Papa Francesco apre ufficialmente il santuario alle donne



Articolo pubblicato sul sito informazioni della Fraternità San pio X





Lettrice all'intronizzazione di un vescovo


Il 19 gennaio 2021, Papa Francesco ha pubblicato un motu proprio – lettera apostolica di iniziativa personale – intitolato Spiritus Domini.
(http://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-
francesco-motu-proprio-20210110_spiritus-domini.html)
esso verte sulla modifica del can. 230 § 1 del codice di diritto canonico 
circa l’accesso delle persone di sesso femminile al ministero istituito 
del lettorato e dell’accolitato.

Per comprendere di che si tratta e di quello che è in giuoco, è necessario porre la questione nella sua prospettiva storica e liturgica.

Gli Ordini minori e il suddiaconato nella storia della Chiesa

Secondo la tradizione, il sacramento dell’Ordine comporta diversi gradi. Esso si divide in Ordini maggiori: sacerdozio, diaconato e suddiaconato; e in Ordini minori: ostiario, lettore, esorcista e accolito. La separazione netta è data dal fatto che a partire dal suddiaconato il chierico si impegna alla castità perfetta – nella Chiesa latina – e normalmente non può più ritornare allo stato laico – salvo dispensa della Santa Sede .
L’episcopato è superiore al sacerdozio.

L’episcopato, il sacerdozio e il diaconato sono esplicitamente nominati e indicati nella Sacra Scrittura. Ma gli Ordini minori e il suddiaconato appaiono solo progressivamente nei primi secoli. Per esempio, il lettorato è menzionato da Tertulliano (ca. 155-220). Il Papa Cornelio cita gli ostiari tra gli Ordini minori nel 251; e indica anche gli accoliti, gli esorcisti e i suddiaconi.

L’origine di questi Ordini è stata discussa da liturgisti e teologi, ma sembra che sia la Chiesa ad essere intervenuta nella loro istituzione. In ogni caso, quale che sia l’opinione più diffusa – sviluppo di quanto era contenuto nel sacerdozio o istituzione ecclesiastica – la loro antichità e la loro permanenza nel corso della storia della Chiesa sono dati accertati.

Il Concilio di Trento, svoltosi per respingere il protestantesimo, ha dedicato la sua 23esima sessione al sacramento dell’Ordine, visto che i protestanti lo negavano e rifiutavano. Uno dei canoni in proposito enuncia: «Se qualcuno dice che oltre al sacerdozio non vi sono nella Chiesa cattolica altri Ordini maggiori e minori, attraverso i quali, come per gradi, si arriva fino al sacerdozio, sia anatema» (canone 2 DzS 1772).

E’ dunque di fede che esistono diversi gradi nel sacramento dell’Ordine, alcuni maggiori, altri minori. In particolare, il santo Concilio cita esplicitamente solo l’episcopato, il sacerdozio e il diaconato.; ma precisa che si deve ricevere un Ordine inferiore solo in vista del sacerdozio. Cosa che esclude la possibilità di rimanere – volontariamente – in un Ordine minore ricevuto.

Notiamo infine che tutti questi Ordini, nella storia, sono stati conferiti ai chierici, cioè a degli uomini.

La riforma di Paolo VI

Il 15 agosto 1972, il Papa Paolo VI, con il Motu proprio Ministeria quaedam, riorganizzò gli Ordini minori e il suddiaconato. Egli stabilì che da allora essi saranno chiamati «ministeri» e potranno essere conferiti a dei laici per istituzione – non definitiva.
Sono mantenuti solo il lettorato e l’accolitato, che conferiscono il potere di esercitare le funzioni fino ad allora riservate al suddiaconato.
Questi ministeri saranno comunque riservati agli uomini «secondo la venerabile tradizione della Chiesa» e conferiti con un rito liturgico. Da notare accuratamente che né gli Ordini minori né il suddiaconato sono con questo «soppressi». La prova si ha nella possibilità data agli istituti Ecclesia Dei di utilizzare i libri liturgici del 1962, e in particolare il Pontificale, che contiene le collazioni a tutti gli Ordini, i maggiori come i minori.

Il principio di questa riforma appare chiaramente nelle referenze alle quali rinvia il Motu proprio Ministeria quaedam:
-    il n° 21 della Sacrosanctum Concilium, che fonda la riforma liturgica sulla partecipazione «piena, attiva e comunitaria» del «popolo cristiano»;
-    il n° 14 della stessa Costituzione, che professa lo stesso principio, ma lo mette in relazione con il sacerdozio comune dei fedeli;
-    il n° 10 di Lumen gentium, quando si tratta di spiegare perché l’essere chierici è direttamente legato alla ricezione del diaconato: la riforma farà risaltare la distinzione che esiste tra chierici e laici, nonché le loro differenti attribuzioni. Apparirà allora meglio la mutua dipendenza del sacerdozio comune col sacerdozio ministeriale.

Lo scopo è chiaro: bisogna dare un significato pieno al «sacerdozio dei fedeli», principio di una partecipazione attiva al culto liturgico, che corrisponde ad un sacerdozio nel senso proprio del termine. Questa riforma vuole dunque conferire a tutti i titolari del sacerdozio comune il più possibile di quanto apparteneva esclusivamente al sacerdozio ministeriale. In altre parole: la distinzione sta solo al livello dei soggetti che esercitano questi Ordini.


Il Motu proprio Spiritus Domini di Papa Francesco

Tuttavia, la riforma di Paolo VI mancava di logica, riservando i nuovi ministeri solo agli uomini.
Ecco come lo spiega Don Jean-Michel Gleize in un recente articolo
https://laportelatine.org/documents/crise-eglise/nouveau-
magistere/pape-francois/les-femmes-a-lautel-lesprit-de-vatican-ii

«Se si tiene conto dei presupposti di questa riforma di Paolo VI, come essi derivano dal concilio Vaticano II, il fatto che l’essere istituiti lettori e accoliti sia “riservato agli uomini” è in contraddizione col suo spirito.
«In effetti, il sacerdozio comune è proprio del battezzato in quanto tale, senza distinzione di sesso. Se si decide che l’attribuzione dei ministeri a dei non-chierici deve trovare la sua motivazione profonda nel principio di questo sacerdozio comune, non si vede perché i ministeri non potranno essere conferiti alle donne.

«Se si invoca, come fa Paolo VI, “la venerabile tradizione della Chiesa”, bisogna essere coerenti ed andare fino in fondo alla logica: questa “venerabile tradizione” esclude non solo il sacerdozio delle donne, ma anche lo stesso principio del “sacerdozio comune”. Se lo si invoca per ammettere questo escludendo quell’altro, ci troviamo al cospetto di un maldestro alibi, che dissimula male la sua incoerenza.

«E’ per rimediare a questa mancanza di logica che Papa Francesco (…) rivede la riforma di Paolo VI, decidendo che i ministeri del lettorato e dell’accolitato da adesso possono essere conferiti alle donne.

«Al di là dello choc mediatico – ed effimero – che potrà suscitare questa decisione, ciò che resta è la logica del Vaticano II, divenuto coerente con se stesso. E d’altronde questa nuova disposizione del diritto non fa che consacrare il fatto già affermato sotto i predecessori di Francesco: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI».

«Qui come altrove, il costume indica il vero spirito della legge, e cioè quello del Vaticano II, che si allontana sempre più dalla “venerabile tradizione della Chiesa”»

Ciò che resta è una frammentazione del rito liturgico tra diversi attori dal rango essenzialmente differente, introducendo una confusione sempre più profonda circa il sacerdote e lasciando intravedere la più radicale delle possibilità – vietata dalla legge divina – quella di vedere un giorno il conferimento del sacerdozio alle donne.





gennaio 2021
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