Quando la Chiesa sceglie Giuda


di Cristina Siccardi









Dietro la scrivania dello studio personale di papa Francesco sono posti una fotografia, che ritrae un capitello della basilica romanica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, in Borgogna, dove, secondo una certa interpretazione, il Buon Pastore porterebbe sulle spalle il suicidato Giuda, e un dipinto donatogli da un francese, il quale, dopo aver letto il libro di Bergoglio, Quando pregate dite Padre Nostro (2018), ha deciso di raffigurare Gesù nudo che abbraccia e accarezza il viso di Giuda morto, disteso a terra e ricoperto da un panno rosso, colore richiamante il sangue di Cristo. Questo dipinto è stato pubblicato in prima pagina il 1° aprile scorso, Giovedì Santo, dall’Osservatore Romano, con il titolo Giuda e lo scandalo della misericordia. La Tradizione della Chiesa ha sempre spiegato che Giuda, con il suo disperato atto finale, non si è salvato, perché non ha creduto nella possibilità del perdono divino e della relativa salvezza attraverso lo scandalo della Croce.

San Paolo non parla di scandalo della misericordia, ma della Croce, solo attraverso la quale ci si può convertire, si può cambiare vita, rinascere nello Spirito e, dunque, arrivare alla misericordia di Dio: «La parola della Croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio… è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,18-23).
Dal Concilio Vaticano II in poi il peccato è diventato non strumento di Satana, ma una chance.

Quando la Chiesa di Roma sceglie Giuda per dire che Cristo non si è preso i nostri peccati sulla Croce, ma è si è «fatto peccato» per salvare tutti, indistintamente, significa che si è davvero luteranizzata.
Le pagine dei Padri della Chiesa sono ricche di rimandi alla sorte definitiva di Giuda, già annunciata nel Vangelo. È Cristo stesso che giudica: «Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbì, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto» (Mt 26, 24-25).

San Giovanni Damasceno afferma: «[…] esistono, da parte di Dio, due diversi tipi di abbandono: quello pratico, cioè educativo; e l’abbandono assoluto, fonte della disperazione. Il primo comporta, per chi lo subisce, raddrizzamento, salvezza, gloria sia per suscitare negli altri emulazione e imitazione, sia per la gloria di Dio. L’abbandono assoluto, per contro, avviene quando, sebbene Dio abbia compiuto ogni cosa per la salvezza di una persona, costei continua nondimeno a rimanere insensibile ed incurante del proprio destino, anzi inguaribile; e viene perciò abbandonata, come Giuda (Mt 26, 24-25), all’estrema rovina. Ci sia dunque propizio il Signore, preservandoci da tale abbandono» (Esposizione della fede ortodossa, 2, 29).

Capovolgere l’ordine dei fattori e stravolgere i principi è un classico delle rivoluzioni. Così, si prende un capitello romanico, privo di fonti storiche che diano testimonianza del soggetto e di quale significato ad esso relativo lo scalpellino dell’epoca volesse comunicare, interpretando il tutto a proprio piacimento senza nessun aggancio con la fede cattolica di sempre. «Nessuno dunque, vi scongiuro, conservi in sé pensieri cattivi, ma purifichiamo», dice san Giovanni Crisostomo, «il nostro cuore: siamo templi di Dio, infatti, se siamo puri. […] Rifletti per quale motivo si è immolato: di quali misteri ti sei privato, o Giuda!» (Omelie sul tradimento di Giuda, 2, 6).
Come contraddire i Padri della Chiesa senza contraddire le fondamenta della Chiesa stessa?

Ad accompagnare le preferenze iconografiche e “misericordiose” del Papa che invita a guardare a Dio come se non chiedesse nulla a chi ha compiuto il male, in questa Pasqua 2021 c’è stato anche il recupero di un’omelia del Giovedì Santo 3 aprile 1958 di don Primo Mazzolari (1890-1959), «il parroco di Bozzolo precursore del Concilio Vaticano II» (come scrive Vatican News), omelia dal titolo Ma io voglio bene anche a Giuda che il Pontefice ha citato in più occasioni, dove il sacerdote progressista, aperturista, liberalista, protestantizzante, dichiara errori dottrinali eclatanti.
Il giudizio di Cristo è messo assolutamente da parte per dar spazio soltanto al proprio sentire soggettivo: «[…] io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno; dovrei giudicare me, dovrei condannare me. […] Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua misericordia».
Parole da brivido, che negano i Vangeli: «tra i suoi di là» (Giuda che entra in Paradiso) «insieme ai due ladroni»… Gesù, sul Calvario e sulla Croce, ha promesso il Paradiso ad un ladrone… I desiderata di don Mazzolari e di tutti coloro che giustificano le proprie colpe senza esame di coscienza e senza conversione nel Crocifisso non si pongono né al servizio della Verità cattolica, né della Sposa di Cristo, né del bene delle anime, accarezzando e vezzeggiando i peccati come fossero fragilità ineludibili e negando così all’uomo la possibilità di fare la sua parte per essere emendato e salvato attraverso il preziosissimo sangue di Nostro Signore.

Don Primo Mazzolari si è fatto interprete della cosiddetta «Chiesa dei poveri» dal sapore marxista, della libertà religiosa, del pluralismo, del pacifismo, del «dialogo con i lontani», quel dialogo che ha portato la Chiesa a dimenticare la propria identità, tutte istanze presenti nel pensiero modernista e neo-modernista, che ha fagocitato teologi e clero nel XIX e XX secolo fino a intossicare le alte gerarchie della Chiesa contemporanea.

Le prediche del prete cremonese e i suoi scritti vennero censurati dall’autorità ecclesiastica e il quindicinale Adesso (al quale collaborò il pedagogo rivoluzionario don Lorenzo Milani, 1923-1967), da lui fondato nel 1949, fu chiuso nel 1951; mentre nel luglio dello stesso anno gli venne imposto il divieto sia di predicare fuori diocesi senza autorizzazione, sia di pubblicare articoli senza una previa revisione dell’autorità ecclesiastica.
Il quindicinale riprese le pubblicazioni a novembre, ma egli dovette lasciare l’incarico di direttore, continuando a scrivere alcuni articoli sotto pseudonimo, attirando comunque nuove sanzioni: nel 1954 gli fu imposto il divieto assoluto di predicare fuori dalla propria parrocchia e il divieto di pubblicare articoli riguardanti temi sociali.
Nel novembre di tre anni dopo, l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini (1897-1978), futuro Paolo VI – che chiuse il Concilio con queste parole: «La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. […] anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo», 7 dicembre 1965) –, lo chiamò a predicare nella propria diocesi e nel febbraio del 1959 papa Giovanni XXIII (1881-1963) lo ricevette in udienza privata, salutandolo pubblicamente come «Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana», una tromba che ha contribuito a far entrare il fumo di Satana nella Chiesa, lo stesso fumo mortifero che respirò Giuda, il traditore per eccellenza.




aprile 2021

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