La “rinuncia” scritta male da Ratzinger

per far saltare il banco

Gli appunti critici del frate Alexis Bugnolo

di Andrea Cionci


Articolo pubblicato su Libero Quotidiano
 
In calce abbiamo riportato l'articolo completo sctittto da frate Alexis  Bugnolo






Da qualche giorno, circolano in rete le denunce di un francescano italoamericano, latinista, esperto in Scolastica e in argomentazioni canoniche sulla rinuncia papale, che, intervistato dallo youtuber Decimo Toro, sta diffondendo i contenuti esplosivi del suo sito www.fromrome.info.  Frà Alexis Bugnolo, questo il suo nome, ha tradotto oltre 9000 pagine latine da San Bonaventura e padroneggia la lingua della Chiesa come pochi.

Il frate, leggendo attentamente la Declaratio di rinuncia di Benedetto XVI, seguendo un filo rosso fra logica, diritto canonico e lingua latina, ritiene che sia stata da lui scritta, con estrema abilità e sottigliezza, appositamente perché nel tempo venisse scoperta invalida. In questo modo, Ratzinger ha permesso alla “Mafia di San Gallo”, la lobby massonico-progressista ecclesiastica che lo aveva costretto ad abdicare, di prendere frettolosamente il potere e di svelarsi. Benedetto ha fatto così in modo che tutti gli atti, le nomine e i cambiamenti nella dottrina operati dalla “falsa chiesa” possano essere spazzati via in un sol colpo proprio per l’invalidità della sua rinuncia al papato. Per questo il Vaticano – secondo frà Bugnolo - ha deliberatamente falsificato, nelle traduzioni in lingua straniera, la Declaratio latina di Benedetto, tentando di porre rimedio alle sue falle intenzionali, ma dimostrando, così, ulteriore dolo.  Quarant'anni fa, Giovanni Paolo II e l'allora card. Ratzinger sapevano già, dal terzo Segreto di Fatima, che le lobby gay-massoniche del clero avrebbero tentato di prendere il potere, per questo avevano cambiato per tempo il Codice di diritto canonico predisponendo un sistema di emergenza per far saltare il banco in caso di usurpazione.

Questa la tesi. Per prevenire le accuse di complottismo alla sua ricostruzione, frate Alexis  cita solo i documenti dal sito del Vaticano che copiamo-incolliamo di seguito. Tutti possono controllare con un clic su www.vatican.va.

E’ del tutto assodato che nel testo della Declaratio di Benedetto sono contenuti alcuni grossolani errori grammaticali, notati già nel 2013 da eminenti classicisti come Luciano Canfora e Wilfried Stroh. Se già stupisce la mancanza del plurale maiestatico usato nei documenti ufficiali, frà Bugnolo, già traduttore di oltre 9000 pagine di San  Bonaventura, ha però notato una quarantina di altre imperfezioni linguistiche: verbi declinati male, “decisionem” al posto del corretto “consilium”, “vobis” al posto di “vobiscum”, l’uso erroneo di “explorata” per dire “indagata”,  etc. Per l'elenco completo: https://fromrome.info/2020/06/10/clamorous-errors-in-the-latin-of-the-renunciation-2/

Ma il grosso problema è la costruzione del testo di Ratzinger che renderebbe invalida la rinuncia al papato. A partire dal 1983, infatti, il Diritto canonico esige la rinuncia al “MUNUS  petrino”, ovvero all’ufficio, alla carica  del Pontefice che deriva da Dio e da San Pietro. (Prima, al papa bastava solamente dire “rinuncio” e tale modifica fu aggiunta probabilmente per blindare  eventuali future abdicazioni papali).

Ratzinger scrive nella Declaratio che le sue forze, a causa dell’età, “non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il MUNUS petrino”. Tuttavia, non scrive affatto di rinunciarvi, ma piuttosto: “ben consapevole della gravità di questo atto, DICHIARO DI RINUNCIARE AL “MINISTERO” (cioè all’esercizio) di Vescovo di Roma”. All’inizio, quindi, cita il Munus in modo generico, ma formalmente poi dichiara di rinunciare solo al Ministerium, a detta di molti, del tutto inutile per la validità dell’atto. Come se un re, abdicando, dicesse di rinunciare a esercitare il potere pratico senza rinunciare al trono ottenuto per diritto divino.

Tra l’altro, Ratzinger non scrive nemmeno “rinuncio”, bensì “dichiaro di rinunciare”, il che non implica che la sua rinuncia sia sincera, così come “dichiarare di amare”, non corrisponde per forza ad “amare”. Ipotizzando che Benedetto sia stato sottoposto a pressioni, posto di fronte a una scelta, ad esempio fra le dimissioni e la bancarotta vaticana (per questo si rimandi alla nota vicenda del codice swift e del blocco dei conti bancari vaticani) egli potrebbe aver LIBERAMENTE SCELTO DI "DICHIARARE DI RINUNCIARE". Una cosa molto diversa dal dire “liberamente rinuncio”.

Altro interrogativo sollevato da Bugnolo: perché Ratzinger scrive che la sede sarà vacante dopo 18 giorni? Eppure la rinuncia dovrebbe rendere la sede vacante fin dalla morte o dall’atto di rinuncia del papa.

La polemica sul Munus non è nuova e se ne sono occupati ampiamente Vittorio Messori, Antonio Socci e autorevoli vaticanisti, ma Frà Alexis, per primo, ha divulgato che, in tutte le traduzioni della Declaratio (sul sito vaticano), anche il Munus viene tradotto con “ministero”, accorpando quindi in un unico significato due prerogative che il diritto canonico ha ben distinto. Spiega frà Bugnolo: “Chi li ha autorizzati? Munus sarebbe perfettamente traducibile in tutte le lingue. Questa è la prova che il Vaticano ha tentato di annullare la fondamentale distinzione che papa Benedetto, nella sua recente intervista “Ein Leben”, ha pure nuovamente ribadito dichiarando come tuttora egli mantenga per sé l’”incarico spirituale”(spirituelle Zuordnung) avendo rinunciato all’esercizio concreto (konkrete Vollmacht). E’ ancora il papa regnante e infatti continua a indossare la veste bianca, a impartire la benedizione apostolica e a firmarsi P.P., Pontifex Pontificum, titolo che spetta al papa regnante”. (Va ricordato che l’unica spiegazione fornita da Ratzinger per aver mantenuto la veste bianca fu che non “aveva vesti nere nel suo armadio”).

Alla querelle sul Munus aveva risposto nel 2016, in un articolo estremamente tecnico, del tutto incomprensibile per i non addetti ai lavori, Mons. Giuseppe Sciacca, vescovo e segretario della Segnatura apostolica. “Come un furbo avvocato – dice frà Bugnolo –  Sciacca dice, giustamente, che il potere non può essere diviso fra due papi, ma dà per scontata la validità della rinuncia ed elude la vera questione. Dice poi che rinunciare al Ministerium comporta rinunciare automaticamente anche al Munus, ma questo non è affatto vero perché Benedetto avrebbe potuto benissimo nominare un Vicario per gestire il Ministerium e mantenere la propria carica, il Munus, che è essenziale anche per questioni teologiche e dogmatiche, non solo canonistiche, in quanto proviene da Dio”.

Vi sono poi altre stranissime anomalie nella traduzione italiana pubblicata dal Vaticano: “dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, IN MODO CHE, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante”.

Come specifica frà Bugnolo: “In modo che”, in latino è scritto da Ratzinger con UT che però deve essere tradotto con AFFINCHE’. Diversamente, “in modo che” si deve tradurre, invece, con “QUOMODO”.

Sono due cose molto differenti: “in modo che” presuppone l’assoluto, legale automatismo di un rapporto atto-conseguenza. “Affinché” invece può rivelare anche un intento nascosto o un effetto voluto, ingenerato appositamente. La differenza che passa tra un “modo” esterno e naturale rispetto a un “fine” soggettivo.

Ad esempio, non è corretto dire: “Metto l’esca nella trappola in modo che il topo sia catturato” perché non è detto che il topo caschi nell’inganno. Si deve piuttosto dire: “Metto l’esca nella trappola affinché il topo sia catturato”.

Immaginiamo per un attimo che, realmente, Benedetto sia stato costretto all’abdicazione: lui scrive quindi che “dichiara di rinunciare” al suo “ministero” “AFFINCHE’” la sede sia vacante… quindi forse anche per l’azione degli usurpatori. Se avesse scritto realmente “in modo che” avrebbe implicitamente ammesso la validità della sua rinuncia. Così, no.

Altra anomalia: perché Benedetto scrive che il nuovo conclave dovrà essere convocato “DA COLORO A CUI COMPETE” e non “da Voi cardinali”? Suona come una delegittimazione, dato che sarebbero ovviamente i cardinali a cui si rivolge a dover formare il conclave. Come se il presidente del Senato, parlando di un futuro presidente della Repubblica dicesse che questi “dovrà essere votato da coloro a cui compete” e non, come ovvio, “da voi parlamentari”.

Ratzinger, inoltre, non specifica la DATA PRECISA del nuovo, vero conclave per l’elezione del Pontefice. Dice solo che questo dovrà essere convocato DOPO CHE LA SEDE SARA’ VACANTE, cioè realmente, il momento successivo alla sua morte. Ecco perché l’elezione valida del nuovo Pontefice COMPETEREBBE, in quel caso, solo ad ALCUNI CARDINALI, quelli nominati prima dell’avvento di Bergoglio e disposti a riconoscere l’avvenuto “golpe”. Infatti le nomine cardinalizie di Bergoglio non sarebbero legalmente valide, perché emanate da un papa invalido, poiché invalida è stata la rinuncia. Nel caso passassero ancora molti anni e non rimanessero vivi e attivi cardinali “legittimi”, nominati da Benedetto o da Giovanni Paolo II, il nuovo Pontefice dovrebbe essere scelto dalla Chiesa romana, come nei tempi più antichi. Ecco perché, in questa ottica, un nuovo conclave dovrebbe essere convocato “da coloro a cui compete” e non ai cardinali cui lui si rivolge. Non fa una piega.

Fantapolitica o una Declaratio apparentemente pasticciata che, però letta nel modo giusto, si rivela di adamantina, “ratzingeriana” coerenza?

Fra’ Bugnolo è sicuro: gli errori di latino sono stati voluti apposta da Ratzinger per attirare l’attenzione sull’invalidità del documento e per far emergere, a una attenta lettura, la verità quando i tempi sarebbero stati maturi. Dello stesso avviso è l’avvocato viennese Arthur H. Lambauer, noto esperto di diritto internazionale, che già nel 2013, aveva notato le anomalie: “Ritengo che Benedetto abbia commesso errori di proposito per rendere invalido il successore in modo che non creasse nulla di irrevocabile (matrimoni gay, diaconato femminile etc.) e nel caso, spazzarlo via”.

Su tutto, un dato oggettivo e incontestabile: in quegli strani 18 giorni che passano dalla “rinuncia” alla sede vacante (che pure, a regola, dovrebbe scattare dalla rinuncia) nessuno ha potuto o voluto correggere la Declaratio scritta da Benedetto così “malamente”. Perché? Eppure è compito specifico dei cardinali correggere il papa, in modo premuroso e filiale, ove sbagliasse.  “Questo dimostra – sostiene fra’ Bugnolo - che i cardinali erano sleali e accecati dalla fretta di prendere il potere e che forse alcuni di loro, come anche alcuni funzionari della Segreteria Apostolica cui non potevano sfuggire certi errori, erano “complici” di Benedetto e, ben consapevoli del trucco, hanno taciuto affinché un giorno “scoppiasse la bomba”. In entrambi i casi si rivela un’usurpazione”.

E veniamo alle possibili obiezioni: “Ratzinger non conosce approfonditamente il latino o era già troppo anziano per scriverlo bene”. Difficile che il teologo tedesco, per 14 anni a capo della Congregazione per la Dottrina della fede, già autore di eccellenti scritti in latino, non sapesse padroneggiarlo. Peraltro, il papa è circondato da eccellenti latinisti che avrebbero potuto supportarlo. Nel febbraio 2013 era, poi,  lucido tanto da poter tenere un discorso a braccio di 58 minuti. “In ogni caso, l’invalidità resterebbe – risponde frate Alexis - perché la rinuncia impone non solo piena lucidità mentale, ma anche assoluta consapevolezza del diritto canonico”.

Altra prevedibile contestazione: “Glielo ha scritto qualcun altro che non sa bene il latino”. Ma se il documento provenisse da un coercitore o da un falsario, perché costruirlo in modo da essere canonicamente invalido?

Ultima critica eventuale: “Benedetto XVI non ingannerebbe mai nessuno”. Infatti, papa Benedetto non ha ingannato nessuno, ha solo scritto una rinuncia al ministerium. Secondo fra’Bugnolo, sono altri che non hanno voluto vedere cosa c’era scritto realmente e come lui si è comportato fino ad oggi. Così, si sono ingannati da soli per la loro avidità di potere.

A una prima lettura, tutto ciò lascia frastornati: sembra assurdo, ma terribilmente coerente. A nulla vale, in questo caso, sbandierare la solita categoria difensiva del “complottismo” perché qui ci sono dati di fatto che meritano una spiegazione ALTRETTANTO logica e alternativa.

Nel mondo laico, a livello giuridico si possono impugnare dei lasciti per molto meno, eppure la questione sulla validità della rinuncia di un papa al soglio di Pietro è stata liquidata molto, forse troppo in fretta. Prossimi scenari? Le argomentazioni di frà Bugnolo, che hanno pure un loro perché e si appoggiano su evidenze, forse saranno semplicemente ignorate, derise o il loro autore probabilmente comincerà a subire una serie di attacchi ad personam. Staremo a vedere.


IL TESTO COMPLETO REDATTO DA FRATE ALEXIS BUGNOLO

E pubblicato su l sito FROM ROME

A pochi giorni dalla pubblicazione del testo latino ufficiale dell’Atto di Rinuncia fatto da Papa Benedetto XVI l’11 febbraio 2013 alcuni giornali titolavano così: “Errori clamorosi nel testo latino della Rinuncia”. ( qui in francese e qui testo italiano)

Questi articoli citavano solo due errori, quelli di “commisso” al posto del corretto “commissum” e quello di “vita” al posto di “vitae”.

I giornali avevano ragione, ma io ho individuato almeno 40 errori, non solo quei due!

Eppure, la macchina della propaganda si è messa subito al lavoro e chiunque sui social media, nel 2013 iniziava a parlare di errori è stato immediatamente e brutalmente attaccato perché “osava giudicare il papa”!

Il vero scopo era che la “Mafia della lavanda”, ovvero la lobby del clero gay, era molto preoccupata per chiunque mettesse in dubbio la validità della Rinuncia. Ricordo che il mio professore di Diritto Canonico manipolava le lezioni tenute in febbraio e marzo di quell’anno per insegnare cose su certi canoni in modo errato così da soffocare qualsiasi considerazione sull’invalidità. Ma lo faceva con tale sottigliezza che solo dopo tutti questi anni ho potuto riconoscere ciò che aveva fatto.

Le altre voci che criticavano quelli che hanno sollevato dubbi sul latino della Declaratio di Papa Benedetto parte appartenevano ai circoli di quei cardinali conservatori che l’anno scorso hanno distrutto la loro reputazione professando  indubbia obbedienza a Bergoglio persino dopo i suoi atti di adorazione e riverenza idolatrici (episodio della Pachamama etc). Fu allora che nacque l’opposizione controllata di Trad Inc. (Termine colletivo per parlare in modo generale dei siti che criticano Bergoglio per non essere cattolico ma insistono che egli è il Vero Papa). Fu il loro primo atto di lealtà verso il regime. E la loro azione indicava chiaramente che già erano posizionati per rispondere e che gli era stato detto cosa fare.

Quindi, per fornire una verità storica più esatta, discuterò qui questi errori e fornirò una traduzione italiana di ciò che il latino di Papa Benedetto XVI ha detto.

Faccio questo per correggere qualsiasi malinteso dato dalla mia precedente traduzione inglese dell’Atto di Rinuncia, nell’articolo che ho intitolato “Una traduzione inglese letterale del discorso di Benedetto XVI dell’11 febbraio 2013“, dove per letterale intendo fedele nel senso, non nella grammatica del latino impiegato.

I miei commenti sul testo latino sono basati sulla mia conoscenza della lingua latina acquisita in 14 anni di traduzione in inglese di circa novemila pagine letterarie di testi ecclesiastici latini medievali. Sarò il primo a dire che non credo di essere un esperto in materia, ma penso che non sarebbe esagerato dire che oggi nella Chiesa c’è solo una manciata di uomini che hanno tradotto più latino del sottoscritto. Ho anche pubblicato un popolare libro di testo e video per il latino ecclesiastico, che ho prodotto per la Mansfield Community TV, nel Massachusetts, negli Stati Uniti, e che The Franciscan Archive ha distribuito per alcuni anni dopo la pubblicazione di Summorum pontificum.

E così, pur ammettendo che posso sempre imparare dagli altri, citerò anche due studiosi tedeschi che hanno criticato pubblicamente il testo latino della Declaratio: il professore di filologia, Wilfried Stroh (vedi qui ) e l’avvocato viennese Arthur Lambauer, i cui commenti sono registrati in parte qui

Posso anche dare una testimonianza personale del fatto che i latinisti che hanno lavorato in Vaticano durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono a conoscenza di tutti questi errori (e probabilmente di altri) e sono stati reticenti solo per motivi personali, così come mi è stato riferito da uno di loro durante un incontro a Bagnoregio, in Italia, nell’estate del 2016.

Evidenzio in ROSSO gli errori di espressione (numerando ciascuno), dopo di che commenterò ogni errore sezione per sezione, perché ce ne sono tanti. Il testo latino ufficiale è disponibile sul sito web del Vaticano ( qui ).

Fratres carissimi

Non solum propter tres canonizationes (1) ad hoc Consistorium (2) vos convocavised etiam ut vobis (4) decisionem (5) magni momenti pro Ecclesiae vita (6) communicem (7). Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata (8) ad cognitionem certam (9) perveni (10) vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse (11) ad munus Petrinum aeque (12) administrandum.

(1) Dire propter tres canonizationes significa per o a causa di tre atti di canonizzazione. Tale struttura grammaticale in latino significa, non che il Papa abbia convocato i Cardinali per condurre o annunciare la canonizzazione di tre gruppi o individui, ma che in qualche modo i Cardinali  siano stati convocati per onorare gli atti di canonizzazione o perché gli atti stessi non possono essere completati senza di loro. Ma l’atto di canonizzazione è un atto pontificio che non richiede i Cardinali. Pertanto, il latino corretto dovrebbe essere in trium canonizationum annuntiationem, cioè per annunciare la mia decisione di decretare tre atti di canonizzazione, poiché la costruzione latina che inizia con la preposizione in è usata per esprimere uno scopo. Questo è un errore comune di coloro che non hanno mai letto attentamente alcun testo latino e che impongono un significato moderno a ciò che pensano che significhi una preposizione latina.

(2) Dire ad hoc Consistorium potrebbe benissimo essere un’usanza della corte pontificia – non posso commentare – tuttavia, in latino, poiché consistorium è un atto di stare insieme, non un luogo in cui vengono convocati i cardinali, ma un modo solenne di radunarsi, la corretta struttura grammaticale dovrebbe essere in hoc consistorio.

(3) In un atto ufficiale un papa parla in prima persona plurale, cioè adotta il pluralis maiestatis. L’uomo che è il papa, in quanto uomo e non papa, parla con la prima persona singolare, “io”. Pertanto, la forma corretta del verbo qui dovrebbe essere convocavimus.

(4) Il verbo latino communicem prende la preposizione cum, non il dativo di riferimento, e quindi invece di vobis si dovrebbe leggere vobiscum . Così com’è, l’unica possibile funzione grammaticale dei vobis sarebbe quella di un dativo di possesso per decisionem!

(5) Concordo qui con il dott. Stroh, che la parola dovrebbe essere consilium, non decisionem, perché quest’ultima parola latina significa un “atto di separazione” come nella parola “potatura”, o tutt’al più un “atto di prendere una decisione”, che chiaramente non è qui appropriata, perché il Papa non li ha compresi nel processo decisionale, dichiarando solo una decisione che ha già preso. E consilium è la parola giusta per una cosa del genere, se fatta da un superiore con autorità.

(6) Questo è l’errore più assurdo di tutti. La persona che ha scritto questo non capisce nemmeno che in latino non usi il dativo di riferimento in una frase che inizia con una preposizione come nelle lingue moderne. Questo dovrebbe essere Ecclesiae vitae, poiché, così com’è vuol dire a nome della vita della Chiesa o per il bene della vita della Chiesa ; a meno che, naturalmente, non si riferisca a una grave minaccia alla vita della Chiesa per la quale questo atto intende difendere quella vita. Può essere, ma poiché quasi tutti i moderni sbagliano in questo modo, si presuma che in se stesso sia prodotta dall’ignoranza, non mediante allusione.

(7) Dato che la rinuncia è della persona, non del papa, nella frase successiva vediamo che inizia a parlare in prima persona come uomo, ma penso che poiché questa clausola subordinata è ancora quella parte del testo detto dal Romano Pontefice, in quanto Pontefice, dovrebbe essere in prima persona plurale: communicemus. La frase che segue, quindi, in prima persona, dovrebbe cominciare un nuovo paragrafo, al fine di mostrare questa distinzione di potere.

(8) Questa parola è completamente sbagliata perché in latino si riferisce all’esplorazione di un luogo o di una regione o all’indagine sulla grandezza di una cosa o su sua dimensione fisica, o è il termine militare per spiare o guardare qualcosa per ottenere informazioni. Non viene mai usato con le cose spirituali, perché certamente la propria coscienza non è un mondo a sé stante, a una facoltà del conoscere. Il termine corretto dovrebbe essere uno che significhi esposto o risolto, a causa del riferimento all’essere davanti o alla presenza di Dio.

(9) Queste parole non sono soltanto scelte male, ma insufficienti per sostenere il discorso indiretto che segue. Il modo latino corretto per dire questo è nunc bene cognosco quod (ora ben ravviso che) invece di ad cognitionem certam perveni (sono pervenuto alla certezza).

(10) Questo verbo non ha il senso di “essere pervenuto” nelle materie che riguardano la conoscenza. Significa piuttosto raggiungere, il che avrebbe senso se si stesse spiando il nemico, ma dire che sei pervenuto alla certezza esaminando la tua coscienza è assurdo, perché la coscienza riconosce solo verità morali, non è la fonte della conoscenza o della certezza.

(11) Qui c’è una clausola nel discorso indiretto che segue cognitionem certam . La forma corretta, se tale espressione deve proprio essere mantenuta (cfr. N. 9 sopra), dovrebbe essere introdotta con quod ed essere nel nominativo, non nell’accusativo, perché l’oggetto di una certa conoscenza è un fatto noto, non un “sapere che”. E quindi, a causa dell’errore nel n. 9, il verbo qui dovrebbe essere sunt , leggendo l’intera frase: vires mihi ingravescente aetate non iam aptae sunt. Penso che si sarebbe dovuto usare il dativo enfatico di possesso mihi piuttosto che l’aggettivo possessivo meae, perché la forza di cui parla è intima al suo essere fisico, non solo un possesso esteriore.

(12) Il dottor Stroh sottolinea giustamente che questo è l’avverbio sbagliato. Quello corretto dovrebbe essere recte o apte o — io propongo —  constanter (correttamente, appropriatamente o coerentemente).

Bene conscius sum (1) hoc munus secundum suam (2) essentiam spiritualem non solum agendo (3) et loquendo exsequi (4) debere (5), sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis (6) rapidis mutationibus subiecto (7) et  (8) quaestionibus magni (9) pro vita fidei (10) perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium (11) etiam vigor quidam corporis et animae (12) necessarius est, …

(1) L’uso di conscius è più comune parlando della conoscenza che si ha degli altri, ma quando si parla della conoscenza di sé, nel raro uso del poeta latino, Terenzio, questa costruzione deve essere formata così: mihi sum conscius, e non conscius sum, per dimostrare che la conoscenza è di se stesso ma l’aggettivo provoca il discorso indiretto. E quindi una virgola dovrebbe essere posta dopo conscius per conformarsi ai moderni livelli di interpunzione latina.

(2) Qui c’è semplicemente l’errore di qualcuno che pensa in italiano, perché l’aggettivo possessivo per la terza persona, in latino, non è MAI usato per una cosa in una frase, solo per il soggetto di un verbo. Il latino corretto, quindi, dovrebbe essere eius sebbene possa essere omesso del tutto poiché la frase secundum essentiam spiritualem è una misura e il suo oggetto è implicitamente compreso. Il dottor Stroh sottolinea giustamente che naturam dovrebbe essere usato al posto di essentiam . Sono d’accordo, perché San Bonaventura afferma che la natura si riferisce all’essere di una cosa come un principio di azione.

(3) Qui chi ha scritto il testo ignora che in latino  agere si riferisce a tutte le azioni, fisiche o spirituali, e perciò è impropria la accoppiata con loquendo, che è pure un atto. È difficile capire a cosa si riferisca agendo, poiché quasi tutto ciò che fa un papa è parlare. Non è come se pulisse i bagni o facesse qualsiasi lavoro manuale. Forse, la parola migliore sarebbe scribendo , cioè scrivere.

(4) Il verbo latino qui è scelto male, perché exsequi si riferisce a un lavoro svolto, ma il soggetto non è un lavoro ma un munus o una carica, il che è una cosa. Quello giusto sarebbe geri, cioè ”condotto” nel senso del moderno di “adempiuto” o “eseguito”.

(5) Questo è il verbo sbagliato per esprimere ciò che si intende. È giusto o necessario che i doveri dell’ufficio siano adempiuti. Ma non è un debito, che è ciò che debere significa.
Il latino corretto dovrebbe essere oportere, cioè adatto o necessario a raggiungere l’obiettivo prefissato.

(6) Chiunque abbia scritto questo non ha esperienza nella lettura del latino, poiché tempus si riferisce alle stagioni. Il concetto di tempo in latino non è lo stesso dei moderni. Sembra voler dire “nel nostro mondo contemporaneo” , ma in latino si direbbe in saeculo nostro, perché saeculum è il termine latino per definire il mondo nel senso del tempo, di generazione o cultura, non mundum, che si riferisce al cosmo come realtà fisica o luogo.

(7) A causa dell’errore n. 6, questa frase deve essere interamente riscritta, come velocium o celerium mutationum usando il genitivo della descrizione e non il dativo di riferimento, e quindi non c’è necessario di subiecto . Il latino rapidus viene usato per cambiamenti rapidi o affrettati, semplicemente non accurati storicamente.

(8) E così, allo stesso modo, a causa della caduta del subiecto questa congiunzione può essere completamente omessa.

(9) Qui magni, “di grande valore” , sembra poco opportuno, perché le questioni di fede nei tempi moderni sono quasi interamente il prodotto di non credenti che si agitano con la loro immaginazione senza Dio; magnis concordato con quaestionibus oppure magni momenti sarebbe più corretto. Ma magni può reggere perché è così Ratzingeriano come chiunque può dire dai suoi scritti.

(10) Qui c’è lo stesso errore di prima, e quindi in latino si dovrebbe dire fidei vitae o fidei .

(11) Qui si ha l’errore di uno studente latino di primo anno che dimentica che il complemento oggetto in latino vada prima dei verbi, non dopo: dovrebbe essere Evangelium annuntiandum.

(12) Qui viene scelta la parola sbagliata, perché chiaramente l’anima non invecchia o si indebolisce con l’età, ma lo fa lo spirito. E quindi il latino corretto dovrebbe essere animi. Il dottor Stroh è d’accordo con me.

qui ultimis (1) mensibus in me modo tali minuitur (2), ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum (3) agnoscere debeam (4). Quapropter bene conscius (5) ponderis huius actus plena libertate (6) declaro (7) me ministerio (8) Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium (9) die 19 aprilis MMV commisso (10) renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae (11), sedes Sancti Petri vacet et (12) Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse.

(1)  In latino si indicano le cose recenti dicendo praecedentibus, non ultimis. Il dottor Stroh suggerisce: his praeteritis poiché si dà molta importanza al recente passato.

(2) Qui il tempo è sbagliato, poiché il riferimento è a ciò che è accaduto negli ultimi mesi, e sta ancora accadendo; il tempo giusto è l’imperfetto minuebatur e prende mihi come dativo di riferimento non in me.

(3) Non ha senso dire che si sta amministrando un ministero, la parola migliore dovrebbe essere gerere, come prima. Ma l’intera frase è formata in modo errato, poiché incapacitatem dovrebbe seguire la regola del capax e prendere un infinito (come nella Vulgata) o un genitivo (Seneca) con aggettivi o gerundi, quindi il tutto dovrebbe scriversi ministerii mihi commissi bene gerendi.

(4) Visto che il testo viene letto come se fosse già stata presa una decisione, dire che “si dovrebbe riconoscere” è contestualmente e temporalmente incorretto, secondo il tempo. Inoltre, come clausola subordinata a un imperfetto, deve trovarsi nel congiuntivo perfetto. La frase dovrebbe riportare qualcosa come iustum fuerit , “era proprio quello”.

(5) L’avvocato Lambauer sottolinea giustamente che questa costruzione con conscius prende il pronome riflessivo mihi prima di essa.
Ma nella giusta sintassi ponderis huius actus dovrebbe precedere  conscius . Qui ci sono ben due errori.

(6) Ora arrivano gli errori che riguardano la nullità, l’invalidità e l’irregolarità dell’atto. Perché la rinuncia deve essere fatta liberamente. Che sia dichiarata liberamente va bene, ma ciò è presunto e non necessario, a meno che non ci sia qualcuno incline a pensare che sia stato costretto. Perché dire questo? Quindi questa frase, se mantenuta, dovrebbe essere con il verbo renuntiare , ed entrambi NON dovrebbero essere in discorso indiretto, perché annunciare o dichiarare di rinunciare non significa rinunciare a qualcosa, ma annunciare qualcosa, e quello non è l’atto specificato nel Canone 332 §2 che richiede una rinuncia come atto essenziale, non una dichiarazione.

(7) Questo verbo, se lasciato, dovrebbe introdurre una frase che prepara gli ascoltatori circa l’intenzione o qualcosa di simile, non all’atto della rinuncia.

(8) Questo è l’oggetto sbagliato dell’Atto di rinuncia, che secondo il Canone 332 §2 dovrebbe essere muneri. Il dott. Stroh, scrivendolo a febbraio 2013, osserva che questo errore rende invalida la rinuncia. Sono d’accordo!

(9) Il Munus petrino e il Ministerium non sono affidati al papa eletto, ma vengono immediatamente ricevuti da lui nella successione petrina dicendo: “Sì, accetto la mia elezione”. Questa è la teologia papale rudimentale. Se uno sbaglia, si può in modo sensato mettere in dubbio se al momento dell’atto fosse compos mentis (sano di mente). A meno che ovviamente l’intera frase ministerio … … per manus Cardinalium commisso non abbia lo scopo di rimproverare i Cardinali per avergli concesso un ministero ma non gli ha concesso alcuna vera autorità. Anche se una tale intenzione implicherebbe sia sarcasmo e sia inciderebbe sull’invalidità della rinuncia. Quindi si dovrebbe leggere in successione petrina o qualcosa di simile.

(10) Questo dovrebbe essere a me accepto o a me recepto, cioè “da me accettato” o “da me ricevuto”.

(11) Questa è l’unica frase che è corretta, ma che nessuno se non un esperto del Segretariato di Stato saprebbe, perché, come mi ha detto un eminente latinista vaticano, è il modo consueto di indicare il fuso orario romano in latino. Il dottor Stroh e l’avvocato Lambauer, scrivendo dalla Germania, non lo sapevano.

(12) Qui il discorso indiretto dovrebbe finire, o meglio, l’espressione della prima persona, io, dovrebbe finire, perché la chiamata di un conclave è un atto pontificio, l’uomo che è papa, che ha appena rinunciato, non ha l’autorità di convocarlo. Quindi qui il latino dovrebbe riprendere con il NOI pontificio, et declaramus.

Fratres carissimi, ex toto corde gratias ago vobis (1) pro omni amore et labore (2), quo mecum pondus ministerii mei portastis et veniam peto pro omnibus defectibus meis (3). Nunc autem Sanctam Dei Ecclesiam curae Summi eius Pastoris, Domini nostri Iesu Christi confidimus (4) sanctamque eius Matrem Mariam imploramus, ut patribus Cardinalibus in eligendo novo Summo Pontifice materna sua bonitate assistat. Quod ad me attinet etiam in futuro (5) vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim. (6)

Ex Aedibus Vaticanis, die 10 mensis februarii MMXIII



(1) Ancora una volta, un errore da studente di latino del primo anno. La frase dovrebbe leggere gratias vobis agimus . In primo luogo a causa del corretto ordine delle parole del latino, in secondo luogo perché ora li sta ringraziando come il Romano Pontefice, perché hanno collaborato con lui, non come uomo, ma come Papa, il verbo dovrebbe tornare alla prima persona plurale. Due errori qui.

(2) Se uno è grato per il loro servizio e collaborazione, non dice amore et labore, che si riferiscono al lavoro materiale e all’affetto fisico; ma piuttosto omnibus amicitiabus operibusque per dimostrare che l’amicizia e le opere erano molteplici e unite l’una con l’altra. Quattro errori qui.

(3) Ancora una volta, un errore da studente di latino del primo anno che sbaglia l’ordine delle parole. Si dovrebbe leggere: pro omnibus defectibus meis veniam peto e la frase dovrebbe essere introdotta da de vobis o de omnibus. Due errori qui. È anche imbarazzante tornare all’uso della prima persona singolare qui, anche se è necessario riguardo alla confessione fatta.

(4) Il dottor Stroh sottolinea giustamente che è il verbo sbagliato: il latino corretto è committimus.

(5) Il dottor Stroh ricorda ancora che la corretta espressione temporale latina è infuturum.

(6) In latino non c’è condizionale. Il congiuntivo è usato per esprimere i desideri, ma non con il verbo desiderare! Si direbbe piuttosto serviam , “che io possa servire” non servire velim , “possa io desiderare di servire” che non ha senso; si può semplicemente essere più diretti e dire: “desidero servire” (servire volo). Ma San Bonaventura nei suoi Commentarii su Lombardo fa lo stesso errore.

IN CONCLUSIONE

Penso che non sarebbe esagerato dire che se qualcuno avesse visto anche solo parte di questi errori e non ha chiesto al Santo Padre di correggerli prima della pubblicazione dell’atto, avrebbe peccato mortalmente contro il suo dovere di lealtà verso il Romano Pontefice. Penso anche che il numero di questi errori sia una prova forense qualificata che SE Benedetto ha scritto questo testo e lo ha letto liberamente, o che non era in uno stato mentale adeguato o non ha agito con deliberazione matura.

Infine, se qualcuno dice che l’Atto di Rinuncia non ha errori o deve essere accettato come una rassegnazione papale, non semplicemente una rinuncia al ministero per dedicarsi alla preghiera, allora stanno chiaramente parlando di un altro documento, perché ci sono molti errori in questa dichiarazione che nessuna persona sana di mente potrebbe mai affermare che è vincolante per nessuno. Perché se era inteso come un atto di rinuncia papale, ed è stato scritto dal Papa, allora è chiaro che non era in possesso delle sua facoltà mentali per rinunciare validamente, perché per rinunciare validamente devi almeno sapere come scrivere una intelligibile frase, in qualsiasi lingua tu abbia scelto di rinunciare, e devi nominare l’ufficio con una parola che significa ufficio. E dai!

Avviso pubblico: ho trascorso solo 2 ore ad analizzare il testo, quindi il Vaticano ha sicuramente avuto abbastanza tempo per correggerlo prima del 28 febbraio 2013, diciasette giorni dopo! Io suppongo che non l’abbiano comunque fatto, perché altrimenti avrebbe potuto che la parola ministerio doveva essere cambiata in muneri, e la realtà era che papa Benedetto insisteva che non lo fosse, perché non aveva intenzione e non aveva mai avuto intenzione di rinunciare all’ufficio papale o sua grazia.





giugno 2020
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