Epifania: Stella e Magi


di L. P.

Nelle omelie, nei servizi giornalistici e in tv si parla dei tre re Magi che re, probabilmente, non sono e, forse, nemmeno tre; della stella cometa che cometa non è; della grotta di Bethleem che grotta non è, ma una  casa.  E’ un accavallarsi di astronomi che parlano di orbite e stelle collassanti, di opinionisti sincretisti che discettano di tutto, di antropologhi che disquisiscono di  usi e costumi, di esoteristi/alchimisti che gorgogliano di archetipi, di ancestrale mitologia, di trasmutazione hermetica e di opus magnum, di teologi neoterici che timidamente vorrebbero accennare a un  fatto straordinario e soprannaturale ma, nutriti da tempo da una cultura conciliarcirciterista e  salottiera, “alla de Chardin”, o intimoriti dalla tracimante verbosa dialettica degli avversarii, non osano affermarlo e sostenerlo, ripiegando, pusillanimamente  candidi, con  il convenire su un fatto astrale naturale, seppur misterioso, e riscuotendo così l’apprezzamento degli altri e incassando una pacca sulle spalle. Tutt’al più – ammettono-  una opportuna e fortunata coincidenza.

Ah! ma sì: la cometa di Halley! Ma vediamo.
Il testo evangelico di Matteo (1, 2/11) parla dei Magi in modo generico: gr. “ idù màgoi apò anatolòn  pareghénonto eis Jerosòlyma” – lat.  “Ecce Magi ab oriente venerunt Hieroslymam” – “ecco, i Magi vennero dall’oriente a Gerusalemme”, i quali, sempre in Matteo, così parlano ad Erode:  gr. “éidomen gar autù ton astèra en te anatolé” – lat. “ Vidimus enim stellam ejus in Oriente” – “Abbiamo, infatti, visto la sua stella in Oriente”, fin quando arrivano alla mèta: gr. “kai elthòntes eis ten oikìan èidon ton paidìon metà Marìas tes metròs autù” – lat. “Et intrantes domum invenerunt puerum cum Maria matre ejus” -  “Entrati in casa videro il bambino con Maria, sua madre”.
I primi due riferimenti sono del tutto neutri in quanto non se ne evince la natura della stella – un astro – né il numero dei magi e né che essi siano re, mentre molto chiaramente Matteo ci dice che il luogo, dove i Magi trovarono Gesù, era una casa – oikìa/domus – ben diversa dal presepe – fatne/praesepe - di cui in Luca 2, 7. Evidentemente, la venuta di questi sapienti orientali deve collocarsi assai dopo la nascita di Gesù se già la famiglia di Giuseppe alloggia in una casa. E che fosse trascorso qualche tempo è dimostrato dall’ordine di Erode di uccidere i bambini del comprensorio sotto i due anni. Tanto per non sbagliare e prenderli tutti.
I vangeli apocrifi, e più dettagliatamente il “Vangelo dell’infanzia armeno” - ed. Einaudi 1969  a cura di M. Craveri – parlano di tre re, notificandone i nomi,  probabilmente in riferimento al numero dei doni  - tre: oro, incenso e mirra,  significanti la regalità, il sacerdozio e l’immortalità di Cristo. Ma questo non costituisce un problema dacché la vicenda non riveste i caratteri della straordinarietà, mentre il dibattito si accende maggiormente sulla stella in quanto, dal racconto di Matteo, essa si qualifica come un fatto senza dubbio straordinario, al di fuori di schemi astrologici, sapienziali o astronomici in senso specifico, una stella che precede il cammino dei Magi, che cammina con loro e che, poi, si “ferma sopra dove è il Bambino”.

Non tracceremo l’intera storia  delle interpretazioni che di essa sono state date, e che continuano a darsi soprattutto in termini astronomici, tale da trasformare quello che per noi è un evento soprannaturale in un sia pur eccezionale caso di coincidenze del tutto  naturali, ma soltanto pochi cenni.

La discussione ha ripreso vigore, in questi tempi, con la breve ricognizione che ne ha fatto il Pontefice Benedetto XVI nel suo ultimo libro “L’infanzia di Gesù” – ed. Rizzoli 2012 – ove, da pag. 113 a pag. 123, egli si occupa tanto dei Magi che della loro sosta presso Erode e della stella soprattutto.
Riferendosi a Keplero, e alla scoperta di una probabile supernova additata quale astro luminoso apparso ai Magi, Sua Santità passa alla più recente e appaltata teoria della “congiunzione” planetaria Giove/Saturno che la maggior parte della moderna esegesi la dà come dato definitivo e  sicuro. Si dice, insomma, che l’astro luminoso che tracciò la rotta, e che si “fermò” sulla casa, altro non era che la luce espressa dai due pianeti apparsi come congiunti. Egli, infatti, non se la sente di cestinare siffatta teoria soprattutto per quelle prove che la scienza sembra aver, vittoriosamente,  portato in tema.
In sintesi: fatto naturale o prodigio?
E, difatti, scrive a pag. 114 : “Sarebbe errato rifiutare a priori una simile domanda  con il rinviare al carattere teologico del racconto”. Come dire: se ne può discutere, ed anche accettare l’ipotesi della scienza se questa potesse verificare la validità Giove/Saturno.
E ne parlò già, nel 1956, lo scrittore Werner Keller nel suo “La Bibbia aveva ragione”- ed. ital. Garzanti 2 vv – dove, a pag. 309 (vol. II) al cap. “La stella di Betlemme”, passa in rassegna tutte le antiche effemeridi babilonesi, cinesi ed europee per dimostrare che fu una simile congiunzione, che si ripete ciclicamente, a tracciare la direzione del viaggio ai Magi non rifiutando, poi,  l’ipotesi della cometa di Halley.
Rettificando l’errore di calcolo calendaristico commesso dal monaco Dionigi il Piccolo (533),  Keller situa nel 7 a. C. quella congiunzione che coincise con la nascita di Gesù. Naturalmente, lo scrittore non si pone su una prospettiva di fede in quanto il suo scopo è quello di negare, mediante un razionalismo kantiano tinto di positivismo, la soprannaturalità di taluni eventi miracolosi a favore di una spiegazione naturale.
Il passaggio degli ebrei attraverso il mar Rosso, le cui acque Dio separa, ad esempio, non è un fatto soprannaturale e divino ma il risultato di un semplice e naturale prosciugamento di un certo facile guado marino dovuto a un locale forte vento. Affermando, perciò, che la stella dei Magi altro non fu che una delle tante congiunzioni planetarie Giove/Saturno, cade la rappresentazione dell’intervento divino ex nihilo. E per dare maggior forza alla sua teoria, l’autore, poggiando sul prestigio del Talmud, che vuole le pecore doversi portare in alpeggio ai primi di marzo e tornare in città ai primi di novembre, smentisce il racconto di Luca negando, così, l’esistenza di greggi e pastori sugli altipiani di Giudea ove, secondo i tabulati meteorologici del periodo dicembre/gennaio, la temperatura minima scende a – 2,8 gradi, condizione climatica che proibisce lo stazionamento delle greggi in quota.

Ma l’eccellente studio del prof. Michele Loconsole “Quando è nato Gesù?” – ed. San Paolo 2011 -  pagg. 78/85 – demolisce, però, questa conclusione proprio con l’ausilio del Talmud e  delle sue  norme relative alla purezza degli animali, cosa di cui Keller non ha parlato. Scrive, infatti, lo studioso cattolico che, secondo una precettistica mosaica, le pecore bianche – pure – possono, a sera, rientrare entro le mura della città; quelle pezzate – semipure - ritornano sostando, però, a ridosso esterno delle mura, sotto tettoie o negli stazzi;  quelle completamente nere o scure – impure - debbono restare sugli altipiani, anche d’inverno.
Semplice e chiaro: il Talmud stesso certifica ed autentica la cronaca di Luca. Sale, però, il turbamento per una cosa,  una cosa peraltro incredibile se si pensa che, al saggio razionalista di Werner Keller, ha prestato la sua “laudatio” prefatoria il famoso don Giuseppe Ricciotti, autore di una splendida “Vita di Gesù Cristo” - ed. Poliglotta Vaticana 1952 - .

I cattolici, sembra di capire, pur di non apparire rigidi, integralisti, reazionarii, oscurantisti agli occhi della società e della cultura, accettano il democratico, gentile ed ecumenistico accostamento ad opere di contenuto e finalità eversivi, infilandosi in nasse ideologiche e di compromesso da cui sarà impossibile uscire. O, forse, così comportandosi, sperano che con simil atteggiamento dialogico/ecumenistico, che sa tanto di lusinga e di viltà, sia facile compiere opera di conversione.
E’ quanto avvenuto con la nefasta “Cattedra dei non credenti”, con gli incontri interreligiosi di Assisi (1986/2000/2011)  e col recente “Cortile dei Gentili” del cardinal G. F. Ravasi, dove la dottrina liberale e massonico/sincretista domina e gestisce ogni incontro, avvelenando ogni intento di nuova evangelizzazione.
E sono i libri, ad esempio, che il defunto cardinale Martini, autentico eversore dell’ortodossia dogmatica e morale, ha scritto in connubio con personaggi atei/eretici di internazionale fama, e sono le prefazioni encomiastiche che egli stesso ha vergato per opere di natura corrosiva e modernista come quelle del salottiero Vito Mancuso.

Ma  torniamo alla congiunzione Giove/Saturno. A dar credito a un corposo volume: “Congiunzioni Giove-Saturno e Storia Giudaico-Cristiana” – Giuseppe de Cesaris - ed. Keybooks 2001 - sembra che questo fenomeno astronomico sia l’elemento che preordini e scandisca tutti i grandi eventi quasi fosse lo spirito e  il generatore della storia. L’autore ne fa un elenco di lunga tratta e di smisurata quantità. Da pagina 311 a pagina 338  si rubricano 234 fatti straordinarii relativi a personaggi, guerre, terremoti, compresi tra il 980 a. C. (inizio regno di Davide) e il 406, anno della Vulgata di San Gerolamo, fissando, poi, la nascita di Cristo al 9 settembre del 7 a. C. con Giove/Saturno ancora  congiunti (0,8°), con la Luna piena in Pesci e con il Sole in Vergine, corredandola con il seguente, stupefacente e spassoso oroscopo : “E’ questa, secondo noi, la più probabile data di nascita di Gesù di Nazareth, cioè quella data le cui particolarissime (?) condizioni astrali avrebbero, poi, conferito a Gesù uno speciale carisma agli occhi degli altri e l’auto-consapevolezza di essere proprio lui l’atteso Messia davidico ed il Figlio di Dio”.
In definitiva, un iniziato, come lo descrive Eduard Schuré, in cui non da Dio, di cui sarebbe Figlio, ma da un pianeta, vien infuso un magnetico carisma messianico e immessa  una  pleonastica “auto-consapevolezza” di esserlo. Insomma, per questo autore, non c’è fatto storico di eminente importanza che non abbia a capo la sua congiunzione gioviale/saturnina, non c’è personaggio famoso che non sia nato, o morto, durante una delle tante congiunzioni.

Sorge, a questo punto, una domanda: è la congiunzione Giove/Saturno che determina la storia o sono taluni eventi che, stranamente, si verificano sempre in concomitanza di essa? In entrambe le ipotesi, nulla è la presenza di Dio il quale, paradossalmente, creato il cielo e i pianeti, trasferisce a  questi il potere di disegnare e gestire la storia, fino al punto di concedere ad essi la delega di infondere nel Figlio le proprietà divine. Visione gnostica e che, oggi, fa tanto moda e stupore nel complesso, sulfureo  e variegato mondo dell’emporio New-Age la cui cifra, è noto, sta nella deificazione della materia, nel giulebboso panenergismo cosmico e nelle figure degli Avatar.
Ma è così?
E’ tutto un susseguirsi di coincidenze o di intelligenti interventi degli astri?
Ma davvero il Signore, Dio Onnipotente, Creatore dell’universo  troverebbe difficile “inventarsi” una stella quale segno della nascita del suo Unico Figlio?
Ha forse, Egli, durato fatica ad oscurare il sole per tre giorni quando, in Egitto - nona piaga - calarono le tenebre sì fitte da essere toccate con mano “Factae sunt tenebrae horribiles… tam densae ut palpari queant” (Ex. 11, 21/22)?
Ha incontrato difficoltà, o non è riuscito a fermare il sole su richiesta di Giosuè alla battaglia di Gabaon “Sol, ne movearis” (Gios. 10, 12/13)? 
Dall’ora sesta alla nona - dall’agonia fino alla morte di Gesù - non ordinò, oscurando il sole, che la notte ricoprisse l’intera terra “A sexta autem hora tenebrae factae sunt super universam terram usque ad horam nonam” (Mt. 27,45)? 
O tutto è accaduto per caso?

Ma come, invece, non sottolineare ed evidenziare la pedagogica corrispondenza “a contrariis” di una stella che illumina la notte di Bethleem, con il sole che, all’opposto, si oscura di giorno, nell’imminenza della morte di Gesù innalzato sulla croce in vetta a un colle?
Sono eventi da apprezzare per fortuita significanza, per casuale coincidenza di congiunzioni astrali ed eclissi, o non sono forse segni e segnali di Colui che tutto può?
Forse che, a Fatima, il 13 ottobre 1917, il sole, davanti a migliaia di persone raccolte nel luogo delle apparizioni, roteò con pregiudizio delle leggi di Keplero/Newton? “Coeli enarrant gloriam Dei, et opera manuum Ejus annuntiat firmamentum” canta il salmista (Ps. 18 a, 1).

Ora, se il Magistero della Chiesa ha sancito la soprannaturalità di questi eventi, cosa impedisce al fedele, o alla stessa gerarchia ecclesiastica, di credere, anche nella vicenda della stella di Bethleem, all’intervento onnipotente di Dio?
La cosa potrebbe suscitare qualche risolino di compassione da parte del ceto scientista al quale si può semplicemente obiettare la sua totale carenza di prove e di dati che dichiarino la teoria, ad esempio, darwinista, come fondata e storica. E ciò sarebbe testimonianza di quella fede che sposta le montagne.
In tutto questo, ciò che suona particolarmente allarmante è l’abbandono totale dell’approfondimento della  teologia dogmatico/apologetica, in ispecie di quel tomismo, che è stato, nell’ossequio alla Sacra Scrittura e alla Tradizione, il fondamento della fede cattolica, argine e bastione alle derive liberali e moderniste fino al Concilio Vaticano II ove, invece, per sotterranee, ma non troppo, manovre massoniche, si è proceduto ad eliminarlo a vantaggio di una nuova cultura che, sollecitata da una non richiesta esigenza di rinnovamento o di riforma – Ecclesia non reformanda quia numquam deformata - ha sposato le istanze del mondo moderno identificandosi in esso, tramutando e la prospettiva e il piano della trascendenza in quelli dell’immanenza antropologica  e dello “spirito del tempo”, a traino del pensiero modernista, liberale, laicista e gnostico dei varii Rahner, Chenu, Suenens, De Lubac, ma soprattutto del gesuita Pierre Teilhard de Chardin, le cui opere, pur condannate dal S. Uffizio – Monitum del 30 giugno 1962  mai abolito – trovano accoglienza ed interpretazione favorevole anche nei testi e nei libri di autori cattolici, di prelati e, purtroppo, del Pontefice.

Infatti, nel suo “Introduzione al Cristianesimo” – ed. Queriniana 2005 – Benedetto XVI cita spesso, e in tono ammirato e reverente, quale si deve a una auctoritas di schietta ortodossìa, il gesuita paleontologo, autore della teoria del “punto omega”, edizione riaggiornata, in chiave scientista, della vecchia apocatàstasi di Origene.
A pagina 77 si legge che “…ci torneremo anche in seguito, dimostrando come questa visione (di un Oriente che pone la sua prospettiva di fede in una dimensione cosmico/metafisica) più ampia, specialmente in conseguenza degli impulsi portati dall’opera di Teilhard de Chardin,  ricominci, ora finalmente (!!??) a imporsi con maggior energia anche alle coscienza occidentale”.
Incredibile! Sembrerebbe che il Monitum, di cui sopra, sia stato abrogato, mentre  è stato solamente oltrepassato e disinvoltamente accantonato e stracciato proprio da colui che, regnando ora Pontefice, per decenni fu il rettore dell’istituzione che presiede alla purezza della dottrina e della fede.
In altre pagine, 226 e seguenti, il Papa torna ancora su Teilhard con un lungo elogio perché, a parer suo, “va ascritto a grande merito di Teilhard il fatto di aver ripensato in modo nuovo queste relazioni (uomo/Cristo – uomo/creato - anima/corpo) a partire dall’immagine moderna del  mondo e, nonostante (!!) una tendenza non del tutto immune da sospetti di simpatie per il biologismo, di averle comprese in maniera complessivamente corretta”.
Non è facile accettare il fatto che Teilhard, indagato di sospette simpatie per il biologismo, abbia compreso le relazioni uomo/creato in modo corretto. O l’uno o l’altro: Tertium non datur, nonostante le litoti – nonostante/complessivamente - apportate per affermarlo.
Continua, ancora, citando Teilhard “L’uomo non rappresenta forse, allo stesso tempo, un individuo… in rapporto a un nuova e più elevata sintesi?”.
Sappiamo bene come il preteso e praticone paleontologo ipotizzò la sintesi dell’uomo nuovo, dandone prova nelle truffaldine vicende del sinathropus  e del pithecanthropus , falsi abborracciati per dare forma e corpo alla teoria darwinista.
Un gesuita!!
E qui basti la presente ricognizione sulla nuova cultura che la Gerarchia intende far garrire come bandiera al vento dei tempi.

Questa critica, va precisato, non paia forma di alterigia o disobbedienza al Magistero perché il Monitum, di cui sopra,  è documento ancor valido e, pertanto, signoreggia anche il pensiero estemporaneo e personale del Pontefice, come in questo caso.
Ma cosa ne pensa il più grande teologo, quel San Tommaso di Aquino che trattò gli argomenti teologici con estensione e profondità, consegnando alla Chiesa, dopo il Nuovo Testamento, la più ampia e chiara ermeneutica su cui si sono formati dottori, santi, pontefici e studiosi, su cui fu stilato il migliore pedagogico catechismo, quello di San Pio X, presente in ogni casa e semplice nella sua struttura a domanda/risposta? Il Santo Dottore, intanto, potrebbe rispondere all’autore del testo sopra citato: “Le congiunzioni Giove/Saturno” con gli argomenti contenuti nella Summa Contra Gentes (Ed. UTET – 1975 a cura di Tito S. Centi). Se ne indicano, qui, per comodità di consultazione senza troppo citarne i brani, i capitoli relativi ai temi trattati nella presente ricognizione. Al libro II, dal cap. XV fino al XXI, si passano in rassegna le questioni relative a Dio quale Onnipotenza infinita e Creatore dell’universo, secondo questa progressione:
Libro  II
cap. XV – Dio è causa dell’essere per tutte le cose
cap. XVI – Dio ha prodotto le cose dal nulla
cap. XVII – La creazione non è un moto né un mutamento
cap. XVIII - Come si risponde alle obbiezioni contro la creazione
cap. XIX – La creazione esclude successione e durata
cap. XX – Nessun corpo è in grado di creare
cap. XXI – Dio solo può creare

Nel  libro III  il dottore angelico si sofferma  sulle prerogative di Dio come Creatore. Ed infatti, dal capitolo XCVIII  al capitolo  CII, egli esamina i seguenti temi:

Libro III
cap. XCVIII – In che senso Dio può agire fuori dell’ordine della sua provvidenza e in che senso non può. In questo egli così si esprime. “Dio non può far nulla che non ricada sotto l’ordine della sua provvidenza. Tuttavia Egli ha il potere di fare altre cose diverse da quelle soggette alla sua provvidenza e alla sua operazione, se consideriamo la sua onnipotenza in assoluto.
Cap. XCIX – Dio può operare fuori dell’ordine impresso nelle cose, producendo degli effetti senza le loro cause prossime.
cap. C – Le cose che Dio compie fuori dell’ordine naturale non sono contro natura.  
cap. CI – I miracoli.Il grado più alto dei miracoli è occupato da quelli nei quali Dio compie qualche cosa che la natura non può compiere: p. es., che due corpi si trovino nello stesso luogo, che il sole retroceda o si fermi, che il mare dividendosi offra un passaggio.”  
cap. CII – Soltanto Dio compie miracoli.Dio è superiore all’ordine che abbraccia tutte le cose, essendo Colui dalla cui provvidenza tutto codesto ordine deriva… la sua virtù non è determinata a uno speciale effetto, essendo infinita…”
      

Ma  san Tommaso approfondisce in maniera esaustiva ed altamente spirituale in alcuni passi della sua Summa Theologiae, tanto l’argomento della potenza di Dio quanto, nello specifico, la natura prodigiosa e unica della stella, creata da Dio come segno della nascita del Figlio. Ed, infatti, in S.Th. I, q. XXV 8 (De divina potentia), divisa in 8 articoli, egli espone la tesi demolendone le obiezioni, così come in a. 1 (Utrum in Deo sit potentia), a. 2 (Utrum potentia Dei sit infinita) e, soprattutto, in a. 3 (Utrum Deus sit omnipotens) dove afferma che “Ad primum ergo dicendum quod Deus dicitur omnipotens secundum potentiam activam non secundum potentiam passivam” (Dio si dice onnipotente secondo la potenza attiva, non secondo la potenza passiva, come si è spiegato).
Nello stesso articolo San Tommaso riporta, a fondamento e dimostrazione dell’infinita potenza di Dio – che è anche quella di fermare il sole, come già detto in S. C. G (supra) – le parole dell’arcangelo. “Non erit impossibile apud Deum omne verbum” (Lc. 1, 37). Ma specificamente solo in S.Th. III, q. XXXVI (De manifestatione Christi nati) il teologo prende in esame la convenienza che Gesù fosse annunciato e manifestato al mondo attraverso segni prodigiosi, quali l’apparizione degli angeli ai pastori e la comparsa della stella che, tra l’altro, stando allo stupore di un ignaro Erode, e di tutta Gerusalemme, (Audiens autem Herodes rex turbatus est, et omnis Hierosolyma cum illoMt. 2, 3), doveva essere apparsa soltanto ai Magi e soltanto in Oriente. In S. Th. q. XXXVI a. 7 (Utrum stella quae Magis apparuit, fuerit una de coelestibus stellis), dopo aver esposto le opinioni positive e le obiezioni, egli conclude affermando l’eccezionalità della natura dell’astro e la sua non classisificabilità nel catalogo delle stelle create. “Respondeo dicendum quod, sicut Crysostomus dicit, quod  illa stella quae Magis apparuit non fuerit una coelestium stellarum. Primo: quidem quia nulla alia stellarum hac via incedit. Haec, enim stella, ferebatur a septemtrione in meridiem…  Secundo: apparuit hoc ex tempore. Non enim solum apparebat in nocte sed etiam in media die. Quod non est virtutis stellae, sed nec non etiam lunae. Tertio: quia quandoque apparebat et quandoque occultabatur. … Quarto: quia non habebat continuum motum, sed cum oportebat ire Magos, ibat; quando autem oportebat stare, stabat, sicut et de columna nubis erat  in deserto. Quinto: …ex quo patet quod verbum Magorum dicentium “vidimus stellam ejus in oriente” non est sic intelligendum quasi ipsis in oriente positis stella apparuerit exsistens in terra Judaea, sed quia viderunt eam in oriente existentem, et praecessit eos usque in Judaeam…” (rispondo dicendo che, secondo l'autorità del Crisostomo, quella stella che apparve ai Magi non fosse un astro del firmamento. Primo, perché nessun'altra stella ha seguito la stessa direzione. Questa infatti andava da nord a sud… Secondo, ciò è evidente dal tempo dell'apparizione. Poiché non appariva soltanto di notte, ma anche in pieno giorno. Il che non succede né alle stelle, e neppure alla luna. Terzo, perché a momenti appariva, a momenti spariva. … Quarto, perché non aveva un movimento continuo: ma si muoveva quando i Magi dovevano camminare; quando si fermavano, si fermava, proprio come avveniva della colonna di nubi nel deserto. Quinto, … Da ciò risulta che le parole dei Magi, “Vedemmo la sua stella in oriente”, non vanno intese nel senso che dall'oriente avessero visto la stella che si trovava in Giudea; ma che la videro in oriente, e li accompagnò fino in Giudea).

Con questa ultima affermazione Tommaso dice chiaramente che la stella non era una delle tante che, in quel momento, servì alla bisogna, ritornando, poi, al suo posto. La stella di Bethleem, sostiene il Doctor Angelicus, fu un segno straordinario, una stella nuova che Dio lanciò nel cielo per indicare ai Gentili – anticipo del messaggio che Paolo porterà nell’ecumene antico – così come, attraverso gli angeli, annunziò agli umili, ai pastori, la venuta del Redentore. Che una stella, apparsa in Oriente, si muova secondo una direzione stabilita, fermandosi o occultandosi secondo le circostanze, riapparendo e riprendendo il moto, per “fermarsi”- fatto del tutto anomalo nel moto apparente delle costellazioni – “sopra il luogo dove era il Bambino” – gr. epàno ù en tò paidìon – lat. Supra ubi erat puer -  è alquanto bizzarro  e piuttosto arduo – diciamo, impossibile - da spiegare con le normali leggi del moto. Pur coinvolgendo tutta la cultura astronomica o tutta la buona volontà razionalistica neocartesiana, riesce difficile pensare all’ambata Giove/Saturno che giocherellano sul cielo con tutto il carico di superstizione che la scienza antica si portava seco.
San Tommaso, inoltre – nell’art. 7 sopra citato - porta a sostegno della sua interpretazione il parere di S. Agostino il quale, nel libello Contra Faustum – lib. II cap. 5  P. L. 42, 212 – così afferma. “Non ex illis stellis quae ab initio creaturae itinerum suorum ordinem sub Creatoris lege custodiunt  sed, novo Virginis partu, novum sidus apparuit” (Non era una di quelle stelle che all’inizio della creazione seguono il loro corso secondo la legge del Creatore: ma col nuovo parto della Vergine, apparve un nuovo astro).

E’ necessario ripetere che la potenza di Dio non trova difficoltà alcuna allorquando la sua libera volontà decide un atto. Se si pensa, poi, alla soprannaturale ed eccezionale circostanza della nascita del Logos, non sembra conveniente che il Padre l’annunci mediante semplici e naturali segni, ma Egli – come in tanti casi descritti nel V.T. – interviene creando nuovi enti, nuove figure o modificando le leggi di natura senza, con ciò, pregiudicare l’ordine del creato. Così, predisponendo a Lui una Madre,  volle, considerando la dignità del Verbo, prefigurare e creare una Donna esente dal peccato originale. Nella sua assoluta libertà lo stimò necessario e, siccome, così doveva essere, il Padre la preservò dalla tabe originale. Eadmero (+ 1141), discepolo di S. Anselmo  racchiuse tutta questa dottrina nel famoso trittico :“Decuit, potuit, ergo fecit” – era conveniente, poteva e lo fece –
E così, riguardo alla stella di Bethleem, si può, e si deve  concludere, definendola, in accordo alla Santa Tradizione e alla dottrina dei SS. Padri: un evento prodigioso ed unico che la potenza assoluta di Dio ha prodotto in occasione di un altrettale prodigioso evento: la nascita del Figlio
Altro che supernovae o congiunzioni planetarie!

Il Magistero, gli uomini della Chiesa cattolica, i pastori, i fedeli non abbiano timore, e non subiscano il rispetto umano, nel credere e nell’affermare siffatta verità, perché questa attestazione di fede nella potenza di Dio è una testimonianza di cui chiederà conto il Signore.
Così, infatti, intende Gesù quando insegna: “Beati estis cum maledixerint vobis et persecuti vos fuerint, et dixerint omne malum adversum vos mentientes, propter me” -  Beati sarete voi quando vi oltraggeranno e perseguiteranno e falsamente diranno di voi ogni male per cagion mia! (Mt. 5,11). 
E non dissimilmente, ma come per completare, duramente ammonisce: “Omnis ergo qui confitebitur me coram hominibus,  confitebor et ego eum coram Patre  meo qui in caelis est; qui autem negaverit me coram hominibus  negabo et ego eum coram Patre meo qui in caelis est” – Chi mi riconoscerà davanti agli uomini anche io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli, ma chi mi rinnegherà dinanzi agli uomini, anch’io lo rinnegherò dinanzi al Padre mio che è nei cieli (Mt. 10, 32/33). 
Parole forti, perentorie ed inequivoche, che non lasciano alternativa.

Ed allora: vale più l’andar d’accordo pro bono pacis terrenae, o per mero tatticismo ideologico, con gli Odifreddi, gli  Scalfari, i Giorello, i  Dawckins, i Veronesi, i Cacciari, i Mancuso, gli Onfray, i Marino, i Fuksas, i Galimberti, gli Enzo Bianchi, i Severino - il fior fiore, cioè, dell’ateismo militante nazionale ed internazionale, della fratellanza 3 puntini, e del neognosticismo, e dei tesserati presenti nel “Cortile dei Gentili” -  o credere in Cristo?
Pascal  lancia la scommessa.




gennaio 2013

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