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L'ammucchiata di
Alipio de Monte
Sì, sono ancora io, Alipio
de Monte, un fraticello attempato ma vispo ancora ed arzillo, e per
quanto sta in me, non mi lascio sfuggire nessuna occasione per mettere
qualche puntino sulle i. Qualcuno dirà: ancora lui, il solito.
Sì, il solito, perché non posso essere altro che il
solito, ma anche perché, come al solito, ho ancora trovato delle
i senza il dovuto puntino. Ed ancora una volta le ho trovate ne
"L'Osservatore Romano" di lunedì-martedì 10-11 dicembre
2012, p. 6, dove ho letto che la Settimana per la pace, celebrata a
Mindanao (Filippine) dal 29 nov. al 5 dic. 2012 su iniziativa di quella
Conferenza Episcopale, "ha coinvolto comunità, associazioni
cristiane e musulmane, istituzioni, scuole e università in
iniziative, conferenze e marce di pace in diverse località di
Mindanao".
Non fu, né sarà l'unica volta. Da quando Papa Wojtyla indisse il famoso incontro d'Assisi, al quale parteciparono i rappresentanti di tutte le religioni storicamente costituite, si è diffuso nell'intero mondo il cosiddetto "spirito d'Assisi": una sorta di "embrassons-nous" che non guarda in faccia nessuno di quanti vengono stretti fra le braccia e non chiede a nessuno quali siano le sue credenziali religiose. Incontri come quello di Assisi si sono poi ripetuti nella stessa Assisi e altrove, in Italia e all'estero; e tuttora continuano, a riprova e testimonianza che in quello "spirito" tutte le religioni, dalle più primitive alle più spiritualmente evolute e significative, ritrovano l'elemento primordiale che le accomuna ed in esso celebrano la propria unità, per vivere, come gli sposi delle favole, "d'amore e d'accordo tutti i giorni della loro vita". Intendiamoci, che si viva d'amore e d'accordo non è un male; o meglio, non lo è fino a che la pretesa, e perfino il solo desiderio dell'amore e dell'accordo non si concretino in una promozione dell'assurdo. Tale, come ognuno può ben capire, sarebbe mettere il sì ed il no sullo stesso piano, non nel senso di accostare l'uno all'altro, ma in quello di unificarli entrambi. Sì e no sono irriducibili; e, per una loro intrinseca ragione, irriducibili sono pure le varie religioni. Lo sono, infatti, non tanto nella motivazione da cui ognuna prende le mosse, quanto nell'identità in cui ognuna riconosce se stessa e si differenzia dalle altre. È nell'ordine delle cose che identità e differenze specifiche perdano la loro consistenza, almeno nell'estimazione comune, quando, fosse pure per motivi santissimi, le identità non vengano salvaguardate e le differenze vengano invece trascurate. È quanto avviene in ogni ammucchiata, ma specialmente in quella che, forse con l'illusione di rendere più credibile un'affermazione o una negazione, vede gomito a gomito confessioni religiose eterogenee se non anche contrastanti e arroccate nell'irriducibilità del proprio Credo. La frequenza di iniziative a larga partecipazione di rappresentanze ufficiali delle più varie religioni lo dimostra. In questi casi le religioni stesse perdono il contatto con la propria identità, ma perdono pure gran parte della loro credibilità. Si rivelano infatti insicure, prive di sufficienti giustificazioni ed incapaci di incanalare l'interesse dei propri adepti nell'ottica autenticamente religiosa: quella che ci trascende e ci ricorda il nostro traguardo finale. Non era senza motivo che la Chiesa preconciliare proibisse in modo assoluto la "partecipazione ai riti sacri" delle altre confessioni cristiane e delle altre religioni. Una tale partecipazione, infatti, se per un verso dava scandalo, per un altro costituiva o avrebbe potuto costituire un pericolo per la fede dell'eventuale partecipante. Oggi, in ossequio alla sbandierata presunzione del cristianesimo finalmente adulto e pertanto al di là e al di sopra dello "scandalo dei pusilli", è sempre più frequente che cattolici e protestanti, musulmani ed ebrei, liberi pensatori e perfino atei dichiarati si riuniscano insieme per una "veglia di preghiere", ovviamente in funzione della pace. O di qualche "pacifica" iniziativa a favore della pace. Un cattolico ha il sacrosanto diritto di chiedersi che cattolico sia chi prende parte ad ammucchiate di tal genere, con quale diritto, con quale autorizzazione, con quale consapevolezza, con quale preparazione; ma ha pure il sacrosanto diritto di indignarsi quando, per riprendere un'immagine biblica, i cani che dovrebbero latrare non latrano e, peggio ancora, quando si fanno sentire solo per tacitare la coscienza del dovere di stato, invitando a chiudere ora un occhio ora l'uno e l'altro. In realtà, si vive oggi una situazione nella quale la chiusura non di un occhio solo, ma di ambedue, è diventata quasi abituale. E ciò con la pretesa di rendere gloria a Dio e provvedere alla diffusione del suo regno. Sembra, infatti, che ormai questo regno si configuri soltanto nell'ammucchiata. La preoccupazione principale, che fin a qualche tempo fa era quella della indiscussa fedeltà alla Parola di Dio e all'organo incaricato di interpretarla e diffonderla, oggi è diventata quella non solo di non urtare le altrui suscettibilità, ma addirittura di prenderne in prestito le risposte ai problemi che urgono, indipendentemente e qualche volta contro la sensibilità cattolica dei medesimi. Si spiega così la ricerca spasmodica e un po' grottesca dell'intesa ad ogni costo: l'approvazione della dottrina riguardante la giustificazione del peccatore, sulla quale Lutero aveva appoggiato l'edificio della Riforma; la liceità e validità della Messa senza le parole della transustanziazione; l'elaborazione di una ecclesiologia sempre più dimentica della istituzionalità della Chiesa e della piena legittimità di cui gode in essa l'ufficio petrino; una liturgia sempre più democratica che incentra nell'uomo ciò che trova il suo centro solamente in Dio. C'era ieri un detto, così formulato: Religio depopulata. Si metteva così l'accento sul progressivo declino della pratica religiosa. Oggi depopulata è la Chiesa, non perché il tempio cessi d'esser frequentato, ma perché si va progressivamente affievolendo la ragione della sua frequenza. Quando il tempio diventa il teatro di balli perfino lascivi o di musiche che non solo non agevolano né accompagnano la preghiera, ma la impediscono, la religio è davvero depopulata. E' allo sbando. O quanto meno sull'orlo di esso. Alipio
de Monte
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dicembre 2012 |