Dal Summorum Pontificum a Traditionis custodes
o
dalla riserva allo zoo

Articolo della Fraternità San Pio X

Pubblicato il 17 luglio 2021sul sito della Fraternità
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Papa Francesco ha pubblicato ieri [16 luglio 2021] un motu proprio il cui titolo potrebbe esprimere una grande speranza: Traditionis custodes (guardiani della Tradizione); sapendo che esso si rivolge ai vescovi si potrebbe essere tentati di sognare: la Tradizione starebbe per recuperare i suoi diritti in seno alla Chiesa?

Tutto il contrario. Questo nuovo motu proprio realizza una eliminazione. Esso manifesta la precarietà del magistero attuale e indica la data di scadenza del Summorum pontificum di Benedetto XVI, che non avrà nemmeno festeggiato i suoi quindici anni di vita.

Tutto, o quasi tutto ciò che conteneva il Summorum pontificum è disperso, abbandonato o distrutto. D’altronde, lo scopo è chiaramente fissato nella lettera che accompagna questa liquidazione.

Il Papa ha enumerato due principii «sulla maniera di procedere nelle diocesi»: «provvedere da una parte al bene di quanti si sono radicati nella forma celebrativa precedente e hanno bisogno di tempo per ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II; interrompere dall’altra l’erezione di nuove parrocchie personali, legate più al desiderio e alla volontà di singoli presbiteri che al reale bisogno del «santo Popolo fedele di Dio».

Una estinzione programmata

Mentre Francesco si fa difensore delle specie animali o vegetali in via di sparizione, egli decide e promulga l’estinzione di coloro che sono legati al rito immemorabile della Santa Messa. Questa specie non ha più il diritto di vivere: essa deve sparire; e saranno impiegati tutti i mezzi per arrivare a questo risultato.

Qui si tratta prima di tutto una rigorosa riduzione della libertà. Finora, gli spazi riservati al vecchio rito avevano una certa latitudine di movimento, un po’ come le riserve. Adesso siamo passati a un regime da zoo: gabbie strettamente limitate e delimitate; il loro numero è strettamente controllato e una volta installate sarà proibito fornirne delle altre.

I guardiani – o si dovrebbe dire i carcerieri? – non sono altri che gli stessi vescovi.

Tutto questo è precisato nell’articolo 3 § 2: «Il vescovo … indichi, uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per la celebrazione eucaristica (non però nelle chiese parrocchiali e senza erigere nuove parrocchie personali)».

Il regolamento interno di queste carceri è severamente controllato (articolo 3 § 3): «Il vescovo… stabilisca nel luogo indicato i giorni in cui sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962»

Questo controllo si estende nei minimi dettagli (ibidem): «In queste celebrazioni le letture siano proclamate in lingua vernacola, usando le traduzioni della sacra Scrittura per l’uso liturgico, approvate dalle rispettive Conferenze Episcopali».
Escluso quindi l’utilizzo delle traduzioni di un Dom Lefebvre o di un lezionario del passato.

Si prevede l’eutanasia per gli esemplari ritenuti inadatti alle cure palliative (articolo 3 § 5): «il vescovo … proceda, nelle parrocchie personali canonicamente erette a beneficio di questi fedeli, a una congrua verifica in ordine alla effettiva utilità per la crescita spirituale, e valuti se mantenerle o meno».

D’altronde, la riserva è soppressa nel suo insieme, perché la Commissione Ecclesia Dei sparisce (articolo 6): « Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei passano sotto la competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica».

Non ammessi i migranti

Mentre il Papa non cessa di occuparsi di ogni tipo di migrante, le prigioni che istituisce hanno confini murati, invalicabili dall’esterno.

Per essere sicuro che non si costituiscano delle riserve selvagge, il Papa vieta ogni ampliamento della prigione (articolo 3 § 6): «Il vescovo … avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi».

Questa misura equivale anche ad una sterilizzazione: questi selvaggi del passato devono sparire, si vieta loro di riprodursi e di perpetuare la loro specie.

Questa sterilizzazione riguarda anche i preti che saranno ordinati in futuro (articolo 4): «I presbiteri ordinati dopo la pubblicazione del presente Motu proprio, che intendono celebrare con il Missale Romanum del 1962, devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica».

Quanto ai sacerdoti che beneficiano già di una autorizzazione, essi dovranno rinnovare il loro pass «celebrativo», che corrisponde ad un visto temporaneo (articolo 5): «I presbiteri i quali già celebrano secondo il Missale Romanum del 1962, richiederanno al Vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare ad avvalersi della facoltà».

Così, se si tratta di limitare, ridurre o addirittura distruggere i gruppi, i vescovi hanno carta bianca, ma se si tratta di autorizzare, il Papa non si fida: devono passare attraverso Roma.

Mentre decine di sacerdoti, spesso sostenuti dai loro vescovi, hanno deriso la Congregazione per la Dottrina della Fede “benedicendo” coppie omosessuali, senza alcuna reazione romana se non una velata approvazione da parte di Francesco attraverso il suo messaggio a padre Martin, i futuri sacerdoti saranno attentamente monitorati se pensano di celebrare secondo la Messa di San Pio V.

Ovviamente, è più facile mascherare la propria mancanza di autorità terrorizzando i fedeli che non resisteranno, che ridurre lo scisma tedesco. Si potrebbe pensare che non ci sia niente di più urgente che colpire questa parte del gregge...

Vaccinazione contro il lefebvrismo

La grande paura della contaminazione col virus lefebvriano è esorcizzata col vaccino obbligatorio “Vat. II - del laboratorio moderno - (articolo 3 § 1): «Il vescovo … accerti che tali gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettami del Concilio Vaticano II e del magistero dei Sommi Pontefeci».

E tutto ciò che potrebbe essere fonte di infezione potenziale è eliminato senza pietà (articolo 8): «Le norme, istruzioni, concessioni e consuetudini precedenti, che risultino non conformi con quanto disposto dal presente Motu Proprio, sono abrogate».

Trasportato dal suo slancio, il Papa arriva quasi a dire che è la vecchia Messa ad essere un virus pericoloso dal quale dobbiamo proteggerci. Così, nell’articolo 1, afferma: «I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano».

Se il Novus Ordo è la sola espressione della lex orandi, come qualificare la Messa tridentina? Non ha alcun peso liturgico o canonico? Non ha nemmeno il diritto di occupare un posto pari a quello che occupano ancora nella Chiesa il Rito Domenicano, il Rito Ambrosiano o il Rito di Lione?

Questo è quanto sembra si possa dedurre da ciò che il Papa dice nella lettera che accompagna il motu proprio. Senza sembrare dubitare del paralogismo che esprime, scrive: «Mi conforta in questa decisione il fatto che, dopo il Concilio di Trento, anche san Pio V abrogò tutti i riti che non potessero vantare una comprovata antichità, stabilendo per tutta la Chiesa latina un unico Missale Romanum. Per quattro secoli questo Missale Romanum promulgato da san Pio V è stato così la principale espressione della lex orandi del Rito Romano, svolgendo una funzione di unificazione nella Chiesa».

La conclusione logica che scaturisce da questa comparazione è che tale rito debba essere mantenuto. Tanto più che la bolla Quo primum di San Pio V lo protegge da ogni attacco.
Cosa che fu confermata dalla commissione di cardinali convocata da Giovanni Paolo II, che affermò quasi all’unanimità (8 su 9) che un vescovo non poteva impedire a un sacerdote di celebrare il rito di San Pio V, dopo aver rilevato all’unanimità che esso non era mai stato proibito.
E questo è ciò che Papa Benedetto XVI ha accettato e approvato nel Summorum pontificum.

Ma per Francesco, i riti antichi mantenuti da San Pio V, compresa la Messa detta tridentina, non avrebbero alcun valore unitivo. Mentre il nuovo rito, e solo lui, con i suoi cinquant’anni di vita, le sue infinite variazioni e i suoi innumerevoli abusi, sarebbe in grado di dare una unità liturgica alla Chiesa.
Il controsenso è palese.

Ritornando alla sua idea di eliminazione della specie, il Papa può scrivere ai vescovi: «Spetta soprattutto a Voi operare perché si torni a una forma celebrativa unitaria, verificando caso per caso la realtà dei gruppi che celebrano con questo Missale Romanum».

Una legge palesemente opposta al bene comune

L’impressione generale che si riporta dalla lettura di questi documenti – motu proprio e lettera di accompagnamento – è quella di un settarismo unito a un comprovato abuso di potere.

Il fatto che la Messa tradizionale, che appartiene alla parte più intima del bene comune della Chiesa, venga limitata, rigettata nei ghetti e infine fatta sparire in modo programmato, non può avere alcuna legittimità. Questa legge non è una legge della Chiesa perché, come dice San Tommaso, non esiste legge valida che contrasti il bene comune.

Vi è di più, nel suo insieme, c’è una evidente coloritura della rabbia che hanno alcuni accaniti riformatori liturgici contro la Messa tradizionale. Il fallimento di questa riforma è sottolineato, come in un chiaroscuro, dal successo della Tradizione e della Messa tridentina.
Ecco perché non possono sopportarla. Essi immaginano indubbiamente che la sua totale sparizione farà ritornare i fedeli nelle chiese svuotate del sacro. Tragico equivoco. La magnifica ascesa di questa degna celebrazione di Dio sottolinea solo la loro indigenza: non è essa la causa della desertificazione prodotta dal nuovo rito.

In conclusione, questo motu proprio, che prima o poi finirà nella pattumiera della storia della Chiesa, non è in sé una buona notizia: esso segna una battuta d’arresto nella riappropriazione della sua Tradizione da parte della Chiesa, e ritarderà la fine della crisi che dura già da più di sessant’anni.

Quanto alla Fraternità San Pio X, essa vi trova una nuova ragione di fedeltà al suo fondatore, Mons. Marcel Lefebvre, e di ammirazione per la sua chiaroveggenza, della sua prudenza e della sua fede.

Mentre la Messa tradizionale sta per essere eliminata e le promesse fatte agli istituti Ecclesia Dei stanno per non essere mantenute, essa trova nella libertà lasciatale in eredità dal vescovo di ferro la possibilità di continuare a lottare per la fede e il regno di Cristo Re.



luglio 2021

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