L'ammucchiata

di Alipio de Monte
 

Mentre avevo già chiuso ed impaginato l’ultimo numero del mio Bollettino “Una Voce Dicentes” ecco pervenirmi un altro intervento di Alipio de Monte, il quale in questi ultimi tempi sembra aver scoperto il mondo del web, che a largo raggio diffonde la sua voce.
Voce di una persona mite,  ch’esce da un convento ove ha passato gran parte della sua vita dedito allo studio ed alla preghiera, voce che sino ad ora era giunta solo ai lettori di qualche rivista teologica. Ho così riaperto il fascicolo per inserire il nuovo articolo, che nel frattempo spicca il volo nell’etere.
Attento osservatore della vita della Chiesa, ancora una volta, dopo un’apertura sorridente ed autoironica, fra Alipio ci presenta, con una concisa precisione e con l’evidente dolore premuroso del figlio al capezzale della madre ammalata, la critica condizione della Chiesa odierna che cerca  all’esterno una sua nuova identità avendo perduto quella bimillenaria forgiatale da Gesù nell’affannarsi di tanta parte della Gerarchia a conformarla al mondo ed alle confessioni cristiane eretiche e scismatiche ed alle religioni non cristiane, persino idolatriche.
La Chiesa Cattolica, ormai, offre di sé, tramite la maggior parte dei suoi pastori, un’immagine ed un’anima sfigurate: non si riconosce più quale unica e vera Chiesa di Cristo, unica arca di salvezza, unico Ovile sotto un unico Pastore; ha rigettato la sua essenza missionaria, e per bocca di noti cardinali dichiara che non si deve svolger opera nei riguardi degli Ebrei che hanno già una loro via di salvezza senza (e contro) Cristo. Eretica favola quest’ultima, certo non nuova e che ora vien ribadita con forza dal card. Koch (cfr. http://www.traditioninaction.org/ del 9. XII. 2012): uno spicchio della tragica, desertificante teologia della salvezza universale.

Altro non aggiungo se non la domanda tormentata e tormentosa di Paolo VI: “Quando Gesù tornerà troverà ancora un piccolo gregge?”. I veri cattolici non han dubbi di sorta: la Chiesa di Cristo, forse ridotta ai minimi termini, unita in un luogo o sparsa in monadi per la terra sarà pronta ad accoglierLo, ad abbracciar lo Sposo il quale un giorno le promise che sarebbe stato accanto ad essa sino alla fine dei secoli.

Dante Pastorelli


Sì, sono ancora io, Alipio de Monte, un fraticello attempato ma vispo ancora ed arzillo, e per quanto sta in me, non mi lascio sfuggire nessuna occasione per mettere qualche puntino sulle i. Qualcuno dirà: ancora lui, il solito. Sì, il solito, perché non posso essere altro che il solito, ma anche perché, come al solito, ho ancora trovato delle i senza il dovuto puntino. Ed ancora una volta le ho trovate ne "L'Osservatore Romano" di lunedì-martedì 10-11 dicembre 2012, p. 6, dove ho letto che la Settimana per la pace, celebrata a Mindanao (Filippine) dal 29 nov. al 5 dic. 2012 su iniziativa di quella Conferenza Episcopale, "ha coinvolto comunità, associazioni cristiane e musulmane, istituzioni, scuole e università in iniziative, conferenze e marce di pace in diverse località di Mindanao".

    Non fu, né sarà l'unica volta. Da quando Papa Wojtyla indisse il famoso incontro d'Assisi, al quale parteciparono i rappresentanti di tutte le religioni storicamente costituite, si è diffuso nell'intero mondo il cosiddetto "spirito d'Assisi": una sorta di "embrassons-nous" che non guarda in faccia nessuno di quanti vengono stretti fra le braccia e non chiede a nessuno quali siano le sue credenziali religiose. Incontri come quello di Assisi si sono poi ripetuti nella stessa Assisi e altrove, in Italia e all'estero; e tuttora continuano, a riprova e testimonianza che in quello "spirito" tutte le religioni, dalle più primitive alle più spiritualmente evolute e significative, ritrovano l'elemento primordiale che le accomuna ed in esso celebrano la propria unità, per vivere, come gli sposi delle favole, "d'amore e d'accordo tutti i giorni della loro vita".

    Intendiamoci, che si viva d'amore e d'accordo non è un male; o meglio, non lo è fino a che la pretesa, e perfino il solo desiderio dell'amore e dell'accordo non si concretino in una promozione dell'assurdo. Tale, come ognuno può ben capire, sarebbe mettere il ed il no sullo stesso piano, non nel senso di accostare l'uno all'altro, ma in quello di unificarli entrambi. e no sono irriducibili; e, per una loro intrinseca ragione, irriducibili sono pure le varie religioni. Lo sono, infatti, non tanto nella motivazione da cui ognuna prende le mosse, quanto nell'identità in cui ognuna riconosce se stessa e si differenzia dalle altre.

    È nell'ordine delle cose che identità e differenze specifiche perdano la loro consistenza, almeno nell'estimazione comune, quando, fosse pure per motivi santissimi, le identità non vengano salvaguardate e le differenze vengano invece trascurate. È quanto avviene in ogni ammucchiata, ma specialmente in quella che, forse con l'illusione di rendere più credibile un'affermazione o una negazione, vede gomito a gomito confessioni religiose eterogenee se non anche contrastanti e arroccate nell'irriducibilità del proprio Credo. La frequenza di iniziative a larga partecipazione di rappresentanze ufficiali delle più varie religioni lo dimostra. In questi casi le religioni stesse perdono il contatto con la propria identità, ma perdono pure gran parte della loro credibilità. Si rivelano infatti insicure, prive di sufficienti giustificazioni ed incapaci di incanalare l'interesse dei propri adepti nell'ottica autenticamente religiosa: quella che ci trascende e ci ricorda il nostro traguardo finale. Non era senza motivo che la Chiesa preconciliare proibisse in modo assoluto la "partecipazione ai riti sacri" delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni. Una tale partecipazione, infatti, se per un verso dava scandalo, per un altro costituiva o avrebbe potuto costituire un pericolo per la fede dell'eventuale partecipante.  Oggi, in ossequio alla sbandierata presunzione del cristianesimo finalmente adulto e pertanto al di là e al di sopra dello "scandalo dei pusilli", è sempre più frequente che cattolici e protestanti, musulmani ed ebrei, liberi pensatori e perfino atei dichiarati si riuniscano insieme per una "veglia di preghiere", ovviamente in funzione della pace. O di qualche "pacifica" iniziativa a favore della pace. Un cattolico ha il sacrosanto diritto di chiedersi che cattolico sia chi prende parte ad ammucchiate di tal genere, con quale diritto, con quale autorizzazione, con quale consapevolezza, con quale preparazione; ma ha pure il sacrosanto diritto di indignarsi quando, per riprendere un'immagine biblica, i cani che dovrebbero latrare non latrano e, peggio ancora, quando si fanno sentire solo per tacitare la coscienza del dovere di stato, invitando a chiudere ora un occhio ora l'uno e l'altro.

    In realtà, si vive oggi una situazione nella quale la chiusura non di un occhio solo, ma di ambedue, è diventata quasi abituale. E ciò con la pretesa di rendere gloria a Dio e provvedere alla diffusione del suo regno. Sembra, infatti, che ormai questo regno si configuri soltanto nell'ammucchiata. La preoccupazione principale, che fin a qualche tempo fa era quella della indiscussa fedeltà alla Parola di Dio e all'organo incaricato di interpretarla e diffonderla, oggi  è diventata quella non solo di non urtare le altrui suscettibilità, ma addirittura di prenderne in prestito le risposte ai problemi che urgono, indipendentemente e qualche volta contro la sensibilità cattolica dei medesimi. Si spiega così la ricerca spasmodica e un po' grottesca dell'intesa ad ogni costo: l'approvazione della dottrina riguardante la giustificazione del peccatore, sulla quale Lutero aveva appoggiato l'edificio della Riforma; la liceità e validità della Messa senza le parole della transustanziazione; l'elaborazione di una ecclesiologia sempre più dimentica della istituzionalità della Chiesa e della piena legittimità di cui gode in essa l'ufficio petrino; una liturgia sempre più democratica che incentra nell'uomo ciò che trova il suo centro solamente in Dio. C'era ieri un detto, così formulato: Religio depopulata. Si metteva così l'accento sul progressivo declino della pratica religiosa. Oggi depopulata è la Chiesa, non perché il tempio cessi d'esser frequentato, ma perché si va progressivamente affievolendo la ragione della sua frequenza. Quando il tempio diventa il teatro di balli perfino lascivi o di musiche che non solo non agevolano né accompagnano la preghiera, ma la impediscono, la religio è davvero depopulata. E' allo sbando. O quanto meno sull'orlo di esso.


Alipio de Monte






dicembre 2012

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