“Traditionis custodes” e la partecipazione attiva

Articolo della Fraternità San Pio X

Pubblicato il 3 agosto 2021sul sito della Fraternità
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La lettera di Papa Francesco che accompagna il motu proprio Traditionis custodes cerca di mostrare la continuità tra la Messa tridentina e il Novus Ordo, appoggiandosi in particolare alla nozione di partecipazione attiva. Qual è la realtà di tutto questo?

La partecipazione attiva nei Papi preconciliari

L’espressione «partecipazione attiva» si trova in un testo di Papa San Pio X del 1903, Tra le sollecitudini, sulla musica sacra. Il santo Papa fa de «la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri», «la fonte prima e indispensabile del vero spirito cristiano».

In che modo San Pio X realizzerà questo programma? Quanto ai fedeli, in due modi: incoraggiando la restaurazione del canto gregoriano per renderlo accessibile ai fedeli; e promulgando due decreti: sulla comunione dei ragazzi dall’età della ragione, e sulla comunione frequente. Questo dà un’indicazione di ciò che San Pio X intendeva per partecipazione attiva.

Nella sua enciclica dedicata alla liturgia, Mediator Dei, del 1947, il Papa Pio XII riprende l’idea, anche se l’espressione non vi si trova letteralmente. Occorre seguire attentamente il suo testo che contiene una chiave indispensabile per comprendere la deviazione conciliare.

«È necessario dunque, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con un’assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote,

«Il detto dell’Apostolo: «abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé (…), lo stesso stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé (…) Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo, (…) che noi diventiamo, con l’Ostia immacolata, una sola vittima gradita all’Eterno Padre (…)

«Sono, dunque, degni di lode coloro i quali, allo scopo di rendere più agevole e fruttuosa al popolo cristiano la partecipazione al Sacrificio Eucaristico, si sforzano di porre opportunamente tra le mani del popolo il «Messale Romano», di modo che i fedeli, uniti insieme col sacerdote, preghino con lui con le sue stesse parole e con gli stessi sentimenti della Chiesa (…)»

Il Papa Pio XII dà una spiegazione piena di buon senso e di sollecitudine pastorale:

«Non pochi fedeli, difatti, sono incapaci di usare il «Messale Romano» anche se è scritto in lingua volgare; né tutti sono idonei a comprendere rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie liturgiche. L’ingegno, il carattere e l’indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei singoli.

«Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti cristiani non possono partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura».

Un cambiamento di prospettiva

La costituzione sulla liturgia del concilio Vaticano II, Sacrosanctum concilum, contiene undici volte l’espressione «partecipazione attiva». Di fatto essa è né più né meno un cavallo di Troia.
Infatti, nel testo del Concilio, il termine di partecipazione «attiva» è a doppio senso. Per un buon numero di vescovi essa significa una partecipazione come l’ha descritta e definita Pio XII.
Ma per i redattori e gli innovatori essa significa una partecipazione agente, con la quale i fedeli sono responsabili di una parte più o meno grande della realizzazione materiale della cerimonia liturgica. Per esempio: letture, acclamazioni, presentazione dei doni, distribuzione della Santa Comunione, gesti, atteggiamenti corporei. (N. 30 della Sacrosanctum concilium).

Che questo sia lo spirito del Concilio è confermato da un testo di Paolo VI del 1974, che afferma: «È tuttavia un errore, che purtroppo esiste ancora in alcuni luoghi, recitare il rosario durante l’azione liturgica», Marialis cultus, n. 48, 2 febbraio 1974.

Così, in meno di vent’anni (dal 1957 al 1974), Papa Paolo VI condanna come un errore ciò che Papa Pio XII aveva lodato come un atteggiamento conforme allo spirito della liturgia sotto ogni aspetto. Questa grande differenza ci permette di misurare la distanza tra il rito tridentino e il rito riformato dopo il Concilio.

Conclusione

Contrariamente a quello che cerca di far credere la lettera di Papa Francesco, non vi è evoluzione omogenea tra il rito tridentino e il rito riformato: le intenzioni di San Pio X e Pio XII sono state tradite da liturgisti in cerca di novità.

Non è difficile scoprire la spiegazione di questa mania di «partecipazione attiva»: essa sta in una nuova concezione del sacerdozio, in particolare del sacerdozio comune dei fedeli. Questo sarà l’argomento di un futuro articolo.



agosto 2021

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