo narrativo del
romanzo punta a un confronto finale tra un bene e un male che di per
sé non sono semplicemente aspetti polari della natura, ma la
trascendono totalmente. Nel dialogo tra il dottor Dimble e la moglie in
Quell’orribile forza, il
confronto escatologico è descritto come un processo che sta
divenendo sempre più acuto, e che sta togliendo dalla natura
stessa la possibilità dell’esistenza dei “neutrali”, esseri
incorporei che non sono né ministri divini né avversari
demoniaci, e sui quali sono basate le creature soprannaturali di molti
antichi miti.
È presente la tentazione? In tutta la trilogia ci sono
scene di grande tensione narrativa dedicate al tema della tentazione.
Ne ricordo appena due. In Perelandra,
Weston ricopre il ruolo di tentatore del nuovo Eden, cercando di
risucchiare anche Ransom nel vortice della sua condizione di sfida alla
divinità. In Quell’orribile
forza, vediamo il processo della tentazione descritto come la
resistenza a una mostruosa “contro-iniziazione”, quando il professor
Frost induce Mark a un processo di dubbi e di orrori, volto a sradicare
la sua umanità.
![]() Tentazione, caduta, peccato: nonostante questi macigni, Lewis ci mostra una strada per la santificazione? C’è sempre una strada per
non cadere nelle logiche del male e vivere una vita in armonia con Dio:
comprendere la volontà di Oyarsa, il reggitore di Malacandra, nel primo libro;
seguire le indicazioni divine per salvare la progenie di Perelandra dalla caduta; opporsi
sulla Terra agli spiriti caduti e ai loro seguaci che vogliono
annientare l’umanità.
Il cosmo della letteratura fantastica è sempre ricco di simboli e di segni. In quello raccontato da Lewis si può dire che sia presente anche il concetto di sacramento? Se la discesa degli dèi in
Quell’orribile forza non
è un’azione sacramentale, allora credo che non abbia senso
chiedere a questo particolare prete ortodosso ulteriori approfondimenti
sui sacramenti. È bene ricordare, comunque, che gli effetti dei
sacramenti non vanno ricercati secondo la nostra logica; come ricorda
Ransom, spesso è necessario che un’offerta sia fatta su un certo
altare, perché il fuoco dal cielo scenda… in tutt’altro luogo.
È interessante che la Terra, dopo la caduta dello spirito che la reggeva sia diventata “il pianeta silenzioso”. Questo è il modo,
piuttosto brillante dal punto di vista narrativo, con cui Lewis spiega
la nostra incapacità di metterci in contatto con gli esseri
incorporei, cosa che invece gli abitanti degli altri pianeti trovano
del tutto naturale. La particolare situazione del “pianeta silenzioso”
permette a Lewis di ribadire una verità troppo poco
sottolineata: il pericolo della ricerca di contatti soprannaturali in
un mondo in cui la libertà di questi contatti non è stata
ripristinata. Lo si vede nelle parole di Ransom, “gli angeli non sono buoni compagni degli
uomini, anche quando si tratta di angeli buoni e di uomini buoni”.
Ciò che ha colpito il mondo ortodosso di lingua inglese nell’opera trilogia di Lewis può essere il respiro cosmico/liturgico tipico dell’oriente cristiano? Il respiro cosmico/liturgico
c’è senz’altro, non saprei spiegarmi in altro modo i cori degli
esseri angelici alla fine del secondo libro. Comunque andrei cauto a
fare paragoni tra diverse posizioni cristiane. Lewis si vuole
presentare come un apologeta della fede cristiana rispetto alla
mancanza di fede o alle altre fedi: non vuole, e lo sottolinea nella
prefazione a MereChristianity, cercare di convincere
i suoi lettori della bontà di una posizione di una chiesa
rispetto a un’altra. Per le sue opere di fantasia, e a fortiori per i saggi apologetici,
direi che è meglio che sia così, perché tutti i
cristiani possono trarne profitto e ispirazione, senza paura di essere
andati troppo oltre a certi confini confessionali.
Ci sono anche espliciti elementi liturgici che sottolineano questi aspetti. Sicuro, e possiamo sbizzarrirci a
trovare riferimenti a questi riferimenti in tutta l’opera. Non credo
che sia un caso che al primo incontro di Ransom con Jane si servano un
pane e una caraffa di vino…
Mi pare che le descrizioni dei paesaggi di Malacandra e Perelandra, pur cercando di essere realistiche, ricordino i tratti delle icone e abbiano poco di occidentale. In particolare mi ha sempre colpito la loro straordinaria somiglianza con le immagini di un’esperienza mistica raccontata da un monaco del Monte Athos che amo moltissimo, Giuseppe l’Esicasta. Le descrizioni sono sicuramente
non razionaliste e molto difficili da far rientrare nei canoni
dell’arte naturalistica: prova ne è il fatto che la trilogia
cosmica non ha mai avuto una trasposizione cinematografica, e neppure
di animazione. Forse, per riuscire in un’impresa come questa,
bisognerebbe avere approfondito i modi che ha l’arte ortodossa di
rappresentare la realtà.
L’opposizione alla deriva scientista e transumanista, la cui manifestazione arriva al culmine in Quell’orribile forza, non è affidata al semplice uso corretto della ragione, ma, prima ancora, alla visione spirituale e liturgica dell’uomo. In che rapporto stanno questi due elementi? Dovrei premettere che uno dei
punti principali dell’apologetica di Lewis fu quello di sottolineare
l’affidabilità della ragione come via verso Dio (molti dei suoi
commentatori vi vedono un influsso di Chesterton), per cui non tirerei
troppo la corda della subordinazione della ragione. C’è comunque
a questo proposito una figura emblematica nella trilogia, ovvero
McPhee, lo scettico della compagnia. Inflessibilmente analitico e
spietatamente autocritico, ma al tempo stesso incapace di fare il passo
che lo introdurrebbe alla dimensione trascendente, fino ad arrivare a
momenti di tensione comica nella sua interazione con Merlino, McPhee
serve da monito sui vantaggi e sui pericoli di una chiusura degli
orizzonti umani sulla sola dimensione razionale.
![]() In Quell’orribile forza cosa rappresentano la casa e il piccolo gruppo di personaggi così eterogenei che vi si riunisce per resistere all’opera di trasformazione dell’uomo e della divinità in atto nell’istituto Ince? La piccola compagnia che si
sviluppa attorno a Ransom nel terzo libro permette alla narrazione di
passare dalla prospettiva di un protagonista singolo a una moltitudine
di punti di vista che presentano uno straordinario contrasto con le
esperienze parallele nell’istituto: i membri della compagnia
rappresentano virtù umane archetipiche di fedeltà,
affetto, razionalità, buon senso, che in un modo o in un altro
hanno tutte un corrispettivo nelle degenerazioni incarnate dai membri
dell’istituto.
La compagnia nasce grazie al lascito di una sorella di Ransom, discepola in India di un personaggio detto Sura, un mistico cristiano “scomparso”, per alcuni morto e per altri no, che aveva previsto gli eventi apocalittici narrati nel romanzo. Questo personaggio è un grande tributo di Lewis a Sadhu Sundar Singh, il grande missionario cristiano indiano che dimostrò con la sua vita un modello di evangelizzazione al di là delle imposizioni culturali coloniali. La trilogia si compie con il risveglio di Merlino. Che significato ha il ritorno di questo personaggio in un luogo e un tempo in cui nessuno se lo aspetterebbe? Il deus ex machina del dramma del
terzo libro è né più né meno che Merlino,
giunto ai giorni nostri direttamente dai miti arturiani. Ricordiamo che
in questi miti Merlino non muore, ma resta intrappolato in un lungo
letargo. Lewis riesce a sdrammatizzare il mistero rendendolo ancor
più misterioso, quando spiega che gli esseri angelici non
provano alcuno stupore per il sonno plurisecolare di Merlino “poiché hanno visto innumerevoli
modi in cui il corpo e l’anima possono essere combinati o separati”.
Il fatto che un corpo si conservi così a lungo incorrotto non
è stupefacente per chi ha visto mondi in cui la corruzione non
esiste affatto.
Il risveglio di Merlino offre a
Lewis il modo di ribadire che, se esiste una magia, questa è al
di fuori della portata di noi uomini ordinari. Il potere creativo e
distruttivo degli esseri planetari è tale da non poter essere
gestito attraverso alcun essere umano contemporaneo. L’unico che
può diventare uno strumento di questo potere, e senza neppure
una garanzia di riuscita, è un uomo che era vissuto ai tempi in
cui una certa misura di arti occulte poteva essere ancora approfondita
senza conseguenze nefaste. Essendo l’unico al mondo a trovarsi in
queste condizioni, Merlino ricorda altre figure di maghi che
interagiscono con altri protagonisti di storie fantastiche, ma ne sono
in qualche modo alieni. Gandalf, nelle storie di Tolkien, opera la
magia perché è un essere angelico primordiale, Coriakin
in Narnia opera la magia
perché è l’incarnazione di una stella, e così via.
Questo ci deve servire a non pretendere di entrare noi stessi in una
dimensione magica con la nostra volontà lungo il sentiero
intrapreso dai seguaci degli spiriti caduti, ma piuttosto ad aspettare
una manifestazione dello stesso potere da parte di chi ci sarà
inviato dalla volontà divina. È la distinzione di Mircea
Eliade tra cratofania, o
manifestazione di potenza, tipica del pensiero magico, e ierofania, o manifestazione del
sacro, tipica del pensiero religioso.
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maggio 2020 |