L’universo covidico

di Don Gabin Hachette, FSSPX

Pubblicato su La Porte Latine
sito della Fraternità San Pio X in Francia






Uso della mascherina, entrata in vigore del passaporto sanitario, politica di vaccinazione… Martin Steffens e Pierre Dulau, aggregati  di filosofia e professori nelle classi preparatorie, hanno pubblicato nel loro libro «Affrontare il volto e la crisi santaria» (1) delle riflessioni sulla «società dell’igienismo per la sicurezza» nella quale stiamo entrando.

Martin Steffens e Pierre Dulau vedono nella nostra attuale epoca un momento chiave: quello del passaggio ad un nuovo tipo di società, approfittando di un  pretesto sanitario: la comparsa del virus «Sars-CoV-2», il Covid. Sì, pretesto, poiché dietro la valanga di informazioni quotidiane i due autori sottolineano che i fatti constatati e rigorosamente stabiliti sono molto spesso «o rari o numerosi e discordanti».
C’è molta vaghezza in questo periodo: «gli effetti del virus sulla salute non sono mai stati tali che i rimedi previsti possano essere considerati indiscutibili. Restano dubbi sul fatto che i rimedi scelti (confinamenti, coprifuoco, annunci spettacolari, penalizzazione delle deviazioni, restrizioni radicali delle libertà fondamentali, ecc) non siano peggiori dei mali. Il pensiero di «essere stati fregati» attraversa la mente del più onesto degli uomini di oggi».
Mentre c’è ovviamente un virus, sarebbe ridicolo equipararlo alla peste nera o al colera, non vediamo cadaveri che disseminano le strade o una riduzione significativa della popolazione mondiale. D’altronde, Richard Horton, il redattore in capo del Lancet lo faceva notare nel settembre 2020 (2): «il Covid non è una pandemia», lungi dal colpire l’intera popolazione esso è grave solo quasi elusivamente per le persone di una certa età o fragili. Mentre c’è ovviamente un virus, sarebbe ridicolo equipararlo alla peste nera o al colera, non vediamo cadaveri che disseminano le strade o una riduzione significativa della popolazione mondiale, esso è grave quasi elusivamente per le persone di una certa età o fragili. Ciò che rende importante questo virus è che «i governi hanno scelto di compensare attraverso l'immaginazione e il condizionamento ciò che l’esperienza sensoriale non poteva offrire. Per evitare la catastrofe, le menti sono state colpite in modo catastrofico». Attraverso la paura inculcata e le misure di allontanamento sociale, la società si è trovata radicalmente modificata.

Concludono logicamente Steffens et Dulau: se queste misure non sono solo legate ad un problema sanitario «non c’è alcun tipo di ragione perché le restrizioni alle nostre libertà fondamentali un giorno siano tolte del tutto». Questo regime di igienismo per la sicurezza diventa permanente. Tuttavia attualmente la maggior parte delle persone di buona volontà crede che queste misure siano solo provvisorie, esse le prendono sul serio nella speranza che rispettandole non dureranno, che contribuiscono al bene comune e quindi mostrano il buon esempio. Sommerse da più di un anno e mezzo da informazioni che orientano il loro giudizio viene loro promesso un futuro ritorno alla libertà che avevano prima, cosa che non avverrà mai.
E’ giustamente questo meccanismo di false promesse che permette alle restrizioni di fissarsi stabilmente. La loro logica fondamentale non possiede alcun limite in se stessa e per Pierre Dulau: «per ogni potere che si cede allo Stato, questo non vi rinuncerà mai. E’ un principio storico […] La storia non è una frase in cui si possono fare delle pause e tornare all’oggetto principale» (3).

L’umanità distanziata

E’ innegabile che la mascherina sanitaria portata abitualmente modifica le apparenze e le relazioni reciproche; secondo i nostri autori: «essa fa del viso umano una figura angosciata che manca di aria e colui che la contempla uno spettatore impotente di un’asfissia. [...] Questa umiliazione fisica quotidiana ha la proprietà evidente di essere sgradevole».
La mascherina è un «simbolo di disunione, sfiducia, paura, isolamento», di rinuncia al Principio di Visibilità Reciproca necessario per qualsiasi relazione umana basata su una fiducia data a priori. Allo stesso modo, attraverso le misure di distanziamento, «l’altro è posto a priori come una minaccia fantasma di cui diffidare, e io stesso non posso che apparire come un male da cui ognuno dovrebbe sempre potersi proteggere». Questa separazione collettiva scoraggia i legami sociali essenziali per la vita di qualsiasi comunità. Gli unici sorrisi leciti diventano quelli delle pubblicità, che danno l’illusione che la libertà sia nel consumo e nel denaro.

Se la salute è un bene necessario – occorre infatti un minimo di salute per vivere e possedere gli altri beni umani – tuttavia essa non è il più importante dei beni. Si può benissimo sacrificare la salute per una ragione superiore (la salvezza eterna, la fede, la città politica, la famiglia…) poiché essa non è un fine in sé, ma è relativa a dei beni più elevati. I professori Steffens e Dulau ci invitano «a non sfuggire al paradosso: l’eccesso di precauzioni sanitarie, il tentativo di trasformare la comunità in una società dell’isolamento grazie a un igienismo per la sicurezza e tecnologico, tutto questo, che chiude la vita in se stessa, non fa che soddisfare, in ultima istanza, un imperativo che è al massimo bestiale, al peggio morboso. La pulsione di vita diventa qui una pulsione di morte: cercare solo di reiterare ossessivamente la vita, per non perderla, è non viverla più»


Testati, ri-testati, ri-testati anche se non sono malati, casi di contatto di casi di contatto, avendo essi stessi incontrato per caso un caso di contatto, i cittadini saranno presto condizionati a vivere se stessi solo come un virus.


Steffens e Dulai fanno anche notare che la salute e il mercato vanno di pari passo, «i mali aumentano in proporzione ai mezzi progettati a monte di essi per alleviarli. Convincendo tutti che sono una potenziale minaccia per tutti gli altri, si introduce l’idea che ognuno è un potenziale malato, un malato potenziale che ha bisogno di cure». Tutto un mercato di cure si apre e promette affari in proporzione ad una domanda sovradimensionata, «Testati, ri-testati, ri-testati anche se non sono malati, casi di contatto di casi di contatto, avendo essi stessi incontrato per caso un caso di contatto, i cittadini saranno presto condizionati a vivere se stessi solo come un virus». Il fascino mantenuto dai media genera una nuova economia basata sullo spettro della morte che potrebbe potenzialmente portare una contaminazione, «la necessità di svendere le scorte non può non produrre, un bel giorno, con gli stessi mezzi le paure che alimentano la sua industria. Di produrre l’uomo giusto: timoroso, scrupoloso, un “cittadino”, come si dice ormai per indicare quelli che giocano troppo al giuoco sanitario».

La vaccinazione, un nuovo contratto sociale

In una intervista data al sito di informazioni Aleteia del 9 luglio 2021 (4), Pierre Dulau osserva che, in certo modo, «il vaccino è la mascherina all’interno del corpo. Le persone non si vaccinano per smettere di proteggersi a vicenda, si vaccinano per non smettere mai di farlo». La stessa fuga in avanti per immunizzare la vita contro la morte si prolunga. Egli osserva che «a 95 anni le persone non muoiono più di vecchiaia, ma di Covid. In altre parole, la vita dovrebbe poter continuare all’infinito se non fossimo costantemente minacciati dalla potenziale minaccia del nostro vicino». Con il vaccino, la salute è anche soggetta a insaziabili esigenze economiche: «oggi, il sistema immunitario dell’uomo appare come un nuovo mercato da sfruttare […] ormai vi vende il “pacchetto immunità” a soli 19,99 euro al mese. La novità è che se lo si rifiuta, si perdono i diritti».

Le autorità arrivano al punto di mettere in piedi un gioco molto pericoloso, «dopo aver giocato la carta della paura, ora usano la carta del risentimento sostenendo che i vaccinati saranno (o sono già) vittime dei non vaccinati. Mentre molte persone si vaccinano sotto la pressione degli obblighi o per essere lasciati in pace, altri sperano di riavere la loro vita o credono di dare l’esempio, ma secondo Pierre Dulau che risponde ad Aleteia, «potrebbero non avere in mente che gli verrà offerta una terza, poi una quarta dose, poi un nuovo tipo di monitoraggio in tempo reale del loro metabolismo, ecc. Di nuovo, non c’è un limite immanente a questo processo. La vaccinazione diventa così «un atto di adesione a un nuovo contratto sociale di tipo tecnico-sanitario basato su un ideale di igiene comune».

Un discorso moralizzatore

Gli slogan governativi che si ripetono ovunque nel modo pubblicitario sono molto semplici: «se ami i tuoi cari, non avvicinarti troppo», «restando a casa, si salvano delle vite». Sono come i comandamenti di una nuova morale. Questo discorso pubblico, sempre secondo Faire Face di Steffens e Dulau, «intende convincerci che se ci comportiamo bene, sconfiggeremo il virus; il che significa che se ci comportiamo male, cerchiamo di diffonderlo». Le accuse di cospirazione, di assassinio dei più vulnerabili e di sedizione piovono su chiunque si opponga con fermezza al monopolio igienista, il rifiuto di ascoltare le voci contraddittorie è assoluto. Un circolo vizioso alimenta i discorsi politici: «se tali misure non funzionano, se nonostante il passaporto sanitario e il coprifuoco, ci sono ancora dei malati, allora queste costrizioni devono essere rafforzate; ma se, al contrario, funzionano, se si immagina che la catastrofe sia stata contenuta per il solo fatto di averla anticipata, allora devono essere mantenute, o addirittura, ancora una volta, rafforzate [...] Lo Stato vede il male ovunque, tranne che in se stesso. Lo Stato vede il male ovunque ma non in se stesso. Più esattamente, lo vede solo in noi».

Sepolti vivi, imbavagliati, sfigurati, saremo ancora accusati dal nostro becchino benevolo.

Questa lezione morale permanente si basa su una politica di diffidenza e di amarezza, dando l’impressione infantilizzante di essere sottomessi a una maestra di scuola: «ella ci rimprovera di non aver messo la mascherina, di non aver rispettato i gesti della barriera, di non essere stati schermati in tempo [...] Per nostra colpa, forse, lo Stato, che eroicamente provvede a tutto, dovrà procedere a un nuovo confino. […] Sepolti vivi, imbavagliati, sfigurati, saremo ancora accusati dal nostro becchino benevolo».

In una tale società, la virtù svanisce a favore del protocollo dettagliato e della nuova morale tecno-sanitaria. L’igienismo soppianta la bontà, l’educazione e il saper vivere elementare. Steffens e Dulau notano giustamente che «vivere sarà da allora una questione di Stato. Si formula l’ipotesi è che i cittadini siano tutti barbari sbadati e incoscienti a cui bisogna insegnare a lavarsi le mani. La sicurezza igienica, imposta da uno Stato materno, mette fine alla morale».

Lo Stato onnipotente

I due filosofi ricordano che «vi è totalitarismo quando lo Stato perde ogni limite e diventa tutto», quando la vita politica si basa unicamente sulla fedeltà al suo progetto, senza che sia possibile alcuna contraddizione.

Lo Stato, per giungere a tanto, distrugge l’amicizia tra i cittadini, si inserisce nella vita familiare e privata. Questo è quello che stiamo vedendo, i termini bellicosi del governo «guerra», «coprifuoco», «mobilitazione», «rintracciamento», «battaglia», corrispondono a un nemico da combattere. Questo nemico è già nel paese, «si dirà che il nemico è principalmente il virus, che siamo uniti nella nostra lotta contro di esso. Questo è vero. Ma di questo nemico, ognuno è stato presentato, con insistenza, come il potenziale sostenitore. Questo significa che ognuno è un potenziale traditore del suo concittadino». Ognuno è un combattente e un traditore allo stesso tempo, un malato inconsapevole [5] che si mette sotto auto-sorveglianza compilando i suoi certificati di uscita o presentando il suo passaporto sanitario, gli sorveglia i suoi vicini...

Certuni immaginano  il totalitarismo come il regime dell’ordine, ma in realtà «è un regime di eccesso costrittivo che nasconde l’assenza di un ordine reale». […] Quando le persone non possono più decidere in maniera razionale, infestano la vita con regole volte a organizzare anche il più piccolo dettaglio marginale. [...] Come le mascherine, lo Stato totalitario si attacca alla tua pelle, il più vicino possibile al tuo respiro». Per stabilire una tale situazione, la paura è la molla indispensabile, è necessario che il terrore venga istituito in modo permanente; «le disposizioni imposte dallo Stato, gli annunci ripetitivi su tutti i media, la litania del numero di morti, i messaggi di allarme in tutti i sistemi di trasporto formano effettivamente una rete di segni che mira a fare della paura la passione dominante della vita sociale». Lo si accentuerà o diminuirà secondo i comportamenti che si vogliono ottenere.

Non importa di cosa si parla, basta che lo capiamo. Da qui questo paradosso abissale: benché sulla totalità dei viventi pochi muoiono di Covid, tutti saranno stati gravemente colpiti dal ritornello della sua evocazione.

Lo stato totalitario si basa su una visione altamente tecnica della società, e ogni processo deve assolutamente essere quantificato. L’unica cosa che conta è il numero: «il numero di morti, il numero di pazienti ricoverati in unità di rianimazione, il numero di individui malati, il numero di portatori asintomatici del virus, il tasso di incidenza, ecc. Questi numeri, ovviamente, non hanno alcun significato in sé: sono solo le ombre numeriche di una realtà impoverita. Tuttavia, hanno l’efficacia di dare alla tendenza totalitaria sempre più motivi per rafforzarsi. Quindi non smette mai di invocarli. Sono la preparazione del razionale in un regime irragionevole». Il regno della tecnologia, del calcolabile, della sigla astratta (covid, test per pcr, qr code, ephad, pass, ecc.) riduce ogni essere, ogni vita, alla dimensione quantificabile e modellabile informaticamente. Non importa di cosa si parla, basta che lo capiamo. Da qui questo paradosso abissale: benché sulla totalità dei viventi pochi muoiono di Covid, tutti saranno stati gravemente colpiti dal ritornello della sua evocazione».

Che si sia pro o contro le misure prese dallo Stato, ognuno deve concretamente rispettare i “buoni riflessi” che ci proteggono dalla nostra libertà. I Gesti imposti a tutti senza limiti sono, secondo Jacques Ellul (6), tipici della propaganda moderna che cerca di ottenere ben più che una ortodossia (pensiero unico), una orto prassia (pratica unica). Per arrivare a questo occorre annullare la capacità di riflessione, sottomettendo forzatamente la popolazione a delle ingiunzioni contraddittorie e assurde: «in mancanza di comprensione, il soggetto agirà». Sfortunatamente gli esempi presentati dai nostri autori ci sono ben familiari, si esortano i cittadini «a prendersi cura dei più fragili pur vietando loro di vederli. Li si invita ad andare in guerra pur restando a casa propria. Ci si lamenta del rischio di contaminazione dovuto al sovraffollamento dei supermercati, ma si impone la chiusura nelle grandi città a partire dalle 18. Si esortano i cittadini ad assumersi la responsabilità personale, minacciando loro multe salate e mesi di prigione per le infrazioni. Li si invita a godere di un deconfinamento che è tuttavia accompagnato da un coprifuoco...».
L’effetto di tutte queste contraddizioni è di creare «uno stato di stupefazione che raddoppia quello della paura iniziale causata dalla malattia». Il cittadino perde ogni giudizio di fronte a una moltitudine di ordini incompatibili, dispera della sua libertà e non ha gusto per nulla. Il totalitarismo trova allora un essere perfettamente malleabile, credulone, controllabile, che può senza difficoltà arrivare a regolare «gli orari dei pasti, i modi di amare e di sorridere, di lavarsi le mani e di morire, le parole permesse e le parole proibite».
Questo è il dispotismo dell’irrazionale, l’assurdo diventa normale.

Una società capovolta

In una sorta di suicidio, la società attuale sta rinunciando alla vita in un modo che non ha precedenti nella storia dell'umanità, «è stata resa possibile un’illusione: quella che consiste nel credere che vivere sarebbe soprattutto conservare la vita […] La si può chiamare, con Oliver Rey (7), «idolatria della vita», che oggi si chiama “sanità pubblica”».
Tuttavia, nessuna vita è possibile senza che si abbiano dei rischi da correre, questa è addirittura una condizione, altrimenti saremmo condannati allo stato di molluschi, i quali anche loro un giorno finiscono col morire. I nostri due autori danno l’immagine del marinaio che «affonderà con la nave se per paura di annegare si rifiuta di gettarsi in acqua».

Un mondo di schiavi non ha niente di invidiabile, e tuttavia è questo che si profila nell’esistenza «di un uomo sminuito al punto di volere la sua servitù e coltivare la sua cancellazione come un paradossale mezzo di salvezza. Di questa nuova religione della disincarnazione, il coronavirus è l’apocalisse asintomatica; né un’odissea tragica che foggia degli eroi, né una carità fedele che rivela dei santi, cosa dunque può prendere il posto del mondo umano?» La terra come anticamera dell'inferno non è forse il desiderio più caro degli angeli caduti?

Steffens e Martin non mancano, alla fine del loro libro, di aprire la via d’uscita: «Il cristianesimo, qui, ci illumina, quando ci dice che la vita quaggiù, presa in se stessa come l’assoluto, è sempre e solo una morte [...] Consacrarsi esclusivamente alla propria vita, tenerla febbrilmente, è scegliere la propria dannazione
Fondamentalmente, la vecchia lotta dei primi cristiani nei confronti della Roma pagana, non è finita, cambiano solo le circostanze: «l’universo covidico è un universo pagano iper-tecnologico, superstizioso e feticista, il cui ideale di esistenza è il servizio della rianimazione in cui la vita si misura con la sola sopravvivenza».
Per noi, lo sappiamo, la nostra vita terrena è ordinata ad uno scopo superiore: noi la riceviamo da Dio per ritornare a Dio tramite Nostro Signore Gesù Cristo.


NOTE

1 - Martin Steffens et Pierre Dulau, Faire Face – Le visage et la crise sanitaire, Editions Première Partie, 2021. Il presente articolo non equivale evidentemente ad una adesione a tutto quello che hanno potuto scrivere gli autori.
2 – Una delle più importanti riviste scientifiche mondiali. Richard Horton, « COVID-19 is not a pandemic », The Lancet, 26 septembre 2020
3 - Aleteia, intervista del 9 luglio 2021 con Pierre Dulau:  «Noi entriamo in una società dell’igienismo della sicurezza».
4 - Ibidem. Le riflessioni dell’intervista non sono in corsivo, per differenziarle da quelle dell’opera Faire Face
5 - Nel celebre pezzo di Jules Romain: Docteur Knock- Le Triomphe de la médecine, tutte le persone in buona salute non sono altro che malati che non lo sanno. La norma è la malattia non la salute.
6 - Jacques Ellul, Propagandes, Economica, 1990, réimp. 2008, p. 36-38.
7 - Olivier Rey, L’Idolâtrie de la vie, coll. « Tracts », Gallimard, 2020.




luglio 2021
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