Perché un mondo “maligno”?

«Mundus totus in maligno postitus est»

di Francesco Lamendola

Pubblicato sul sito Accademia nuova Italia







Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno: queste parole severe, addirittura tremende, non sono il parto della mente esagitata di qualche monaco dell’anno Mille in attesa della fine del mondo, o di qualche rarissimo cattolico dei nostri giorni, fondamentalista e fanatico, ma sono scritte, nero su bianco, nel Nuovo Testamento (1 Gv., 5,19), vale a dire che sono, né più, né meno, Parola di Dio.

Questa espressione è stata ripresa, nel XX secolo, da almeno due pontefici, peraltro assai diversi fra loro: san Pio X e san Giovanni XXIII.

Quest’ultimo citò l’espressione della Lettera di san Giovanni nel corso dell’udienza generale del 28 ottobre 1959, precisamente nel sesto paragrafo del suo intervento, allorché disse:
La preghiera divina insegnataci da Gesù sul monte, e di cui la nostra vita vuole essere elevazione quotidiana, indirizzo ed insegnamento, si piega sopra un estremo grido di abbandono a Dio onnipotente, perché ci salvi dal “maligno”. “Libera nos a malo” (Mt 6,13).
Purtroppo “mundus totus in maligno positus est” (Gv 5,19).
La natura umana è soggetta alla tentazione, e nell’arrendersi ad essa sta la minaccia ed il pericolo più grave per la libertà e la dignità dell’uomo”. Nell’essere preservato da tanta sventura, noi possiamo contare sulla parte soccorritrice e misericordiosa di Dio; ma dobbiamo cooperare con volontà decisa a guardarci dal male e dal suo suggeritore ed ispiratore…

San Pio X, da parte sua, aveva usato questa espressione nell’enciclica Communium rerum del 21 aprile 1909, scritta in occasione dell’ottavo centenario della morte di S. Anselmo d’Aosta – del quale fa l’elogio -, nella sua parte iniziale:
Errano dunque gravemente coloro che si perdono di fede nella tempesta, perché vorrebbero per sé e per la Chiesa uno stato permanente di tranquillità, di prosperità universale, di ricognizione pratica e unanime del sacro suo potere senza contrasti. E molto peggio e turpemente errano quelli che s’illudono di guadagnarsi questa pace effimera col dissimulare i diritti e gli interessi della Chiesa,  col sacrificarli ad interessi privati, con l’attenuarli ingiustamente, col piaggiare il mondo che tutto sta sottoposto al maligno (“totus in maligno positus est”), sotto specie di riconciliarsi i fautori della novità e ravvicinarli alla Chiesa…

A questo punto, vorremmo capire.

Vorremmo capire come mai una espressione neotestamentaria, che è parsa giusta e opportuna a due pontefici del XX secolo, l’uno considerato “conservatore”, l’altro “progressista”, sia praticamente sparita dal vocabolario dei teologi, dei cardinali, dei vescovi e dei sacerdoti dei nostri giorni, per non parlare degli insegnanti di religione e dei catechisti.
Vorremmo capire come sia possibile che un concetto così importante, anzi, così essenziale, sia potuto uscire di scena in maniera talmente silenziosa, che nessuno se n’è accorto, mentre una nuova generazione di teologi, cardiali, sacerdoti, eccetera, si sono messi a scrivere e predicare un concetto diverso, addirittura opposto: che non c’è niente di più bello e di più lieto, per un cristiano, che trovare una modalità di serena convivenza con questo mondo. Il quale, evidentemente, ha smesso di essere sotto il potere del maligno, perché, diversamente, non si potrebbe capire come una tale convivenza, e, sovente, una tale collaborazione, siano possibili.

Oppure quel concetto è stato espunto, di fatto, dalla dottrina cattolica, precisamene perché rappresentava un ostacolo alla felice collaborazione con il mondo, sicché le due cose sono complementari, e frutto l’una dell’atra?
È per questo, forse, che i cattolici odierni, e specialmente il Magistero, specialmente la gerarchia ecclesiastica, hanno praticamente smesso di parlare di tutte quelle cose – il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, la manipolazione genetica, le unioni di fatto, per non dire degli sconci matrimoni omosessuali, le quali piacciono al mondo così tanto, da essere state sancite per legge, e inoltre salvaguardate da apposite leggi, o progetti di legge, contro coloro i quali facciano “discriminazioni “ e incitino “all’odio di genere”, solo perché si permettono di esprimere qualche dubbio sulla liceità, e, soprattutto, sulla compatibilità con l’essere cristiani, di simili pratiche e di simili istituti?

La questione del rapporto del cristiano con il “mondo”, antica quanto il cristianesimo stesso, è di duplice natura: teologica e storica.

Dal punto di vista teologico, il mondo è sotto il potere di satana per via del Peccato originale e per la conseguente, irreparabile degradazione del creato, che ha fatto emergere il lato tenebroso della natura umana, la quale, originariamente, era stata creata perfetta.
A causa delle conseguenze del Peccato originale, tutti gli uomini - tutti, tranne Maria Vergine – inclinano al male; e, se non fosse per il Battesimo, che li ristabilisce nel rapporto filiale con Dio, e per gli altri Sacramenti, che li rendono partecipi della stessa vita divina, essi, con le loro forze, non sarebbero capaci di risollevarsi da tale condizione, né di raggiungere la salvezza, perché, pur vedendo, in linea di massima, la via del bene quanto basta per poterla seguire e per fuggire l’altra, la via del male, nondimeno non sono capaci né d’imboccarla, né di perseverare in essa.
Ecco allora che il cristiano è, per forza di cose, uno straniero, un pellegrino sulle vie del mondo, che percorre come fosse in esilio, pieno di nostalgia per la sua patria lontana, il Cielo, cui è destinato a fare ritorno.

Ricordiamo le parole della preghiera Salve, Regina, che è antichissima, e che pare sia stata composta dal monaco Ermanno di Reichenau, noto anche come Ermanno il Contratto (vissuto fra il 1013 e il 1054): Salve, Regina, Mater misericordiae, / vita, dulcedo, et spes nostra, salve. / Ad te clamamus, exukles filii Evae, / ad te suspiramus, gemente set flentes / in hac lacrimarum valle. / Eia ergo, adviocata nostra, illos tuos / misericordes oculos ad nos converte. / Et Jesum, benedictum fructum ventris tui, / nobis, post hoc exilium, ostende. / O clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria.

Questo è veramente il canto dell’esule, che aspira a tornare a casa: A te sospiriamo, gementi e piangenti, in questa valle di lacrime (…). E mostraci dopo questo esilio Gesù… Il senso è chiaro: il cristiano, nel mondo, non è affatto di casa; questa vita, non è la sua vera vita; il mondo è una valle di lacrime, è un esilio, e chi vive in simili luoghi non desidera altro che uscirne.
 Fra parentesi, quelli erano uomini coerenti, che sentivano, nella loro vita privata, esattamente quel che esprimevano in parole: non vi era, in loro, lo sdoppiamento tipico dei moderni, compresi i cristiani moderni.
Bertoldo di Reichenau, discepolo e intimo amico di Ermanno, che assistette il suo maestro nella malattia finale, così descrive, nei suoi Annales, il senso dell’ultimo colloquio avuto con lui (e si pensi che Ermanno morì, di una pleurite, a soli quarantun anni: quanti uomini di quella età, oggi, si sentirebbero traditi dal destino, e quanto amaramente si lagnerebbero i loro amici e parenti, per il fatto che la morte ha strappato anzitempo il loro caro alla vita): Tutto il mondo presente e tutto ciò che ad esso appartiene, questa stessa vita mortale era divenuta meschina e tediosa e, d’altra parte, il mondo futuro, che non avrà termine, e quella vita eterna, sono divenuti indicibilmente desiderabili e cari, così che io considero tutte queste cose passeggere non meno dell’impalpabile calugine del cardo.

Dal punto di vista storico, la questione è, se è possibile, ancora più chiara.
La civiltà moderna nasce da un progetto ben preciso di ribellione contro Dio, contro il Vangelo e contro la Chiesa. Da quando essa si è stabilita, l’attacco si è delineato con forza sempre maggiore e con sempre maggior precisione e coerenza: uno dopo l’altro, tutti i capisaldi, morali e materiali, della vita cristiana, sono stati presi di mira, bersagliati, sporcati, rovinati, spazzati via; i cristiani sono stati perseguitati, ora con la violenza esplicita, ora con forme più sottili di pressione, intimidazione e ricatto, e sono stati progressivamente estromessi ed esclusi da tutti gli ambiti che contano per lo sviluppo della società: l’educazione, la cultura, la politica, eccetera.

La modernità, quindi, non è solo a-cristiana, ma è anticristiana, per vocazione e per essenza; tutti gli esponenti della cultura moderna, in quanto essa ha di caratteristico, sono stati nemici, più o meno dichiarato, di Gesù Cristo; e tutti hanno fatto ciò che stava in loro potere per sradicare il Vangelo dalla vita dei popoli e delle società, per sostituirlo con nuove tavole di valori, con nuovi modi di pensare e di sentire e con nuovi, e diametralmente opposti, stili di vita, proclamando la libertà, dove il cristiano vede la licenza; il diritto, dove egli vede l’arbitrio; la giustizia, dove regnano l’ingiustizia: insomma, capovolgendo, uno ad uno, tutti i pilastri dell’ordine cristiano e della pratica cristiana dell’esistenza, sia individuale che associata.
Pertanto, risulta semplicemente impossibile, anche volendolo, essere nel medesimo tempo autentici cristiani e cittadini della modernità: le due cose si escludono a vicenda, perché sono assolutamente e radicalmente incompatibili.
E chi non ha capito questo, o chi non vuol sentire questo discorso, vuol dire che non ha studiato bene la storia, o che l’ha studiata con il paraocchi ideologico laicista e progressista; inoltre, vuol dire che non ha capito che cosa significa essere moderni, o che cosa vuol dire essere cristiani. Se, poi, lo ha compreso, e ciò nonostante predica che non c’è niente di più buono e giusto del fatto che il cristiano si senta di casa in questo mondo, e specialmente nella civiltà moderna, ciò significa che in lui vi è qualcosa di peggio dell’ignoranza e dell’ottusità: significa che anch’egli aderisce a un vastissimo progetto, subdolo e deliberato, paziente e intelligente, ma diabolico, per svuotare dall’interno il significato dell’essere cristiano, e  per distruggere la Chiesa e, con essa, la custodia fedele e la trasmissione della Verità di Cristo.

E che non si tratti di ipotesi e supposizioni a vanvera, ma di una realtà concreta, lo dimostra il fatto che, nella modernità, l’attacco contro la Chiesa e contro il Vangelo si  è andato delineando, sempre di più, come un attacco che muove dall’interno: tanto è vero che i peggiori nemici di Cristo, oggi, non sono quelli che si dicono tali e che, dal di fuori, si adoperano, anche con mezzi estremamente violenti, per distruggere il cristianesimo, ma quelli che, vestiti da teologi, da cardinali, da vescovi e da sacerdoti, vanno predicando una dottrina che non è cattolica, e introducendo delle novità liturgiche e pastorali che non sono cattoliche, ma lo fanno - da serpenti quali sono, e da lupi travestiti da agnelli - non già dichiarando apertamente le loro intenzioni, bensì dando ad intendere che, nella sostanza, non è cambiato proprio nulla, che la dottrina cattolica è sempre la stessa e che anche la Chiesa è la Chiesa di sempre, mentre perfino un cieco vedrebbe che non è affatto così.

Il problema fondamentale, per i cattolici progressisti e neomodernisti, è che riconoscere che la condizione umana corrisponde ad un esilio in terra straniera, in una “valle di lacrime”, sembra loro l’equivalente di una intollerabile umiliazione: infatti, la caratteristica essenziale dello spirito progressista e modernista è, appunto, l’orgoglio
(a proposito, qualcuno ha mai visto papa Bergoglio inginocchiarsi davanti al Santissimo? Davanti ai poveri, per lavar loro i piedi il Venerdì di Pasqua, sì, specie se sono stranieri e meglio ancora se sono di religione islamica, il tutto sotto l’occhio compiaciuto delle telecamere di mezzo mondo; ma davanti al Santissimo, cioè alla Presenza Reale di Gesù Cristo nel Pane eucaristico, no).

In secondo luogo, sembra ad essi che una tale ammissione sarebbe percepita, anche all’esterno - ed essi tengono moltissimo al giudizio del mondo: specialmente al giudizio dei non cattolici e degli anticattolici, beninteso purché sia positivo - come una forma di pessimismo: e pessimismo, nel linguaggio della modernità, fondata sul mito delle magnifiche sorti e progressive, è, di per sé stessa, una parolaccia.
L’uomo moderno ha eretto l’ottimismo al rango di filosofia di vita pressoché obbligatoria; logico: dal momento che egli adora non più Dio, ma se stesso, ed esalta fino alle stelle le sue conquiste materiali, scientifiche e tecnologiche, non potrebbe fare diversamente.

E poco importa se un numero crescente di persone, nella realtà concreta della loro esistenza, sono dominate da una tetraggine, da un taedium vitae, da una mancanza di senso e da una sotterranea o manifesta disperazione, che le induce a stili di vita masochistici, a comportamenti autolesionistici, fino al suicidio: la loro filosofia “ufficiale” deve essere, per forza di cose, quella della piena fiducia in se stesso, e dunque l’ottimismo. Pertanto, egli accusa il cristianesimo di essere una filosofia dell’esistenza negativa e pessimistica, che sottrae energie vitali e sminuisce nell’uomo il senso del proprio valore. Di questa vecchia accusa, quel che c’è di vero è questo: la visione cristiana non è pessimista in assoluto, né lo potrebbe, essendo fondata sulla fede nel Risorto e sulla speranza nella resurrezione; ma lo è in senso relativo, perché sa quanto sia fragile l’uomo e quanto sia destinato al fallimento, se pretende di basarsi unicamente su se stesso.

Tutto ciò è stato mirabilmente espresso da Gesù (Gv. 15, 5): Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, quegli produce molto frutto; perché senza di me non potete fare niente.




febbraio 2021
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI