La questione giudaica
davanti al Concilio Vaticano II


Pubblicato sul sito italiano della Fraternità San Pio X


Mons. Luigi Carli, allora vescovo di Segni, pubblicava sulla Palestra Del Clero del 15 febbraio 1965, un interessante articolo sulla questione giudaica dibattuta in concilio, appena qualche mese dopo la votazione della Dichiarazione Nostra Aetate, del 20 novembre 1964. Ne riproduciamo una conclusione, per mostrare che il dibattito sui testi del concilio, anche dopo la loro approvazione, era considerato ancora aperto, almeno fino a quel momento.
Mons. Carli dall'ottobre 1963 si unì al Coetus Internationalis Patrum. Era considerato uno dei migliori teologi del concilio.

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Ritengo legittimo poter affermare che tutto il popolo giudaico dei tempi di Gesù - inteso in senso religioso, cioè quale collettività professante la religione di Mosè - fu responsabile in solidum del delitto di deicidio, quantunque soltanto i capi, seguiti da una parte degli adepti, abbiano materialmente consumato il delitto.

Quei capi non erano, sì, eletti democraticamente dal suffragio popolare; però, secondo la legislazione e la mentalità allora vigenti, erano ritenuti da Dio stesso (cfr. Mt. 23, 2) e dalla pubblica opinione come le legittime autorità religiose, i responsabili ufficiali degli atti che essi ponevano in nome della religione e servendosi degli strumenti giuridici predisposti dalla religione medesima. Orbene, proprio da quei capi Gesù Cristo, Figlio di Dio, fu condannato a morte; e fu condannato proprio perché si era proclamato Dio (Gv. 10, 33; 19, 7), e nonostante avesse fornito sufficienti prove per essere credu¬to tale. (Gv. 15, 24).

La sentenza di condanna fu emanata dal Concilio, (Gv, 11,49 segg.), cioè dal massimo organo autoritativo della religione giudaica, appellandosi alla Legge di Mosè (Gv. 19, 7), e motivando la sentenza come un'azione difensiva di tutto il popolo (Gv. 11, 50) e della stessa religione (Mt. 26, 65).
Fu il sacerdozio aaronitico, sintesi ed espressione massima dell'economia teocratica e ierocratica del Vecchio Testamento, a condannare il Messia. E' lecito, pertanto, attribuire il deicidio al giudaismo, in quanto comunità religiosa.

In questo senso ben precisato, e attesa la mentalità biblica, anche il giudaismo dei tempi posteriori a nostro Signore partecipa oggettivamente della responsabilità del deicidio nella misura in cui tale giudaismo costituisce la libera e volontaria continuazione di quello di allora.

Ci può aiutare a renderci conto di questa realtà un esempio preso da casa nostra. Un Sommo Pontefice e un Concilio Ecumenico, benché non vengano eletti dalla comunità cattolica con sistemi democratici, qualora prendano una solenne deliberazione nella pienezza della loro autorità, rendono corresponsabile di quella deliberazione, per allora e per tutti i secoli futuri, tutto il «cattolicesimo», tutta la comunità ecclesiale.

Mons. Luigi Carli, La questione giudaica davanti al Concilio Vaticano II, in Palestra del Clero, Anno XLIV N. 4, 14 febbraio 1965.




gennaio 2013

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