Madamina, il catalogo è questo!


di Roberto Pecchioli


Pubblicato su Accademia Nuova Italia







Viviamo un’epoca favolosa. Favolosa in senso letterale: scosse, tracolli, cambiamenti epocali, pandemie, si susseguono così veloci che l’animo nostro non riesce a tener loro dietro. Favole, appunto. L’elettrochoc è continuo e diventa normalità. L’esercizio più difficile, l’acrobazia più straordinaria è districarsi tra le mille aggressioni cognitive, separare la verità, la materia viva, dalle menzogne più tossiche e sfacciate. In tempi di menzogna universale, tentare di orientarsi, dissipare la nebbia, reagire ai miraggi ipnotici della narrazione unica è chiamato “complottismo”.

L’esempio più pregnante è il racconto di Edgar Allan Poe La lettera rubata. Nessuno era capace di ritrovare il compromettente cartiglio, poi il geniale Dupin, investigatore dilettante, compie il gesto decisivo: cerca non nei nascondigli e negli stipi segreti, ma davanti a sé. La lettera è lì, bene in vista. Bastava saper credere ai propri occhi.
Viviamo in tempo di asservimento universale, di capovolgimento di valori, principi, modi di vita. Chiamiamo libertà il suo contrario e sembra davvero che qualcuno abbia scambiato le etichette, le definizioni del vocabolario. Il bene di ieri e di sempre è il male di oggi, e viceversa.
Eppure, regna il silenzio di massa, intervallato dal baccano dello spettacolo e dal belato del gregge. Il ballo Excelsior deve continuare: “unica” differenza, la maschera dei partecipanti e il fatto che ciascuno danza solitario, a debita distanza dall’Altro.

Madamina, il catalogo è questo. Ricordate la celebre aria del Don Giovanni di Mozart, su libretto di Lorenzo Daponte?
Il servo Leporello, elenca le conquiste sessuali del suo padrone a Donna Elvira, l’ultima ingannata. “Madamina, il catalogo è questo, delle belle che amò il padron mio; un catalogo egli è che ho fatt’io; osservate, leggete con me.  In Italia seicento e quaranta; in Almagna duecento e trentuna; cento in Francia, in Turchia novantuna; ma in Ispagna son già mille e tre.”
Don Giovanni è un simbolo di questo tempo bastardo. E’ disinteressato all’amore ed anche alla personalità delle donne che seduce. Inganna, raggira, inventa menzogne per raggiungere il suo scopo, ottenuto il quale la preda perde ai suoi occhi ogni interesse. E’ un trofeo in più in un’esistenza profondamente materialistica, inutile e amorale.

Lo comprese Soren Kierkegaard, che indicò in Don Giovanni l’emblema della vita sensuale “estetica”, edonistica, indifferente a principi etici, dovere, responsabilità.
Don Giovanni è disinteressato al cuore e al cervello delle sue conquiste: vuole solo possederle, oggetti d’uso di un compulsivo amorale, un “utente” a cui è estraneo il senso morale.
Il suo deuteragonista è il Convitato di pietra, il Commendatore che Don Giovanni ha ucciso in duello mentre difendeva la figlia insidiata. La sua statua parla con voce solenne e terribile (“di rider finirai pria dell'aurora. Ribaldo audace! / Lascia a' morti la pace.”) interrotta dalla sacrilega risata di Don Giovanni che anticipa la drammatica conclusione della vicenda.
Il Commendatore è la voce del sacro, del soprannaturale, della verità cancellata. Il catalogo delle conquiste di Don Giovanni è lungo e lasciato in sospeso da Leporello (in Ispagna son “già” milletre). Altrettanto esteso Il catalogo delle malefatte e delle menzogne del presente bastardo, e le pagine bianche anticipano un futuro ancora peggiore.

L’unico scampo al dolore di chi guarda e ancora vede, di chi ha incontrato il male di vivere in questo modo e in questo tempo è l’indifferenza, la divina indifferenza cantata da Eugenio Montale. Bisogna diventare come ci vogliono: insensibili, freddi e lontani come la “statua nella sonnolenza del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato”.
E invece no, è necessario che qualcuno carichi su di sé l’arduo - probabilmente vano - compito di scrivere, diffondere, aggiornare il catalogo. Leporello non aveva intenti morali, ma almeno mise in guardia Elvira. Madamina, il catalogo è questo, anche se non vuoi ascoltare, anche se ti tappi le orecchie, stringi gli occhi, non parli, non vedi e non senti. Tempo di asservimento universale in cui la verità (la lettera rubata di Monsieur Dupin) è davanti agli occhi e non la vediamo.

Ci hanno detto tutto, ma proprio tutto. Non avrai nulla e sarai felice: chiarissimo, ci espropriano dell’avere dopo aver cancellato l’essere.
E’ tutto di proprietà di pochi colossi: a noi resta la grottesca “felicità” del consumo, della ricerca di un piacere compulsivo, della pastura a ore stabilite, con gli occhi fissi nel piatto. E’ il tempo delle pandemie, sospirano, per cui “nulla sarà come prima”.  Il catalogo è lì, bene in vista, come la lettera rubata.
Per il Massachusetts Institute of Technology “il distanziamento sociale rimarrà in vigore, sconvolgerà il nostro modo di vivere, sotto alcuni aspetti per sempre.” Habemus vaccinum, cioè la salvezza. Il catalogo non conferma: da Davos e da tutti gli ambulacri dell’oligarchia hanno battuto un colpo: dovremo prepararci a una pandemia permanente.
Parola di “scienziati”.

La prestigiosa rivista Nature (gli organi del potere sono per definizione autorevoli e prestigiosi…) sostiene che “il mondo ha bisogno dell’equivalente di un lockdown pandemico ogni due anni per raggiungere gli obiettivi di Parigi sulle emissioni di gas serra”.
Non c’è più emergenza, ma una nuova, distopica, inumana “normalità”, che sospende lo Stato di diritto e le libertà civili.
E’ un sintomo di servitù, un rito di passaggio al totalitarismo. La tendenza – il catalogo di Leporello è sempre aperto - è la limitazione selvaggia delle libertà personali, delegata dall’oligarchia ai suoi proconsoli, i governi formalmente democratici.
Abbiamo notato che gran parte dei governi liberali, liberisti e libertari del mondo si stanno comportando allo stesso modo in gran parte del mondo?

Segno che esiste un disegno, o almeno – per aggirare l’accusa di complottismo paranoico – una meccanica del potere che va nella direzione opposta a quella della libertà, della democrazia e dei “diritti”.
Sono al comando dei comitati tecnici e scientifici che affermano di agire in nome della “biosicurezza”. Offrono la salute in cambio della libertà. Il risultato è la perdita di entrambe, nel caso italiano addirittura a colpi di semplici atti amministrativi. Ma che vale il diritto dinanzi alla vita? Così la pensiamo e al potere sta benissimo. La tecnocrazia è il paradigma contemporaneo.
Michel Foucault parlò di “tecniche volte ad ottenere la soggiogazione dei corpi ed il controllo delle popolazioni, l’inizio di un’epoca di biopotere”.

Una tappa fondamentale è la medicalizzazione totale della vita, segnalata da Ivan Illich e diventata permanente e onnipervasiva, invadendo e stravolgendo ogni aspetto della vita umana.
Scienza e medicina, all’ombra della tecnica informatica digitale, sono vere e proprie religioni secolari, dotate di dogmi, sacerdoti e rituali obbligatori, come le maschere, la sanificazione, i ridicoli saluti dandosi il gomito. Lo ammette un’altra Bibbia delle caste di potere, Lancet, la principale rivista medica al mondo, che parla di democrazie che diventano tecnocrazie e addirittura della “presa degli scienziati, stretta al collo dei governi”.

Gli apparati di sorveglianza avanzano dappertutto: telecamere, polizia, tracciamento, “passaporto vaccinale”. Biocrazia che diventa biosorveglianza. Con altrettanta chiarezza, ci dicono che, in nome di un altro dogma contemporaneo – la salvezza ecologica – non dovremo più muoverci a piacimento.
Nel Medioevo si chiamava feudalesimo: i servi della gleba (ovvero della terra) erano legati al territorio e al padrone, il quale, almeno, aveva l’obbligo di provvedere alla loro sussistenza. Il neo feudalesimo avanza con la nostra attiva collaborazione: cediamo la nostra vita, i nostri “dati”, mentre il dispositivo informatico dirige i nostri comportamenti, prevedendoli, anticipandoli e orientandoli attraverso una matematizzazione dell’esistenza così pervasiva che neppure sappiamo più riconoscere.

Nel 1889, Gustave Le Bon spiegò che gli umani adorano essere fanatizzati dalla stupidità. La chiave è l’affermazione.
“L’affermazione pura e semplice, spogliata di qualunque ragionamento e di ogni prova, è uno dei mezzi più sicuri di far penetrare un’idea nello spirito delle folle. Più l’affermazione è concisa, più è sprovvista di ogni apparenza di prove e dimostrazioni, più essa ha autorità.”
Con l’affermazione, la ripetizione, costante, ossessiva. Distanziatevi, confinatevi, crepate di paura. “La cosa affermata arriva a stabilirsi negli spiriti per ripetizione al punto che finiscono per accettarla come una verità dimostrata”.
Le istruzioni per il catalogo – oggi diremmo il “tutorial” - sono a disposizione da ben più di un secolo.

L’integrazione progressiva delle reti di sorveglianza e di controllo sociale è in fase avanzatissima, con l’inedita censura privata (Facebook, Twitter). Noi stessi diventiamo agenti di autosorveglianza e di spionaggio delatorio: la società disciplinare.
La chiave è creare un clima di intenso conformismo. Il catalogo del conformismo comprende il linguaggio politicamente corretto -  non giudicare, pensare e parlare con le parole volute dal potere - la demonizzazione e psichiatrizzazione del dissenso, l’applicazione di etichette negative (complottista, terrapiattista, negazionista) a chi osa eccepire, comprendere, ragionare. A sostegno, agisce un apparato di polizia repressivo nei confronti delle persone comuni e ogni giorno più permissivo nei confronti dei veri criminali.

E’ criminalizzato chi si difende – pensiamo al gioielliere che spara ai rapinatori - non chi usa violenza. Gran parte del sistema di conformismo sociale intona la cantilena del “far west” (affermazione più ripetizione) quando qualcuno osa reagire, senza mai condannare violenti, ladri, prevaricatori, malviventi.
E’ l’uso indiscriminato, intollerabile della propaganda, nella forma martellante priva di contraddittorio, incompatibile con la tanto decantata democrazia, il regime in cui la vita sociale si dovrebbe basare “sulla critica consapevole e sul libero arbitrio. La propaganda invece tende sempre al totalitarismo.” (Jacques Ellul).

La capacità critica è soppressa, sostituita da una irremovibile convinzione collettiva, manipolata dall’alto, di essere nel giusto, che fa smarrire la capacità di dubitare e ancor più di discutere.
Ne La questione della tecnica Ellul afferma “è necessario che la tecnica prevalga sull’essere umano. La tecnica deve ridurre l’uomo ad un animale tecnico, il re degli schiavi della tecnica. Persegue il completo rifacimento della vita e della struttura del vivente perché piene di imperfezioni. Le tecniche applicate all’uomo dovranno finire nel completo condizionamento del comportamento umano; dovranno assimilare l’uomo nel complesso uomo-macchina, la formula del futuro. Nell’accoppiamento tra uomo e macchina, vedrà la luce una entità radicalmente nuova.”

Non è altro che l’anticipazione del transumanesimo, la religione di Silicon Valley. Uno dei pilastri di Google, Ray Kurzweil, dice che “l’uomo biologico” si fonderà con le macchine prodotte dalla nanotecnologia e dall’intelligenza artificiale, diventando un ibrido umano-robot.
Il catalogo è questo, e parlano chiaro come Paola Pisano, ministro per l’innovazione tecnologica del governo Conte: “Saranno i robot a salvare l’uomo; ci dobbiamo augurare il nuovo ibrido “uomo-macchina” senza alcuna paura. Il mondo si trasforma. Siamo pronti ad osare?”

La domanda è un’altra: siamo pronti ad accettare una dittatura scientifica mondiale? Purtroppo sì: ci hanno espiantato molte facoltà, diventiamo propaggini della macchina artificiale.
Aldous Huxley, oligarca britannico che diceva la verità fingendo di descrivere scenari fantascientifici, fu chiarissimo: “sotto una tale dittatura scientifica, la maggior parte degli uomini e delle donne crescerà nell’amore della servitù e non sognerà nemmeno di ribellarsi.”

Possiamo ancora dire senza censure – e senza lo strabuzzare d’occhi incredulo dei più - che la didattica a distanza (DAD), con cui da oltre un anno fanno i conti i nostri ragazzi, è una modalità educativa che non solo diffonde ulteriore ignoranza, ma è una vera e propria operazione di transumanesimo a lungo termine.
Innanzitutto, i ragazzi sono tenuti in stato di dipendenza (dal computer, dagli apparati), poi si inibisce loro la sfera relazionale, decisiva a quell’età. Isolati, colpevolizzati, allontanati dal contatto – educativo e corporale – vengono spinti a vivere senza o addirittura “contro” l’altro.
Psicologi e sociologi evidenziano l’affermazione di una generazione sempre meno “umana”, attratta morbosamente, superstiziosamente, dalle tecnoscienze. Costantemente connessi, ma relegati nel virtuale, sono costretti a relazioni “a distanza”, senza legami con i coetanei, condizionati mentalmente perché non entrino in contatto con il “sé” e non sviluppino un pensiero critico personale.

Big Tech si è insediata nel corpo e nella mente con esiti che sperimenteremo nel tempo. Presto capiremo la devastante realtà dello “smart working” (è tutto smart, “furbo”, nell’universo di plastica) che ci inchioda in casa, davanti allo schermo, lontani dai colleghi, solitari, alla mercé di disposizioni, ordini, obiettivi e controlli da remoto sempre più simili al biopotere panottico di Michel Foucault.
Da casa, non ci ribelleremo e forse ci vieteranno di muoverci, pandemia o non pandemia. Per l’ambiente, per non inquinare, per il nostro bene, che “loro” conoscono assai meglio di noi.
Feudalesimo purissimo senza ius primae noctis, che, peraltro, nella società liquida in cui i rapporti sono brevi, momentanei e strumentali, non susciterebbe alcuna indignazione.

Le leggi naturali, iscritte nel cuore dell’uomo, non esistono più. Conta ciò che è scritto oggi nei codici. Basta con la presunzione di innocenza: l’esemplare maschio della specie umana è colpevole in quanto violento e stupratore. Non si possono esprimere giudizi negativi o preferenze, neanche per se stessi, tanto meno mettere in dubbio l’ideologia di genere. Il “delitto di odio” eleva un sentimento a titolo di reato, per le fattispecie che interessano il potere. Eppure tutto passa, nulla viene seriamente contestato: l’opera di “denaturazione”, cioè di asportazione e negazione della natura umana, prosegue senza intoppi. La superficie è stata levigata, resa scabra, senza appigli: è il trionfo dell’identico, dell’equivalente. Non si sa se è peggiore la dittatura del gatto o l’uguaglianza dei topi.

Tutto è spezzato, frammentato. Viene sparso a piene mani un odio impressionante contro gli uomini e le donne “normali”. Ci tolgono dalle tasche il nostro denaro, il contante. Deve essere nelle mani del potere, che sorveglia, annota e consente – o no – spese e prelievi. Dicono che è comodo, e noi ci crediamo.
Non vogliamo figli né responsabilità, ma se proprio insistiamo, ecco pronti i cataloghi delle nascite in provetta. Se siamo ricchi, possiamo delegare la gravidanza a una donna povera: dicono che è un atto di generosità, la chiamano GPA, gestazione per altri. Crediamo anche a questo.
Se poi il male di vivere ci assale, ci coglie la malattia, o la decadenza fisica della vecchiaia, meglio morire igienicamente; eutanasia, “buona”, felice morte. Ci abbiamo creduto.
E allora, madamina, se il catalogo è questo, perché diventi una preda in più, l’ennesima, di una collezione che esclude il bene, l’amore, l’empatia? Sappiamo tutto, ci dicono ogni giorno qual è il nostro destino di animali d’allevamento, ma non c’è reazione: solo applausi e, nel migliore di casi, un’indifferenza non divina, ma bovina.
La risata beffarda di Don Giovanni davanti al Convitato di Pietra resta il simbolo di un’umanità regredita, zoologica, in cui tutto è “trans”, “poli”, “multi” e nulla è quello che è ed è sempre stato.

Vengono in mente due quadri del XIX secolo, la celeberrima Zattera della Medusa in cui uomini allo stremo non lottano per difendersi dal naufragio, ma si battono impazziti l’uno contro l’altro. Poi il duello rusticano di Goya, Dos forasteros, due estranei-nemici. I poveretti si scontrano con ferocia, una violenza grezza, immediata e insensata in un paesaggio macabro, desolato, che allude alla prigionia, al nulla, all’impossibilità della salvezza. La loro furia cieca è apertamente disumana.

C’è un terzo dipinto, il Viandante sul mare di nebbia. Un uomo ritratto di spalle, assorto nella sua dignità, che mantiene un decoro e uno stile, osserva il mondo, in fragile equilibrio in un panorama fatto di nebbia, vento, pareti rocciose, spuntoni appuntiti. Nel tempo nostro capovolto la nebbia è chiamata luce. Il catalogo è questo, la verità che rende liberi nascosta dal fumo artificiale.
Scrisse Giovanni Evangelista: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.    



maggio 2021

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