Il legno della croce

di Elisabetta Frezza



Pubblicato il 14 dicembre 2020 sul sito
Ricognizioni


 






Ascoltando mio figlio alla vigilia di una interrogazione di filosofia, ho riscoperto un passo, tratto dalle prime pagine del commento di Sant’Agostino d’Ippona al Vangelo secondo Giovanni, che gli era assegnato da mandare a memoria (sì, esistono ancora insegnanti così, e in genere non sono “cattolici”).

È dedicato al legno della croce e riprende, sublimandola alla luce della fede, l’immagine della navigazione già evocata nel Fedone platonico. Dice parole che restano incise nel cuore di chi le legge perché chiunque, leggendole, le può sentire disegnate su se stesso e ne può trarre conforto e incoraggiamento per affrontare la propria personale traversata nel mare della vita, nella certezza che – sia che uno la veda di lontano, sia che non la veda perché i suoi occhi sono malati – la meta c’è. E, se ci si aggrappa a quel legno, è raggiungibile.







«È come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com’è. E anche se già scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c’è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare. Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà». 



dicembre 2020
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