Perché il latino alla Messa?

A dei dogmi immutabili serve una lingua immutabile



di Don Matthias Gaudron, FSSPX

Pubblicato su La porte Latine
sito della Fraternità San Pio X in Francia

Fonte
: Don Matthias Gaudron, FSSPX, Catechismo della crisi della Chiesa, Edizioni Piane, https://edizionipiane.it/prodotto/catechismo-della-crisi-nella-chiesa/






Come si dismettono gli abiti da lavoro per celebrare il culto divino, così è oltremodo conveniente che la lingua della santa liturgia non sia quella di tutti i giorni.
La lingua volgare non concorda con l’azione sacra. In Occidente, il latino è stato per secoli la lingua della liturgia. In altre parti della Chiesa ed anche in numerose religioni non cristiane vi è anche una lingua sacra. La fissità della lingua liturgica, a fronte dell’evolversi della lingua volgare, sembra una costante in tutta l’umanità.
I Greci scismatici, nella liturgia usano il greco antico; i Russi usano lo slavo. Al tempo di Cristo, gli Ebrei usavano per la liturgia l’ebraico antico, che non era la lingua corrente (e né Gesù né gli Apostoli hanno biasimato questa usanza). La stessa cosa avviene nell’islam (l’arabo letterario, lingua per la preghiera, non è più compreso dalla massa) e in certe religioni orientali. Anche i pagani romani, per il loro culto avevano delle formule arcaiche divenute incomprensibili.
L’uomo ha per natura il senso del sacro: egli comprende d’istinto che il culto divino non dipende da lui e che deve rispettarlo e trasmetterlo così come l’ha ricevuto, senza permettersi di stravolgerlo. L’impiego di una lingua fissa e sacra nella religione è conforme alla psicologia umana al pari alla natura immutabile delle realtà divine.

Il senso del mistero

La Messa realizza dei misteri ineffabili che nessun uomo può comprendere perfettamente. Questo carattere misterioso trova la sua espressione nell’impiego di una lingua misteriosa, che non è immediatamente compresa da tutti (è anche per questo che certe parti della Messa vengono recitare a bassa voce). La lingua vernacolare, al contrario, dà l’impressione superficiale di una comprensione che in realtà non c’è.
Le persone pensano di comprendere la Messa perché è celebrata nella loro lingua madre. In effetti, esse generalmente non sanno alcunché dell’essenza del Santo Sacrificio.
Non si tratta di ergere un muro che maschera tutto, ma, al contrario, si fare apprezzare meglio le prospettive; e per far questo occorre tenere una certa distanza.
Per penetrare un po’ nel mistero della Messa, la prima condizione è riconoscere umilmente che in realtà si tratta di un mistero, qualcosa che ci supera.
L’impiego del latino nella liturgia comporta il senso del mistero anche per coloro che conoscono questa lingua. Il fatto stesso che si tratti di una lingua speciale, distinta dalla lingua madre e dalla lingua ordinaria (una lingua che, di per sé, non è immediatamente compresa da tutti, anche se, di fatto, è compresa) è sufficiente a dare una certa distanza, che incoraggia il rispetto.

Una minore comprensione?

Lo studio del latino cristiano deve essere vivamente incoraggiato. Lo sforzo che esso richiede contribuirà ad elevare verso il mistero – mentre la lingua volgare tende ad abbassare al livello umano. Il Concilio di Trento prescrive al sacerdote di predicare spesso sulla Messa e di spiegare i riti ai fedeli. I fedeli inoltre hanno il messalino in cui le preghiere latine sono tradotte. In questo modo, essi possono avere accesso alle belle preghiere della liturgia senza che i vantaggi del latino vadano perduti. L’esperienza dimostra inoltre che nei nostri paesi latini la comprensione del latino liturgico (se non in tutti i particolari almeno in maniera complessiva) è relativamente facile per chi si interessa.
Lo sforzo di attenzione richiesto favorisce la vera partecipazione dei fedeli alla liturgia: quella dell’intelligenza e della volontà. Mentre la lingua volgare rischia al contrario di incoraggiare la pigrizia.
Per vivere nello spirito di preghiera tutte le proprie attività, bisogna saper lasciare queste attività per un certo tempo per dedicarsi solo alla preghiera. È lo stesso qui: usare, di tanto in tanto, un linguaggio sacro per prendere coscienza della trascendenza di Dio, sarà un aiuto, e non un impedimento, alla preghiera in ogni momento.

L’unità della Chiesa

La fede immutabile richiede uno strumento proporzionato: una lingua che sia la più immutabile possibile, tale che possa servire da riferimento. Ora, il latino, che non è più una lingua corrente, non cambia più o quasi. Invece in una lingua corrente le parole possono subire rapidamente dei cambiamenti notevoli di significato e di registro (possono assumere una connotazione peggiorativa o ridicola che non avevano prima). L’uso di una tale lingua può dunque comportare facilmente degli errori o delle ambiguità, mentre l’uso del latino preserva sia la dignità sia l’ortodossia della liturgia (1).

Impiegata nella liturgia per quasi duemila anni, la lingua latina è stata come santificata. E’ confortante poter pregare con le stesse parole che i nostri antenati e tutti i sacerdoti e i monaci hanno usato per secoli. Così, unendo la nostra preghiera alla loro, sentiamo in maniera concreta la continuità della Chiesa attraverso i tempi. Il tempo e l’eternità si uniscono.

Il latino non manifesta solo l’unità della Chiesa attraverso i tempi, ma anche attraverso lo spazio (2). Favorendo l’unione con Roma (così è stata preservata la Polonia dallo scisma slavo) esso unisce tra loro tutte le nazioni cristiane. Prima del concilio Vaticano II, la Messa di rito romano era celebrata dappertutto con la stessa lingua. I fedeli ritrovavano sui cinque continenti la Messa della loro parrocchia. Oggi questa immagine dell’unità è distrutta. Non vi è più alcuna unità nella liturgia: né nella lingua né nei riti; al punto che chi assiste ad una Messa celebrata in una lingua che non conosce troverà molto difficile persino identificare le parti principali.

Manifestare cosa è la Chiesa

La nostra Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica. La lingua latina contribuisce a suo modo ad ognuna di queste caratteristiche (3). Per la sua genialità (lingua imperiale), il suo carattere ieratico (lingua “morta), e soprattutto la consacrazione che ha ricevuto, insieme all’ebraico e al greco sul titulum della croce [4], serve in modo eccellente la santità della liturgia; per il suo uso universale e sovranazionale (non è più la lingua di alcun popolo), manifesta la sua cattolicità; per il suo legame vivo con la Roma di San Pietro, e con tanti Padri e Dottori della Chiesa che furono allo stesso tempo eco degli Apostoli e artigiani del latino liturgico (essi forgiarono non solo le orazioni, gli inni e i responsori, ma lo stesso latino cristiano, che è in molti modi un rinnovamento completo del latino classico), è il garante della sua apostolicità; Infine, attraverso il suo uso ufficiale, che ne fa la lingua di riferimento per il magistero, il diritto canonico e la liturgia, contribuisce efficacemente alla triplice unità della Chiesa: unità di fede, unità di governo e unità di culto.


NOTE

1 - «L’uso della lingua latina […] è una protezione efficace contro ogni corruzione della dottrina (Pio XII, Mediator Dei).
«A dei dogmi immutabili serve una lingua immutabile che garantisca da ogni alterazione nella formulazione stessa di questi dogmi. […] I protestanti e tutti i nemici della Chiesa cattolica le hanno sempre rimproverato il latino. Sentono che l’immobilità di questa armatura difende meravigliosamente da ogni alterazione quelle antiche tradizioni cristiane la cui testimonianza li schiaccia. Vorrebbero rompere la forma per raggiungere la sostanza. L’errore parla volentieri una lingua variabile e mutevole. (Mons. de Ségur).
2 – L’impiego della lingua latina, in uso in gran parte della Chiesa, è un chiaro ed evidente segno di unità […] (Pio XII, Mediator Dei).
3 - «Infatti, dal momento che essa raccoglie nel suo seno tutte le nazioni, che è destinata a vivere fino alla consumazione dei secoli e che esclude totalmente dal suo governo i semplici fedeli, la Chiesa, per sua stessa natura, ha bisogno di una lingua universale, fissata definitivamente, che non sia una lingua volgare» (Pio XI, Lettera Apostolica Officiorum omnium, 1 agosto 1922.
4 - «Gesù il nazareno, il re dei Giudei» […] l’iscrizione era in ebraico, latino e greco (Gv. 19, 20).





luglio 2021
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