Il nuovo Messale

di Don Francesco Cupello


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Ho letto la lettera di Aldo Maria Valli sul nuovo Messale. La condivido in pieno, anche perché vi ho trovato quasi tutte le mie osservazioni, che ho espresse in una lettera scritta nel mese di dicembre u. s. al mensile per il Clero Vita Pastorale, ma che non è stata pubblicata. Eccola:


Carissimo Direttore,
Ho letto tra le lettere pubblicate sul n. 11 di dic. 2020 quelle dei sacerdoti Don Emanuele Candido e di Don  Giuseppe Tortora, i quali esprimono alcune riserve sul nuovo Messale, riguardo soprattutto alla grafica, che non ha assolutamente tenuto conto di quanti per difetti congeniti della vista o per suo calo dovuto all’età [e sappiamo che l’età media del clero è molto alta] si trovano in difficoltà nella lettura. Condivido in pieno i loro rilievi: «Dopo tanti anni di gestazione – scrive D. Candido – ci si sarebbe aspettato qualcosa di meglio».
Ovvio. Mi vien da dire, dopo i presunti tanti sforzi profusi per far vedere la luce al nuovo Messale: «Parturiunt montes ridiculum mus».
Il nuovo Messale mi sembra fatto chiaramente a tavolino da persone del tutto incompetenti, tra le quali o non c’era nessun sacerdote [sta a dimostrarlo la famosa Prima lettera di S. Paolo ap. ai Romani del nuovo Lezionario], o se c’era doveva essere senza alcuna esperienza pastorale.
La CEI è libera di pubblicare i testi liturgici con la grafica che ritiene più opportuna e di riservarsi tutti i diritti del copiright, ma perché imporre a tutti i gusti personali di qualcuno? Perché non lasciare libere le Case Editrici, pur con tutti i dovuti controlli e le riserve in fatto di diritti, di stampare in proprio i testi liturgici, valutando le varie esigenze di praticità e di estetica, tenendo anche conto dei vantaggi della concorrenza, che spingerebbe a una gara a chi lo farebbe più bello?
Faccio solo l’esempio delle illustrazioni: innanzitutto (ma è solo una mia opinione), mai si dovrebbero usare opere di artisti viventi, perché sarebbe come far servire all’altare da diacono un laico. E poi: con tutte le opere d’arte, anche di grandi autori, che abbiamo in Italia, si devono andare a scegliere opere, che suppongono relativi personalissimi gusti in materia? Faccio solo l’esempio del nuovo Lezionario: le illustrazioni sono indegne di un testo con la Parola di Dio, anzi alcune sono addirittura orribili e anche irriguardose.
Perché si devono imporre a tutti i gusti personali di chi ha privilegiato e di chi ha approvato tali improvvide scelte?
Di una Madonna del Beato Angelico o di Filippino Lippi o di qualunque altro sommo artista tra i tanti dei quali può vantarsi l’Italia, ognuno può dire che non gli piace, ma non potrà mai dire che è brutta.
Ci son pur degli obbiettivi criteri di bellezza. Perché dunque imporre a tutti i propri gusti personali? E’ semplicemente ingiusto e una prepotenza.
Ho visto vecchi Messali, che sono autentici capolavori, dalla grafica, alle illustrazioni, ai segnalibri, alla copertina. E per contro ho visto una rappresentazione di Cristo nel nuovo Lezionario, talmente orribile da sembrare la raffigurazione di un demonio.
       
Ci fu un periodo, non molto tempo fa, che sull’Osservatore Romano comparivano quasi quotidianamente degli autentici sgorbi sottotitolati in modo assurdo. Uno di questi era intitolato “Beatitudini” [cosa avrebbe dunque impedito di metterlo sul Lezionario per illustrare il Discorso della Montagna?], ma era un impiastro indecifrabile, come quelli che fanno i bambini (che non tutti sono Giotto) cui si mettono in mano per la prima volta dei tubetti di colore. Al che io scrissi al Giornale vaticano, dicendo: «Non sapevo di essere un pittore: l’ho appreso dall’Osservatore Romano».
       
Termino con una osservazione sulla traduzione del «non ci indurre in tentazione» del Padre Nostro con «non abbandonarci alla tentazione»: non ci vedo nessuna differenza; si cambiano i verbi, ma il concetto è lo stesso. Tanto valeva lasciar le cose come stavano. Infatti se Dio non può indurre in tentazione, non può nemmeno abbandonare alla tentazione. Abbandonare qualcuno a qualcosa è un concetto molto negativo: si dice infatti abbandonare qualcuno a se stesso, abbandonare qualcuno al suo destino, abbandonare qualcuno alle prepotenze di qualcun altro, abbandonare qualche senza casa ai rigori del freddo, abbandonare qualcuno al sole del deserto, ecc.
Il concetto è dunque lo stesso: non si possono attribuire a Dio le due azioni. Se si voleva proprio cambiare, sarebbe stato molto più preferibile e più significativo dire: «non abbandonarci nella tentazione», ove il “nella” sta per quando siamo nella. Avrei altro da rilevare, ma la mia lettera è già fin troppo lunga.

Ringrazio dell’attenzione

Don Francesco Cupello



 



marzo 2021
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