L’inferno, Origène e von Balthasar


di Procopius

Si Si No No, anno XXXV n. 15 - 15 settembre 2009


Pubblichiamo dei vecchi articoli che parlano di Hans Urs von Balthasar . Gli articoli sono stati pubblicati dal quindicinale Si Si No No.
Gli articoli sono preceduti da una introduzione di Don Curzio Nitoglia

Introduzione di Don Curzio Nitoglia

Il vero volto di Von Balthasar

Purtroppo la falsa Nouvelle Théologie di Hans Urs von Balthasar, rilanciata recentemente da don Alessandro Minutella, sta cercando di penetrare e d’inquinare anche l’ambiente cattolico tradizionalista.

Per far fronte a questo errore pernicioso - che nasconde il veleno del modernismo/moderato (balthasariano/ratzingeriano), sotto le apparenze di conservatorismo teologico - ripubblichiamo tre articoli su von Balthasar, apparsi sulla Rivista quindicinale antimodernista “sì sì no no”  (www.sisinono.org), nel 2009/2010.

Non è un caso che von Balthasar fosse vicino alla scuola teologica - moderatamente modernista - raggruppatasi attorno alla Rivista Communio che era capitanata da Joseph Ratzinger, Henry de Lubac e Jean Daniélou; mentre Blathasar (come Ratzinger) era in disaccordo accidentale, ossia quanto al modo e non quanto alla sostanza, con la scuola radicalmente modernista - raggruppata attorno alla Rivista Concilium - di Karl Rahner, Hans Kung, Edward Schillebeechkx, Dominique Chenu e Yves Congar (1a).
 
Il fatto che don Minutella inquini oggettivamente (2a)  - non voglio assolutamente fare un processo alle intenzioni soggettive di nessuno (3a)  - la teologia cattolica tradizionale in questi tristissimi tempi di pontificato bergogliano (2013-2021), rifacendosi a von Balthasar e a Joseph Ratzinger la dice lunga. 

Per capire il pensiero apparentemente tradizionale, ma sostanzialmente modernista di don Minutella, occorre studiare il pensiero conservator/modernistico di von Balthasar e di Joseph Ratzinger.

Benedetto XVI non è San Pio X e neppure Pio XII; infatti egli ci ha presentato, per tutto il tempo del suo pontificato (2005-2013), la dottrina dell’Ermeneutica della continuità - “sempre asserita e mai provata” come scriveva monsignor Brunero Gherardini (4a)  - tra Concilio Vaticano II e Tradizione apostolica, teoria - questa - non conforme alla realtà.

Si può fare, dunque, la seguente analogia: Benedetto XVI sta a von Balthasar come Bergoglio sta a Rahner e come don Minutella sta a Ratzinger contro Rahner.  

Don Minutella si accanisce contro il progressismo radicalmente esasperato di Bergoglio, ma gli oppone il modernismo conservatore di Ratzinger e la teoria del “Concilio Vaticano II, letto alla luce della Tradizione”; tuttavia “un errore” (post/concilio, Bergoglismo) “non si corregge con un altro errore” (Vaticano II, Ratzingerismo).

Don Minutella, inoltre, sostiene, in maniera eccessiva e non teologicamente fondata, 1°) che Francesco non è il Papa regnante, poiché Benedetto XVI non sarebbe “Papa emerito”, ma Papa in atto; 2°) che, chi cita nel Canone della Messa (anche tradizionale) il nome di Francesco come Papa regnante, renderebbe invalida la Messa; ossia in questa Messa in cui si cita in nome di Francesco al Canone, non avverrebbe la transustanziazione, non ci sarebbe la presenza reale di Gesù sotto le apparenze del pane e del vino e non sarebbe lecito partecipare a essa.

Tuttavia Benedetto XVI ha dichiarato numerose volte, dopo le sue dimissioni, che il Papa regnante, cui lui stesso (che è solo “Papa emerito”) è sottomesso, è Francesco. Inoltre per la validità di un Sacramento occorre la materia (pane e vino); la forma (“Questo è il Mio Corpo”, “Questo è il Mio Sangue”) e l’intenzione del Sacerdote, validamente ordinato, di fare un Rito sacro, anche se non ci crede, se reputa che sia sbagliato oppure se celebra o vive nel peccato grave.

“Ogni eccesso è un difetto”. Purtroppo in don Minutella si trova l’eccesso rigoristico dell’invalidità della Messa “una cum papa Francisco” e il difetto del neomodernismo del Vaticano II letto alla luce della tradizione balthasariana e ratzingeriana.

Buona lettura dei tre articoli di “sì sì no no”!

NOTE

1a - Il lettore che fosse interessato a conoscere il pensiero di questi teologi più o meno radicalmente modernisti, può leggere i numerosi articoli pubblicati da “sì sì no no” su di essi; basta andare sul portale web www.sisinono.org   e trovare con il motore di ricerca i nomi di costoro.
2a - Il “finis operis”, ove termina oggettivamente l’azione o l’operato; per esempio fare l’elemosina, recitare un rosario, celebrare Messa.
3a - Il “finis operantis”, lo scopo soggettivo che l’agente si propone di ottenere, ponendo oggettivamente tale azione; ad esempio, farsi lodare dagli uomini o da Dio per avere fatto l’elemosina, aver detto il rosario o celebrato Messa.
4a -   BRUNERO GHERARDINI, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; ID., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; ID., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; ID., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; ID., La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.




L’inferno, Origène e von Balthasar
(Si Si No No, anno XXXV n. 1
5)

L’eresia dell’inferno vuoto


Abbiamo già parlato en passant della concezione ereticale sull’ inferno (1)  in Hans Urs von Balthasar (sì sì no no,30 giugno 2009 p. 3). Cerchiamo ora di approfondire la questione.

Il Balthasar (Sperare per tutti, Milano, Jaca Book, 1989) (2)  lascia intendere la liceità e anche la necessità di sperare la salvezza finale per tutti, riprendendo la teoria dell’ apocatastasi di Origene (sì sì no no, 30 giugno 2009 p. 3). Nella sua Teodrammatica (Milano, Jaca Book, 1986, V, p. 248) sostiene addirittura che il dannato, che si trova nell’inferno, potrebbe convertirsi mediante un incontro “atemporale” con Gesù Cristo abbandonato dal Padre e disceso all’inferno anche Lui dopo la Sua morte (3) . Nel Vangelo, però, leggiamo: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrarvi, ma non vi riusciranno» (Lc. XIII, 23). Dunque molti purtroppo non si salveranno.

Origène (+ 254) espresse la teoria secondo cui tutti anche il demonio e i dannati alla fine si sarebbero salvati, riducendo così l’inferno ad un lunghissimo purgatorio e la pena eterna afflittivo-vendicativa del senso e del danno a pura pena medicinale e purgativa temporanea. Questa teoria dell’apocatastasi fu condannata dalla Chiesa (papa Vigilio II) nel II Concilio di Costantinopoli ma ha fatto presa sugli scismatici e più ancora tra le sette protestanti ed è riemersa, di tanto in tanto, con qualche distinguo o lieve sfumatura anche in ambienti cattolici. Tra gli autori che recentemente hanno simpatizzato per essa, si trova oltre il Balthasar anche il gesuita Jean Daniélou (L’apocatastase chez saint Grégoire de Nysse, 1940, e Origène, 1949), che di von Balthasar fu confratello e amico. Entrambi furono allievi di Henri de Lubac, il quale sosteneva (Le Surnaturel, 1946 e Histoire et esprit, 1950) la teoria della non gratuità della grazia, la quale sarebbe dovuta all’uomo per natura, confondendo così l’ordine naturale con quello soprannaturale. Questa dottrina era già stata condannata costantemente dal Magistero (DB, 101 ss., 174, 793-843, 1001 ss., 1902), infine da san Pio X nella Pascendi (1907) e nuovamente da Pio XII nella Humani generis del 1950.

Mons. Gherardini scrive: «Non sarò sensibile alle lusinghe del buonismo teologico [Origène] […], e che oggi si ripropone nell’estetismo parateologico di Hans von Balthasar, secondo il quale l’inferno c’è, ma vuoto […]. Mi riferisco alla sua ben nota posizione sostenuta in “Sperare per tutti” […], e soprattutto nel convegno per Adrienne von Speyr (Roma 1984) […]. L’idea appare perfettamente in linea con le premesse estetizzanti dello pseudo-teologare balthasariano […].

La seconda enciclica di Benedetto XVI “Spe salvi” (30 novembre 2007), non parla dell’inferno […]. Presenta una trattazione sul Giudizio come “luogo dell’apprendimento della speranza”, con evidente reticenza della teologia dei Novissimi.

All’inferno accenna al termine del n. 45 per identificarlo con “la distruzione del bene”. Il resto è tutto permeato dalla speranza del trionfo di Cristo, e quindi di una salvezza veramente universale, una sorta di “catarsi” [per non dire “apocatastasi” n.d.r.]» (4).


Contro la dottrina cattolica rivelata

Certo, Dio vuole che tutti si salvino. Il predestinazionismo (Dio non vuole la salvezza di tutti, ma solo di alcuni che ha predestinato alla gloria, così come gli altri all’inferno e quindi Cristo non è morto per tutti)  è un’eresia che risale al prete francese Lucido (V secolo) fu ripresa dal monaco Gotescalco (IX secolo), continua con Wicleff, Huss, Lutero e si radicalizza ancor più con Calvino, essa fu condannata più volte dalla Chiesa (DB, 316, 320 ss., 816, 827).

«Dio non vuole che gli uomini si perdano […], ma che tutti tornino a penitenza» (1 Tim. II, 4), tuttavia gli uomini non sempre corrispondono a questa volontà salvifica antecedente di Dio e, rifiutando il dono divino, rifiutano la salvezza eterna. In Luca XIII, 23 succitato leggiamo: «Qual-cuno gli domandò: Signore sono po-chi quelli che si salvano? E Lui gli rispose: sforzatevi di entrare per la porta stretta, poiché molti cercheranno di entrare e non lo potranno». È chiaro: pochi si sforzano di salvarsi e vi riescono; molti non vi riescono poiché non si sforzano di entrare per la porta stretta. Anche in Matteo (VII, 13) si legge: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa; mentre stretta è la porta e angusta è la via che conduce alla vita e pochi sono quelli che la trovano». Qui il concetto è ancora più esplicito: pochi imboccano la via stretta e molti invece quella spaziosa, che conduce alla dannazione. Onde è rivelato che pochi si salvano rispetto ai molti che si dannano, non perché Dio predestini qualcuno all’inferno, ma poiché i “damnandi” non fanno nessuno sforzo per santificarsi.

Contro la Tradizione patristica

I Padri ecclesiastici sono moralmente unanimi – e quindi infallibili – nell’interpretare questi versetti. SAN BASILIO (Serm. de Ren. saeculi): «Il bene è raro e ce ne sono pochi che entrano nel Regno dei Cieli»; SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (Hom. XXIV in Act. Apost.): «Quante persone si salveranno nella nostra città? Tra tante migliaia non ce ne sono cento che giungeranno alla salvez-za»; SAN GIROLAMO (In Eccl. Com. Col.): «La predicazione è rilassata, quando promette indifferentemente la salvezza e il cielo alla maggior parte [degli uomini]»; SANT’AGOSTINO (Serm. CVI): «Certamente quelli che si salvano sono un piccolo numero»; SAN LEONE MAGNO (Serm. XLIX, c. 2): «Mentre la via larga che conduce alla morte è frequentata da folle numerose, nei sentieri della salvezza si vedono solo le rare vestigia del piccolo numero di coloro che vi entrano»; SAN GREGORIO MAGNO (Hom. XIX in Evang. par. 5): «Molti giungono alla Fede, ma pochi pervengono al Regno dei Cieli, incipere multorum, perseverare paucorum est [incominciare è di molti, perseverare di pochi]».

Contro i Dottori della Chiesa

SAN TOMMASO D’AQUINO (S. Th. I, q. 23, a. 7 ad 3um) riprende la dottrina dei Padri e ne spiega la ragione teologica: «Un bene proporziona-to alla natura si consegue nella maggior parte dei casi, mentre la sua deficienza è un’eccezione. Invece, un bene che sorpassa la comune condizione della natura lo si ritrova solo in un piccolo numero, mentre la sua mancanza si riscontra in un gran numero di casi. Così sono più gli uomini che hanno una conoscenza sufficiente per ordinare le funzioni normali della vita umana, ed un piccolo numero che ne è privo, gli idioti. Invece sono pochi coloro che posseggono una conoscenza profonda dei problemi del pensiero. Quindi, siccome la salvezza eterna, che consiste nella visione beatifica di Dio, supera la comune condizione della natura umana ferita dal peccato originale e priva della grazia, sono pochi quelli che si salvano».

Come si vede, la dottrina cattolica riassunta dal Dottore Comune della Chiesa è diametralmente opposta a quella di de Lubac, Daniélou e Balthasar (5) i quali pretendono che la grazia, e dunque la gloria, sia dovuta alla natura umana e perciò per loro è normale e doveroso “sperare per tutti”, mentre per la Tradizione divino-cattolica la grazia è un dono gratuito di Dio all’uomo (DB, 101 ss., 174, 793-843, 1001 ss., 1902), e la salvezza eterna, essendo sopra la natura (per definizione il “sopra-naturale” è “sopra la natura”), è conseguibile solo dagli uomini di buona volontà.

Altri Dottori ecclesiastici hanno ripreso la dottrina del piccolo numero relativo degli eletti (6). Per esempio SAN BONAVENTURA (Brevil. Pars I, cap. 9), SAN TOMMASO DA VILLANOVA (Concio II in Dom Septuag.), SAN LEONARDO DA PORTO MAURIZIO (Quaresimale, predica 24), SAN LUIGI GRIGNION DE MONTFORT che nella Lettera circolare agli Amici della Croce parla di “uno su diecimila”.

CONCLUSIONE

La recente (2009) ristampa di Iota unum (1985) di Romano Amerio, sulle variazioni della dottrina cattolica nel Vaticano II, i libri di mons. Brunero Gherardini (Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009 e Quale accordo tra Cristo e Belial?, Verona, Fede e Cultura, 2009), le monografie di Fides catholica su Karl Rahner e su Balthasar (1/2009), riaprono il dibattito (che d’altronde mai si era chiuso) anche fuori degli ambienti strettamente antimodernisti o “tradizionalisti”, che per primi lo avevano aperto. Oramai la dottrina conciliare-pastorale e post-conciliare frutto dei “novatori” inizia a far acqua da tutte le parti. Speriamo che essa venga dovutamente corretta e condannata da chi ne ha l’autorità.

Così pure la distinzione tra due anime del Concilio, quella radicale e “modernizzante” (Rahner, Küng, Schillebeekhx, con la rivista Concilium) e quella moderata-“ortodossa” (Balthasar, Lubac, Ratzinger, con la rivista Communio) non regge alla prova dei fatti. Anzi, studiando bene gli autori e la loro dottrina, si vede che i secondi sono sostanzialmente dei novatori come i primi e vi è solo una differenza accidentale quanto al modo di dire le stesse cose più o meno apertamente. Ora, un errore mascherato e veicolato da un maggior numero di verità è più pericoloso dell’errore manifesto (R. Garrigou-Lagrange), poiché inganna di più. Quindi attenzione a chi, senza rigettare le novità conciliari, cerca di presentarle in “continuità” con la Tradizione, “continuità” che è asserita ma non dimostrata. Ma quod gratis affirmatur, gratis negatur e dunque la palla torna all’avversario, cui spetta l’onus probandi senza contentarsi di affermare soltanto.

Attenzione anche alla pratica (praxis) del dialogo per il dialogo poiché Ernest Bloch si è servito di essa per rendere il cristianesimo pura prassi e così svuotarlo della sua sostanza e dottrina, per omologarlo al marxismo. I cristiani “adulti”, che vi hanno abboccato, hanno finito per pensare marxianamente come avevano cominciato ad agire pragmaticamente. Historia magistra vitae. Tuttavia mai maestra è stata meno ascoltata. Quis habet aures audiendi, audiat. Purtroppo non v’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Procopius







NOTE

1 - Definito formalmente come dogma nel 1322 da Benedetto XII (Costituzione Benedictus Deus, Denz. 1002): «Noi definiamo che […] le anime di coloro i quali muoiono in peccato mortale attuale, subito dopo la loro morte, discendono immediatamente all’ infer-no, dove sono tormentate con supplizi eterni».
2 - Il Balthasar nel suo libro Breve discorso sull’inferno (Milano, Jaca Book, 1997, p. 150) scrive: «La certezza che un certo numero di uomini, soprattutto non credenti, finisce nell’inferno eterno possiamo lasciarla all’islam». Come si evince da questa frase, la “speranza per tutti” di Balthasar è formalmente contraria al dogma dell’inferno, ridotto ad un purgatorio mezzo vuoto.
3 -   Secondo il Balthasar nella passione e morte di Cristo in Croce si sperimenta un “divorzio” nella SS. Trinità, ove il Figlio è lontano e separato dal Padre, separato da Lui a causa del peccato. Lo Spirito Santo mantiene la separazione tra Padre e Figlio durante il dramma del Calvario. Il Verbo discendendo agli inferi (che per Balthasar non sono il Limbo dei giusti dell’Antico Testamento, ma l’inferno dei dannati) risolve, con la sua passeggera dannazione, il problema dell’eternità dell’inferno: il Figlio prende il posto dei dannati, e in questo incontro tra il Verbo e l’inferno dei dannati avviene lo svuotamento dell’inferno e la conversione di tutti, dannati e diavoli (Teodrammatica, V, Milano, Jaca Book, 1986, p. 266). Qui c’è chiarissima  l’eco di Calvino (v. A. PIOLANTI Il protestantesimo ieri e oggi p. 99) e l’influenza della von Speyr già calvinista e poi mal convertita dal von Balthasar.
4 - Fides Catholica, 2, 2008, p. 352 e p. 364.
5 - Purtroppo questi novatori, condannati nel 1950 da Pio XII, vennero chiamati da Giovanni XXIII nel 1960 a “dirigere” il Concilio Vaticano II in qualità di “periti”. Il loro pensiero ha informato anche alcuni luoghi del Vaticano II, per esempio Gaudium et Spes n° 22: «per il fatto stesso che il Verbo incarnato, ha unito a Sé in un certo qual modo ogni uomo». Anche la riforma liturgica di Paolo VI (1970) ne ha risentito, e specialmente il cambiamento delle parole della forma della consacrazione del pane, che per tradizione divino apostolica recitavano “pro multis” ed invece sono state tradotte con “per tutti”. Infine Giovanni Paolo II afferma in Redemptor hominis n. 9: «Dio in lui (Cristo) si avvicina ad ogni uomo dandogli il tre volte Santo Spirito di Verità» ed ancora “Redemptor hominis” n. 11: «La dignità che ogni uomo ha raggiunto in Cristo: è questa la dignità dell’adozione divina». Sempre in “Redemptor hominis” n° 13: «Non si tratta dell’uomo astratto, ma reale concreto storico, si tratta di ciascun uomo, perché […] con ognuno Cristo si è unito per sempre […]. L’uomo – senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché , con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando l’uomo non è di ciò consapevole […] mistero (della Redenzione) del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre». Ancora Giovanni Paolo II in “Dominum et vivificantem” n. 50 scrive: «Et Verbum caro factum est. Il Verbo si è unito ad ogni carne (creatura), specialmente all’uomo, questa è la portata cosmica della redenzione. Dio è immanente al mondo e lo vivifica dal di dentro. […]. L’Incarnazione del Figlio di Dio significa l’assunzione all’unità con Dio, non solo della natura umana ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è carne: di… tutto il mondo visibile e materiale [quindi anche dei dannati, n.d.a.] […]. il Generato prima di ogni creatura, incarnandosi… si unisce, in qualche modo con l’intera realtà dell’uomo […] ed in essa con ogni carne, con tutta la creazione [diavoli compresi, n.d.a.]». In “Dives in misericordia” n. 1 Giovanni Paolo II afferma: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’ antropocentrismo, la Chiesa [conciliare n.d.r.] … cerca di congiungerli… in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio».
Come si vede l’ombra del “Cristo cosmico” di Teilhard de Chardin si proietta sui “nuovi teologi” (Lubac, Daniélou, Balthasar, Chenu, Congar, Rahner, quasi tutti condannati da Pio XII in Humani generis e sospesi dall’insegnamento), sul Vaticano II e sul post-concilio, specialmente su Giovanni Paolo II. Onde su tale questione vi è continuità tra neomodernismo o Nouvelle Théologie e Concilio Vaticano II e post-concilio, mentre vi è un’evidente rottura tra Tradizione e Vaticano II. Non è solo una questione di ‘periti’ (Lubac, Daniélou, Balthasar) o dello ‘spirito’ del Concilio, no! È la dottrina “conciliare pastorale” (Gaudium et Spes) e post-conciliare (Giovanni Paolo II) “comune”, sicut litterae sonant, ad essere in contraddizione con la Tradizione divino apostolica.
6 - Piccolo non in sé (“vidi turbam magnam quam di-numerare nemo poterat”, Apoc. 7,9), ma solo relativamente al grande numero di coloro che non vogliono sforzarsi di entrare per la “porta stretta” e quindi non si salvano.
Cfr. A. MICHEL, Èlus (nombre des), in “D. Th. C.”.
R. GARRIGOU-LAGRANGE, Prédestination, in “D. Th., C.”.
ID. La Prédestination des saints et la Grace, Parigi, Desclée e Brouwer, 1936.
L. CIAPPI, La Predestinazione, Roma, Studium, 1961.
P. PARENTE, De Deo Uno et Trino, Roma, Marietti, 1962.
A. TORRENS, Du nombre des élus, Parigi, NEL.
















gennaio 2021
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