Il velo della donna sposata
e il velo islamico

di Don Renaud de Sainte-Marie, FSSPX

Pubblicato sul sito francese della Fraternità: La Porte Latine





Sposalizio della Vergine Maria



In occasione della discussione del progetto di legge sul separatismo, svoltosi all’Assemblea Nazionale, un deputato della Francia non sottomessa (sig. Mélenchon) ha affermato che il velo delle donne sposate simboleggia la sottomissione della donna all’uomo; da questo punto di vista i nemici del velo portato dalle musulmane dovrebbero legiferare per interdire anche il velo delle spose.

Questa comparazione attira l’attenzione su un fatto che i profondi cambiamenti degli ultimi decenni potrebbero far dimenticare, almeno ai 65enni: se il velo è forse la manifestazione quotidiana più visibile della diffusione della religione musulmana in Francia, è anche vero che una donna col capo coperto è un attitudine non estranea alla nostra civiltà e alla nostra cultura.

Ecco quindi che si rivelano utili a tutti le seguenti precisazioni, per poter avere una visione chiara in materia, indipendentemente dalla svolta definitiva che prenderà questa questione politica.

Il velo e il pudore

Le donne devono indossare il velo? In seno ai giuristi musulmani è in atto una disputa per capire fino a che punto si estende quest’obbligo, tenuto conto della controversia sull’autenticità di certi testi della tradizione musulmana che ingiungono a coprire il viso e le mani.
Indipendentemente da questa disputa interna all’Islam resta il fatto che bisogna comprendere se coprire i capelli delle donne sia un orrore insopportabile, il segno di una barbarie ormai superata.





Una questione di pudore

In effetti, sembra che la prima ragione data dalla dottrina musulmana per l’uso del velo per le donne sia il pudore, sulla base della Sunna (la tradizione) e del Corano.
Indubbiamente, per molti dei nostri contemporanei parlare di decenza, di modestia o di castità equivale a sorridere sarcasticamente e a denti stretti. Il pudore viene considerato come un elemento del retrivo ordine morale messo al bando dal movimento di liberazione degli anni ’60.
Se noi rifiutiamo l’Islam in quanto dottrina e possiamo deplorare l’eccesso del niqab – il velo nero che somiglia ad un sudario – non possiamo condannare per principio il fatto che una data società imponga come costume di decenza comune il velo sulla testa delle donne. Diversamente dovremmo fare altrettanto con altre regole di decenza che vietano l’uso limitato di vestiti, in particolare la Domenica quando si entra in una chiesa per onorare il precetto domenicale, sia per le donne sia per gli uomini.

Anche a voler considerare una parte di calcolo politico nelle dichiarazioni del deputato Mélenchon, egli ha ricordato utilmente una verità relativa ai vecchi costumi del nostro paese.
«Da parte mia, non avrei mai osato dire a mia nonna di non mettere il velo sulla testa, perché alla sua epoca era un uso comune e una donna a capo scoperto non era ben vista! Evidentemente oggi la cosa può far sorridere, ma io non avrei avuto la sfrontatezza di dirle “togliti il velo dalla testa per essere più libera” o che so io».

Nello stesso intervento, egli ha fatto notare che San Paolo ha affermato che la donna doveva velarsi per indicare la sua sottomissione all’uomo. Che dire?


San Paolo e l’uso del velo


Un ordine liturgico

Un testo di San Paolo afferma che le donne, quando profetizzano – cioè quando pregano in pubblico -, devono avere la testa coperta. Il passo di San Paolo è di difficile comprensione, ma l’interpretazione unanime che si è data è che le donne devono avere il capo coperto al momento degli uffici liturgici (1). Il velo è quindi un indumento liturgico proprio delle donne, che ricorda l’ordine della creazione. Dio ha creato l’uomo e poi la donna e se in un certo senso non c’è né uomo né donna in Cristo (Galati 3, 28), nella liturgia deve esprimersi ugualmente  lo stesso ordine dei sessi che ricorda una forma di gerarchia naturale: Dio, Cristo (simboleggiato dal sacerdote), l’uomo, la donna.
Ricordiamo tra l’altro che nel culto del Tempio queste tre categorie di persone erano separate e stavano su tre posti diversi: il sacerdote era il più vicino al Santuario di Dio e le donne erano le più lontane. L’organizzazione liturgica è cambiata, ma il velo simboleggia lo stesso ordine.

Nel luogo di culto la decenza è necessaria

Non vi è dubbio che vi è anche una ragione di decenza particolarmente appropriata al luogo liturgico, dove nulla deve fare concorrenza alla gloria di Dio (e i capelli della donna sono un attributo della di lei gloria terrena alla quale molti uomini sono sensibili).
San Paolo dà come spiegazione della sua ingiunzione, gli angeli: «Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli» (I Cor. 11, 10).
In effetti anche gli angeli partecipano al culto eucaristico, seppure invisibilmente, e hanno il diritto di aspettarsi da noi un’attitudine religiosa che corrisponda a quello che essi sono. E’ questa una delle interpretazioni data da San Tommaso nel suo Commento a questo passo dell’epistola.

Mettere il velo fuori dalla chiesa?

Ma vi è una ingiunzione per le donne di coprirsi il capo anche fuori dalla Chiesa? In effetti, ciò che ricordava il deputato Mélechon a proposito di sua nonna sta ad indicare un eredità dei tempi cristiani. Di fatto, sia San Giovanni Crisostomo (2) sia Sant’Agostino (3) ritengono che le donne devono coprirsi i capelli in ogni occasione pubblica. San Tommaso pensa che non si tratta di una necessità assoluta, così, secondo lui,  è accettabile che una donna esca senza coprirsi i capelli se quello è il costume del suo paese. Egli ritiene tuttavia che una tale pratica comune non sia da promuovere (non sit laudabilis) (4). Questo parere del Dottore Comune dimostra dove sta la preferenza della Chiesa, la quale tuttavia non ne fa un dovere religioso imperativo.

Quanto al velo della donna sposata è un simbolo di inferiorità gerarchica della donna rispetto all’uomo?

Il velo della donna sposata

Cominciamo con un po’ di etimologia. In latino, sposarsi si dice nubere, velare. Questo ha a che fare col rito del matrimonio nella Roma antica:
«Con questo velo [rosso] molto lungo che si portava come la palla, la giovane sposata, in un dato momento, si copriva la testa, in latino nubebat, e questo spiega come nubere abbia finito per significare sposarsi, e nuptiae col designare il matrimonio» (5).




Una donna sposata velata nella Grecia antica (immagine Wikipédia)


Questo rito del velo da indossare da parte della donna sposata non è stato ripreso stricto sensu dalla Chiesa latina; esso è stato praticato più ampiamente nell’antichità dai Greci, dai semiti (Cfr. il matrimonio di Giacobbe nella Genesi) e anche dai cinesi. Allora, lo sposo non vedeva la sposa durante la cerimonia (6). La Chiesa lo ha accettato dal momento che si trattava di un costume, ma il velo per la sposa non fa parte dei riti previsti dalle leggi liturgiche: il rituale dei sacramenti non ne fa menzione.

Una vecchia usanza che da tempo è caduta in disuso

In Occidente, il velo rosso dei Romani è caduto in disuso, anche se per molti secoli i vestiti continuarono ad essere rossi in certe regioni. C’è da notare un dettaglio importante: le donne del Medio Evo, del Rinascimento e dell’epoca moderna non portavano il velo al momento del consenso matrimoniale. Possiamo affermarlo sulla base delle rappresentazioni dei matrimoni di queste epoche, che si trovano in diversi manoscritti e opere d’arte; e molto spesso questi dipinti e altre immagini rappresentano il matrimonio della Vergine con San Giuseppe.
Si noterà che Mélenchon si sbagliava nell’affermare che «Io vi sfido a trovare un solo dipinto, una sola immagine in cui si vede la Madre di Cristo senza un velo sulla testa».




Giotto - sposalizio della Vergine Maria




Nozze di Cana - La sposa è al centro, in abito rosso




In questa immagine più recente,
la Vergine appare vestita come una sposa contemporanea


Non bisogna tacere una cosa importante: Quando i due promessi sposi contraggono l’unione sono assolutamente uguali, e questo può spiegare perché la donna è senza velo.
Ricordiamo anche, ad ogni buon fine, che la donna nell’Islam può sposarsi solo con la presenza di un tutore. Questa legge, che è in vigore in Algeria (7), dimostra chiaramente, più del velo islamico, la distinzione tra l’Islam e il cattolicesimo sullo status della donna.
Per aiutare a comprendere il delicato equilibrio del matrimonio, che si basa su una parità e su una gerarchia, si può leggere con profitto La benediction nuptiale (8), in particolare il capitolo II.

Come spiegare la riapparizione del velo bianco per la sposa? La risposta non è facile.
Per quanto riguarda l’abito, il colore bianco si imporrà gradualmente nelle classi ricche del Consolato [9], e l’abito della regina Vittoria renderà popolare il lungo strascico. Prima della generalizzazione dell’abito bianco negli ultimi decenni, le donne delle classi inferiori si sposavano spesso in nero. Il velo potrebbe essere un desiderio di riferirsi ai riti biblici, ma c’è un’altra possibile spiegazione.





Un rito molto antico, oggi sparito, è quello dell’imposizione del velo, ne fa menzione Sant’Ambrogio (10). Durante la benedizione nuziale – cerimonia ben distinta dallo scambio dei consensi e dalla benedizione degli anelli – nella chiesa si stendeva sugli sposi un velo o poile o pallium. Lo si faceva in due modi: sia stendendo il velo sulle teste degli sposi, sia poggiandolo sui corpi, sulla testa della sposa e sulle spalle dello sposo. l significato di questo rito non è facile, ma è proprio lì che si trova il significato primario della parola nozze, nuptia, l’imposizione del velo.
Questo rito riguardava entrambi gli sposi e simboleggiava la benedizione di Dio che scendeva sulla nuova famiglia, il velo portato dalla sposa in chiesa non aveva un rapporto specifico col matrimonio.
Se il rito del pallium è sparito, molto felicemente la benedizione resta integra nel rito tradizionale, e noi invitiamo a leggere il testo e a servirsi dei migliori commenti.


NOTE

1 - In Francia, nel V e nel VI secolo, alcuni concilii locali (tra cui quello di Autun del 578) avevano ordinato alle donne di portate il velamen dominicale, un velo bianco, per ricevere la santa Eucarestia. Cfr. John McClintock & James Strong, Cyclopaedia of Biblical, Theological and Ecclesiastical Litterature, VOL X, p. 739.
2 - 26esima omelia silla prima epistola ai Corinti.
3 - Lettera 245.
4 - Summa Theologiae, II II Q. 169. Art 2.
5 - Émile Chénon, « Recherches historiques sur quelques rites nuptiaux» (ricerche storiche su alcuni riti nuziali) in Nouvelle revue historique de droit français et étranger , Vol. 36 (1912), pp. 573-660, 1912, p. 643.
6 - Così si può leggere che questo rito era osservato in Cina all’inizio del XX secolo, cosa che talvolta dava adito a certi equivoci. Cfr. Trinh Dinh Tieu, Les différents cas d’erreur sur la personne, Imprimerie Soubiron, Toulouse, p. 28.
7 -E’ questo fatto che ha voluto denunciare nel 2004 la cineasta Kabyle Djamila Amzal col suo cortometraggio, Le tuteur de Madame le ministre.
8 - Don Jean-Paul André, La bénédiction nuptiale, Clovis, 2020.
9 - Sotto la direzione di Denis Bruna e Chloé Demey, Histoire des modes et du vêtement du Moyen-Âge au XXI° siècle (Storia delle mode e dell’abbigliamento dal Medio Evo al XXI secolo), ed. Textuel, Paris, 2018. p. 279.
10 - Lettera XIX, n° 7.




febbraio 2021
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