TRE COSE DA CHIARIRE

di L. P.





RESURREZIONE SÍ O . . . FORSE

Ricordati dei nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della resurrezione”, così recita il celebrante nel “memento defunctorum” poco dopo la Consacrazione. Apparentemente tutto sembra ovvio, canonico, ortodosso, solo che, soffermandoci un poco ad analizzare il periodo nella categoria teologica, si nota una sottile ma reale diluizione del dogma della resurrezione. Perché?

Si consideri la virtù teologale della Speranza. Ora, senza dover ricorrere ai grandi teologi ma avvalendoci del Catechismo della Chiesa Cattolica – Ed. LEV 2003, pag. 502 – sappiamo che tale virtù si caratterizza per essere espressione di un forte desiderio, di un’aspirazione alla felicità “che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al regno dei cieli; le salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna”.

Sperare è, quindi, attendere un qualcosa che potrebbe, anche non arrivare o verificarsi. La speranza della guarigione, ad esempio, è l’attesa di questa sentita come desiderio, come possibile ma non certa.
Dante, nella sua Commedia, interrogato da San Giacomo circa l’essenza della Speranza, così risponde: “Spene – diss’io – è un attender certo / della gloria futura, il qual produce / grazia divina e precedente merto” (Par. XXV, 67-69) laddove “certo” sta per “risoluto, energico, saldo, tenace”, termini aggettanti sul territorio semantico della consistenza, della tensione e non su quello della certezza del risultato. La Speranza, cioè, è l’attesa fiduciosa, più o meno giustificata, di un evento gradito o favorevole.

Sperare, quindi, nella resurrezione è dubitare che questa si verifichi.  Ora, dato che la resurrezione è dogma di fede (Mt. 25, 31-45), suona assai strano che si preghi il Signore perché si ricordi dei suoi fedeli che si sono addormentati nella speranza della resurrezione dal momento che essa è avvenimento futuro certissimo, tanto per i giusti che per i malvagî. Pertanto è tassativo rettificare con “. . . nella certezza della resurrezione” o mantenere la formula con la seguente integrazione: “. . . nella speranza della resurrezione in/con Cristo”. 

Ecco, allora, un’altra ambiguità che indebolisce la dottrina cattolica, inserita nel Novus Ordo Missae dalla Commissione, delegata alla Riforma Liturgica di Paolo VI, presieduta dal massone Mons. Annibale Bugnini, con la “consulenza” di sei “esperti” protestanti, luterani e anglicani.






PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI

Nella settimana 18/25 di gennaio 2021 si è concluso, nella Basilica romana di SAN PAOLO FUORI LE MURA, l’ennesimo incontro interconfessionale che, da anni viene organizzato con lo scopo di conseguire l’unità dei cristiani.
Ora, se è vero che tale incontro venne proposto nel lontano 1908 da padre Paul Wattson, non si vede a che pro’ tutto questo movimento se, a distanza di 113 anni, non si profila ancora il benché minimo esito che possa dirsi indizio positivo. Conclusi, infatti, i rituali con la preghiera finale, con gli abbraccî fraterni e con l’auspicio a rivedersi per l’anno successivo, ogni delegazione – cattolica, ortodossa, luterana, anglicana, evangelica, presbiteriana, valdese ecc. – se ne torna a casa propria restando nel proprio credo, come prima e più di prima.

Sarebbe, innanzi tutto, opportuno chiarire in quale di queste confessioni dovrebbe realizzarsi la tanto sospirata unità dal momento che tutte – dal Concilio Vaticano II – godono di pari importanza e dignità e, poi, egualmente opportuna sarebbe l’accensione di un dibattito franco, serrato che ponesse in evidenza gli aspetti per i quali ciascuna esige l’unità nel proprio sistema.
Ma si preferisce illudersi, consapevolmente, e perciò, ipocritamente, che tale andirivieni sia, per il fatto di incontrarsi, l’essenza di quella che l’emerito Benedetto XVI ha definito “Unità nella diversità”, trasformando la volontà di Cristo – “un solo gregge sotto un solo pastore” (Gv. 10, 16) – in un ossimoro. Complimenti, Santità!

Gesù non ha parlato di “cammini paralleli”, di “incontri fraterni”, di “dialoghi ad oltranza” – il gergo della Gerarchìa ebbra di dottrina vaticansecondista – non ha suggerito di organizzare festival interconfessionali, del tipo “Assisi 1986 – 2011”, o “Cattedre dei non credenti”, o “Cortili dei Gentili” – eventi scenografici e di apparato - o di accogliere nella sua Chiesa, come trionfatori, i suoi nemici – atei, abortisti, scismatici, sodomiti, idoli pagani – ma ha comandato di andare per il mondo, annunciando il suo Vangelo, battezzando nel nome della Santissima Trinità e conferendo ai suoi pastori il potere di rimettere i peccati e chiarendo che i tralci recisi dalla vite che non portano frutto saranno gettati nel fuoco (Gv. 15, 6).
Altro che baci e abbraccî.

La Chiesa Cattolica riprenda il suo ruolo di guida unica e di unica casa dei Cristiani dove si possa realizzare la vera unità, confidando nella Parola di Cristo che ha stabilito la sua presenza in essa, e la sua protezione fino alla consumazione dei secoli (Mt. 28, 20).
La Chiesa di Bergoglio, invitata alla libera uscita nel mondo, si è talmente imbevuta di questa libertà da perdere di vista l’orientamento e gli scopi della sua divina missione.



 

FAMIGLIA: IL SOGNO DI DIO

L’emittente della CEI – tv2000 – trasmette, tutte le sere alle ore 18,00 in diretta da Lourdes, e precisamente, dalla “grotta delle apparizioni”, la recita del Santo Rosario alla quale noi partecipiamo da anni. Iniziativa lodevole seguìta da migliaia di famiglie.

Orbene, durante la scansione dei Misteri Gaudiosi, giunti al quarto. “La presentazione di Gesù Bambino al Tempio”, l‘officiante, nel breve preambolo a guisa di commento, più volte ha definito la famiglia, di cui Giuseppe, Maria e Gesù rappresentano il modello, come “il sogno di Dio”.

L’immagine del Signore che “sogna” qualcosa – in questo caso la famiglia – ci è parsa non soltanto fuori luogo ma addirittura ridicola e irriverente per via della categorìa cultural-antropologica in cui, dal Concilio Vaticano II, viene spiegato e collocato ogni aspetto della divinità, ridotto, cioè, a mera espressione umana. Pertanto, cosa c’è di più tenero, di più confortante, di più bello di un Dio che “ha un sogno” nel cassetto, come una persona qualsiasi, quasi sconsolato di non riuscire a realizzarlo?
Eh sì, perché il sogno – e non scomoderemo Freud e la sua scuola per definirlo - in quanto tale, si configura come un desiderio difficile, o peggio, impossibile da tradurre in realtà.

Ma non è il Signore Iddio, il “Pantokrator”, l’onnipotente Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili, Colui al quale “nulla è impossibile”? (Lc. 1,37). Sembra di no, possibili essendo per Lui soltanto i sogni.





febbraio 2021
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