Papa Francesco e l’Islam:
tra inganno e illusione


di Don Guillaume Gaud, FSSPX


Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X
La Porte Latine

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Papa Francesco e l'Imam di Al-azhar



Una strategia non cattolica che porta il Papa ai limiti della fede musulmana.

1 - Durante la penultima sessione del concilio Vaticano II, nel 1964, fu fondato – su iniziativa del cardinale Bea – un Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Questa istituzione era tutt’altro che isolata e faceva piuttosto parte di una serie di creazioni che avrebbero avuto un futuro brillante. Tra i protestanti, il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha istituito un Ufficio per le Relazioni Interreligiose. Sotto l’impulso dell’ONU, è nata la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP), che ha tenuto le sue prime sessioni a Kyoto nel 1970, a Lovanio nel 1974 e a New York nel 1979. È in questo contesto che le relazioni specificamente cristiano-musulmane hanno trovato la loro espressione privilegiata nell’organizzazione di colloqui pubblici, tenuti regolarmente a partire dagli anni ‘70: a Cordova nel 1974, a Tunisi nel 1974, a Tripoli nel 1976, ancora a Cordova nel 1977, ad Al-Azhar nel 1978. Per dare una svolta ancora più ufficiale all’organizzazione di questi colloqui, la Conferenza Episcopale francese creò nel 1973 un Segretariato per l’incontro con i musulmani, che divenne poi un Servizio per le Relazioni con l’Islam (SRI), il cui orientamento era all’avanguardia del modernismo conciliare. La rivista Islamochristiana, pubblicata annualmente a partire dal 1975 dal Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamologia (PISAI), serve da allora come base di studio.

2 - Il primo impulso così dato negli anni ‘70 ha aperto la porta a una proliferazione incessante di gruppi e associazioni di ogni tipo, il cui punto comune rimane lo stesso: la ricerca, da parte cattolica, di un’idilliaca amicizia islamo-cristiana. Così, nel 1977 è nato il Gruppo di Ricerca Islamo-Cristiana (GRIC), nel 1989 è stata fondata l’Associazione per il Dialogo Islamo-Cristiano (ADIC), che nel 1995 è diventata Associazione per il Dialogo Internazionale Islamo-Cristiano e gli incontri Interreligiosi, e nel 1992 è stato fondato il Gruppo di Amicizia Islamo-Cristiana; per non parlare dei numerosi gruppi locali, che per lo più coinvolgono solo alcuni cattolici di chiara tendenza progressista e qualche musulmano, per mantenere un dialogo autosufficiente. Negli ultimi anni, il numero di forum di «dialogo cristiano-musulmano» su internet si è moltiplicato. Questa apparente molteplicità si riduce in realtà a due tipi di intervento. Una prima categoria corrisponde ai siti che sono piuttosto nelle mani dei musulmani, che li utilizzano, a scapito degli abitanti europei, come strumenti di propaganda e di presunta «apologetica» a favore dell’Islam [1]: il loro scopo primario è quello di rassicurare gli Europei e di creare un’attrazione per l’Islam (un «richiamo all’Islam») in un modo che sia «adeguato alla psicologia occidentale». Una seconda categoria è costituita da siti che sono più probabilmente gestiti da cattolici o protestanti e il cui scopo è di solito quello di presentare ogni religione in una luce positiva, e di stimolare la riflessione sulle risposte che tutte le religioni potrebbero formulare in comune. Questi siti sono progettati da Occidentali e per gli Occidentali (sia musulmani sia cristiani), e danno dell’Islam un’immagine onorevole, suggerendo che può e deve avere un posto in Occidente. Il risultato è chiaramente espresso da questa reazione ingenua riprodotta nel giornale La Croix del 29 gennaio 2021: «Per mancanza di conoscenza, ho avuto una visione negativa dell’Islam».

3 – L’autore di questo articolo ha partecipato a molti di questi forum su internet e a molti di questi incontri islamo-cristiani. L’unico risultato osservabile e constatato è che i cristiani sono impegnati nell’islamizzazione, nell’accoglienza dei migranti musulmani, nella distribuzione di libri e videoteche che lodano l’Islam. In queste organizzazioni non hanno luogo le vere discussioni costruttive. Nel migliore dei casi, «una volta accolta la diversità come un fatto positivo, è necessario fare in modo che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro ma desiderino arricchirsi di essa.
«Il mio predecessore Paolo VI affermava la sua profonda convinzione in questi termini: “La Chiesa deve entrare in dialogo con il mondo in cui vive”. […] I credenti siano dunque sempre pronti a promuovere iniziative di dialogo interculturale e interreligioso, al fine di stimolare la collaborazione (cfr. Nostra Aetate) su temi di reciproco interesse, quali la dignità della persona umana, la ricerca del bene comune e la costruzione della pace [2]. […] Per essere autentico, tale dialogo deve evitare di cedere al relativismo e al sincretismo ed essere animato da un sincero rispetto per gli altri e da uno spirito  generoso di riconciliazione e di fraternità. Incoraggio tutti coloro che si dedicano a costruire un’Europa accogliente e solidale» [3].

4 - Questa dichiarazione dell’immediato predecessore di Francesco mostra già una grande ingenuità e una altrettanto grande illusione su come le grandi istituzioni islamiche concepiscono lo scopo generale di questo dialogo. Ma c’è di più: l’illusione qui porta ad una reale autocensura - quando dovrebbe essere inaccettabile - della missione evangelizzatrice della Chiesa.
Vediamo ora come l’illusione e l’autocensura continuano e peggiorano sotto il successore di Benedetto XVI.

1. Un primo tentativo di fratellanza dei credenti

5 - Nel 1978, padre Anawati, op, come membro della delegazione vaticana ad Al-Azhar per il colloquio sul dialogo interreligioso, propose una conferenza [4] in cui cercò di riunire le due religioni, cattolica e musulmana, in una visione consensuale. L’obiettivo era quello di costruire un «umanesimo fondato in Dio o umanesimo teocentrico», «conseguenza della fede in Dio». Per ottenere questo, il buon padre non ha trovato di meglio che relativizzare la differenza di fede tra l’Islam e il cattolicesimo, utilizzando due procedure complementari.

6 - La prima procedura gioca sul contenuto della fede. Essa consiste nell’elencare le verità di fede apparentemente comuni a cattolici e musulmani, ma senza indicarne il contenuto preciso, creando così ambiguità, per esempio riguardo alla fede in un solo Dio. Perché non si precisa qui che nella Rivelazione cristiana è essenziale e non secondario affermare che questo unico Dio è - nella profondità del suo Essere trascendente e perciò misterioso - sussistente in tre persone: Padre Figlio e Spirito Santo. Né è detto che nel Corano è essenziale e non incidentale negare che Dio è Trinità. Padre Anawati si guarda bene dal dire che cattolici e musulmani credono le stesse cose, né dice che il musulmano non ha fede nel senso in cui l’intende la Chiesa cattolica. Egli passa anche sotto silenzio la distinzione assolutamente fondamentale tra :
- da una parte, la fede soprannaturale del cristiano, che accetta tutte le verità rivelate per la sola ragione dell’autorità di Dio Rivelatore, fede teologale, che mette il fedele in possesso della Verità che è Gesù, il Verbo di Dio, ad un tempo rivelata e rivelante;
- dall’altra parte, la fede del musulmano, che è una credenza puramente umana, che non solo è incapace di mettere il credente musulmano in possesso della Verità intera che è Gesù, ma si oppone anche realmente al fatto che il credente musulmano possa accedere alla vera fede teologale.

7 - Un tale procedimento si accontenta di dire che nel Corano la Rivelazione si trova in uno stato ridotto o solo in modo imperfetto [5] . Questo rende incomprensibile l’essenza religiosa dell’Islam, che si definisce come il rifiuto dei tre misteri principali rivelati da Dio e affidati alla Sua Chiesa nel cristianesimo: il mistero della Santa Trinità; il mistero dell’Incarnazione e il mistero della Redenzione.

8 - Il secondo procedimento gioca sulla disposizione del credente. Esso consiste nel definire la sua fede come una dimensione esistenziale e relazionale tra lui e Dio. L’attenzione si concentra allora esclusivamente, nell’anima dei credenti, cristiani e musulmani, sul bellissimo e ammirevole atteggiamento di sottomissione all’Essere sovrano. E la contraddizione che rimane tra le dichiarazioni oggettive delle loro rispettive credenze viene semplicemente ignorata. La somiglianza e la vicinanza di questo atteggiamento dell’anima serve come base per la fratellanza dei credenti, per una sorta di umanesimo teocentrico. Troviamo questa idea nel recente discorso del Papa in Iraq: «Dio chiese ad Abramo di guardare il cielo e contare le stelle. [...] E oggi, noi ebrei, cristiani e musulmani, insieme ai nostri fratelli e sorelle di altre religioni, onoriamo nostro padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo. L’Aldilà di Dio ci rimanda all’altro del fratello. Ma se vogliamo conservare la fratellanza, non dobbiamo perdere di vista il cielo. Noi, discendenti di Abramo e rappresentanti di varie religioni, sentiamo di avere soprattutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle ad alzare lo sguardo e la preghiera al cielo» [6]. Il Papa lascia credere che tutti noi, ebrei, cristiani e musulmani, abbiamo la stessa attitudine, bella e lodevole, verso lo stesso Dio; ma le differenze fondamentali che oppongono l’ebraismo e l’Islam e il cattolicesimo, con le conseguenze che ne devono derivare, sono deliberatamente taciute.

9 - Nella sua risposta a padre Anawati, lo Sheikh Baraka afferma categoricamente che l’Islam non ha mai creduto che Allah «avrebbe concesso all’uomo di usare la sua ragione per organizzare la società secondo una legge naturale, che corrisponderebbe ad una natura universale dell’uomo basata sulla ragione». A suo parere, questo è contrario alla Sharia e tende a dissolvere gli articoli del credo islamico. Queste sono dunque, sostiene, le basi sbagliate per il dialogo interreligioso, perché tali basi sono un ostacolo al riavvicinamento [7].


2 - Una strategia non cattolica

10 – Sia nella dichiarazione di Abu Dhabi, sia nel discorso in Iraq, Papa Francesco tace volontariamente il Nome di Gesù; Cristo non è nominato né direttamente né indirettamente; l’ordine sociale cristiano, che è sempre stato indicato dai Papi come la fonte della pace in terra, non è stato evidentemente trattato. Il Papa ha scelto di adottare la stessa tattica di Padre Anawati: tattica che non è né quella di un umanesimo veramente cattolico, che trova nella fede la fonte dell’ordine e della pace; né quella di un umanesimo laico, il quale pensa di trovare la fonte della pace in una umanità liberata da ogni verità imposta; ma è quella di un ipotetico umanesimo teocentrico. Questi pensa di trovare la fonte della pace nel fatto che gli uomini adottino tutti un’attitudine di credenti, che li mette in relazione esistenziale con Dio, anche quando le loro rispettive credenze riguardano oggetti contradditori. La conseguenza immediata, che peraltro Papa Francesco assume, è che chiunque adotti una tale tattica si vede obbligato ad abbandonare il punto di vista esclusivo della dottrina cattolica, e a tacere sull’unico mezzo efficace per ottenere la pace: Nostro Signore Gesù Cristo, vero Re delle Nazioni.

11. Si può certo concepire fino a che punto sia allettante questa tattica nell’epoca del mundialismo, in cui appare chiaro che il discorso della Chiesa sulla regalità di Cristo ha poche possibilità di essere accettato. D’altronde, questa è la tentazione a cui ha ceduto il Concilio Vaticano II, molto prima di Benedetto XVI e Francesco. Ma non è proprio con la dottrina sociale di Cristo Re che la fede cattolica si dà per quello che è? San Paolo non ha detto: «Pregate per noi, perché Dio ci apra una porta con la parola, affinché io possa annunciare il mistero di Cristo» [8].  L’Apostolo ha così dimostrato che solo la fede in Gesù e la nostra unione con Lui possono unire le persone e proteggerle dall’errore: «...finché non giungiamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio [...] affinché non siamo più bambini, fluttuanti e trascinati da ogni vento di dottrina, dall’inganno degli uomini, dalla loro astuzia per trarre in errore; ma, confessando la verità, continuiamo a crescere nell’amore sotto ogni aspetto in unione con colui che è il capo, Cristo» [9]. San Paolo afferma così che, lungi dall’essere una religione tra le tante, la religione di Gesù Cristo è l’unica vera religione, la religione universale: «Questo mistero è che i non ebrei sono eredi con gli Ebrei e membri dello stesso corpo, e che partecipano alla promessa di Dio in Cristo Gesù attraverso il Vangelo. A me, l’ultimo di tutti i santi, è stata concessa questa grazia di proclamare tra i non ebrei la incomprensibile ricchezza di Cristo» [10]. Non è forse questo che ci aspettiamo da colui al quale è stato affidato il ruolo di «proteggere santamente il deposito della fede ed esporlo fedelmente»? [11] Non è forse questo che dovremmo aspettarci dal successore di San Pietro, il Papa, pastore e dottore di tutti i cristiani?

12 - Papa Pio XII si è trovato già di fronte alle stesse difficoltà di Francesco, di fronte a un mondo che si dilaniava. Come ha reagito? Ha forse proposto ai credenti delle diverse religioni monoteiste di elevare la preghiera comune dei figli di Abramo all’unico Dio? No. Pio XII ci ha ricordato precisamente quale dovrebbe essere il ruolo della Chiesa nell’instaurazione della pace nel mondo. La Chiesa deve contribuire all’instaurazione di questa pace predicando un ordine propriamente cristiano e cattolico:

«Quale dovrà dunque essere il suo contributo alla pace? Quale sarà il titolo giuridico, quale la natura particolare di questo contributo? […] Il suo titolo giuridico è il Figlio eterno di Dio fatto Uomo, e il cui nome é « Princeps pacis », Principe della pace. Principe e fondatore della pace, tale è il carattere del Salvatore e Redentore di tutto il genere umano. La sua alta divina missione è di stabilire la pace fra ciascuno degli uomini e Dio, fra gli uomini stessi e fra i popoli. […] Ma il Salvatore divino è anche il Capo invisibile della Chiesa; perciò la sua missione di pace continua a sussistere e a valere nella Chiesa. […] Ci vediamo nella necessità di dichiarare: il mondo è ben lontano da quell’ordine voluto da Dio in Cristo, che garantisce una pace reale e durevole. […] quello sguardo convincerà ogni osservatore imparziale che il nodo del problema della pace è al presente di ordine spirituale, è manchevolezza o difetto spirituale. Troppo scarso è nel mondo di oggi il senso profondamente cristiano, troppo rari sono i veri e perfetti cristiani. In tal guisa gli uomini stessi mettono ostacolo all’attuazione dell’ordine voluto da Dio».
Pio XII Radiomessaggio del 24 dicembre 1951,

13 – Il Papa continuava mettendo in guardia contro una falsa pace che, rifiutando la fonte della pace che è Cristo, e il suo strumento che è la Chiesa, si condanna a non esistere mai:

«Quel mondo non parla che di pace, ma pace non ha; rivendica a sé tutti i possibili ed impossibili titoli giuridici per stabilire la pace, ma non conosce o non riconosce quella missione pacificatrice che emana immediatamente da Dio, la missione di pace dell’autorità religiosa della Chiesa».

14 – Più avanti, pio XII denunciava la falsa pace che oggi predica Papa Francesco:

«sottraendo all’autorità religiosa della Chiesa i presupposti per un’azione efficace in pro della pace, è stata resa più profonda la tragica condizione del perturbato mondo moderno. A questo quasi intollerabile eccesso ha spinto la defezione di non pochi dalla fede cristiana. E al delitto dell’allontanamento da Cristo si direbbe che Dio ha risposto col flagello di una minaccia permanente alla pace».

15. Ponendosi come fa su un terreno che esclude a priori il ruolo di Gesù Cristo e della vera religione, il Papa non ostacola forse la libertà della Chiesa e la sua carità missionaria? In ogni caso, corre il rischio molto reale di farsi superare da strateghi più astuti. Questo è quello che sembra essere successo in Iraq. Perché lì il Papa ha subito tre clamorosi fallimenti.

16. Il primo fallimento del Papa è stato l’incontro interreligioso tenutosi a Ur. Francesco ha voluto invitare tutti i discendenti della fede di Abramo, nella prospettiva della pace e della convivenza comune. Ma gli ebrei hanno mancato all’appello, poiché le autorità irachene e sciite non hanno accettato la loro presenza.

17. Il secondo fallimento è stato l’incontro a Najaf, dove il Papa doveva incontrare l'Ayatollah Sistani. Quest’ultimo ha rifiutato di firmare la dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza universale.

18. La terza umiliazione è avvenuta quando il Papa non ha potuto evitare di sentire le spiegazioni franche e cortesi date dall’Ayatollah Sistani durante lo stesso incontro. Questi ha indicato al Papa le ragioni profonde che gli hanno impedito di approvare la dichiarazione di Abu Dhabi. La prima ragione è teologica e riguarda la definizione di fratellanza. «L’Ayatollah Sistani ha un detto, spero di ricordarlo correttamente: Gli uomini sono o fratelli per religione o uguali per creazione» [12]. Questo è un detto dell’Imam Ali, che limita la fratellanza (diversa da quella della famiglia) alla vera fede in Allah, e riconosce che tutti gli esseri umani appartengono solo ad una natura uguale. L’Ayatollah non accetta di firmare una dichiarazione basata su un linguaggio equivoco, dove ogni parte dà un significato diverso al testo da firmare. La seconda ragione è politica. Perché quello che i paesi dell’Islam si aspettano dal Papa non sono le parole ma i fatti. Sistani afferma che gli attuali misfatti umani, sociali e materiali, descritti nella dichiarazione di Abu Dhabi sono dovuti principalmente alle guerre. Egli incolpa direttamente le grandi potenze che fanno queste guerre e violano i diritti umani, e dà come primo esempio il popolo palestinese oppresso. Quindi, il secondo ruolo dei capi religiosi è quello di aiutare queste stesse potenze a rifiutare il linguaggio della guerra e a non mettere i propri interessi particolari al di sopra del diritto delle persone a vivere in libertà e dignità. Inoltre, i capi religiosi devono proteggere i popoli feriti da queste guerre, come è stato fatto in Iraq. L’ayatollah sembra quindi rimandare il Papa alla propria responsabilità di agire sui governi occidentali per fermare le guerre. Piuttosto che moltiplicare le dichiarazioni a doppio senso.

19 – L’Ayatollah non ha accettato il linguaggio dell’equivoco. Ma con questo, ha approfittato dell’illusione irenica del Papa, per utilizzare il capo della Chiesa cattolica come portavoce attraverso il quale ha potuto dare a tutto il mondo occidentale una visione molto soddisfacente dell’azione sciita in Iraq.
 

3. ... portando il Papa ai limiti della fede musulmana

20 – Il Papa comincia il suo discorso a Ur affermando: «In quelle stelle [Abramo] vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo».
Nella preghiera che egli recita in seguito chiama Abramo nostro padre comune nella fede « noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’Islam».
Si rende conto, il Papa, che con simili espressioni si fa più prossimo alla dottrina musulmana che alla dottrina della Chiesa?

21. Ricordiamo che, per l’Islam, la fede di Abramo è quella del puro monoteismo (hanif) che non associa nulla a Dio: «Essi hanno detto: siate ebrei o cristiani e sarete ben guidati. Dite: piuttosto la religione di Abramo, veramente monoteista (Hanif) ed egli non era nel numero degli associatori» [13]. Agli occhi dell’Islam, gli ebrei e i cristiani hanno progressivamente deviato da questa la fede di Abramo, e Maometto è stato inviato per riportarli al monoteismo, ma essi non l’hanno accettato e da allora sono rimasti a metà strada tra la fede e la miscredenza: «Dite: Noi crediamo in Dio, in quello che ci ha rivelato, in quello che ha rivelato ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe e alle Tribù, e in quello che è stato dato loro dal loro Signore, Mosè, Gesù e i Profeti. Non facciamo distinzione tra loro, ed è a Dio che ci sottomettiamo» [14]. «E coloro che non credono in Dio e nei Suoi messaggeri e cercano di fare una distinzione tra Lui e i Suoi messaggeri, e dicono: «Crediamo in alcuni di loro, ma non in altri», e cercano di prendere una via di mezzo (tra fede e miscredenza): questi sono i veri miscredenti. E abbiamo preparato per loro un castigo degradante. Ma coloro che credono in Allah e nei Suoi messaggeri e non fanno alcuna distinzione tra costoro, sono coloro ai quali Allah darà la loro ricompensa. E Dio è indulgente, misericordioso» [15].

Certi termini religiosi impiegati nella dichiarazione di Abu Dhabi hanno un significato islamico.

22 - Si tratta della «comprensione della grande grazia divina che rende tutti gli esseri umani fratelli». Il termine «grazia» qui è preso nel senso islamico di un beneficio naturale che viene da Dio. Preso nel suo senso cattolico, questo termine esprimerebbe un grave errore, e implicherebbe che ogni uomo è figlio di Dio per la grazia santificante, in ragione della sua stessa creazione.

Si tratta anche de «l’importanza di tali valori come ancora di salvezza per tutti».
Il termine «salvezza» nella dottrina cristiana è impiegato in funzione del peccato che ci impedisce di entrare nella vita eterna. Ottenere la salvezza significa uscire dal peccato e questa salvezza è apportata da Cristo che espia i nostri peccati, nozione che l’Islam rifiuta categoricamente. Nel senso che l’Islam dà a questo termine, si tratta di una salvezza per la vita dell’umanità sulla terra.

Un’altra espressione in cui è detto: «Noi crediamo in Dio, nell’incontro finale con Lui e nel Suo giudizio», è un’espressione tipicamente islamica.

23. E’ anche detto che «il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina». Al di là dell’eresia che essa veicola chiaramente [16], questa frase dà l’espressione della pura dottrina musulmana. I commentatori musulmani non si sono sbagliati: «Così facendo, si abbandona ogni pretesa ad un esclusivismo apologetico che nega arrogantemente che l’altra religione possa essere rivelata da Dio» [17]. Questa è la pietra d’inciampo: mentre il Corano afferma che il Vangelo è stato rivelato da Dio, la Chiesa ha sempre affermato che l’Islam non è affatto rivelato da Dio, perché non presenta alcun segno reale di rivelazione, alcun motivo di credibilità, ma al contrario porta in sé i segni dati dalla Sacra Scrittura, sei secoli prima, per riconoscere gli anticristi. Eppure... il Papa ha firmato il testo che contiene questa professione di fede musulmana, fedele in questo alla sua avversione per quello che chiama «proselitismo» e che è in realtà l’espressione più autentica dello spirito missionario della Chiesa.

24 – Infine, altre affermazioni servono da prolungamento a questa strategia dell’Azione Islamica Culturale, il cui obiettivo è di utilizzare un’autorità morale occidentale per aiutare gli Europei ad accettare l’islamizzazione e a discolpare quest’ultima da ogni violenza:

«il rapporto tra Occidente e Oriente è una indiscutibile reciproca necessità; … affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture. L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente dei rimedi per certe sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo».
Il testo afferma qui senza mezzi termini che le malattie spirituali e religiose dell’Occidente troveranno il loro rimedio, non nella Chiesa romana, ma nella civiltà dell’Oriente – cioè nell’Islam che interviene in occasione di una dichiarazione interreligiosa.

«Il dialogo tra i credenti significa incontrarsi nell’enorme spazio dei valori spirituali, umani e sociali comuni. … significa anche evitare le inutili discussioni». Grazie all’esperienza di più di mezzo secolo di dialogo, noi sappiamo cosa bisogna intendere per «inutili discussioni»: il desiderio di convertire l’altro e di mostrargli che la sua religione non viene da Dio.

«Altresì dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, […]  il terrorismo esecrabile … non è dovuto alla religione – anche se i terroristi la strumentalizzano» […] «In nome dell’innocente anima umana che Dio ha proibito di uccidere, affermando che chiunque uccide una persona è come se avesse ucciso tutta l’umanità e chiunque ne salva una è come se avesse salvato l’umanità intera».
Questa citazione alterata e tronca del Corano (5.32), a sua volta parafrasata dal Talmud, modifica il vero senso coranico. Questo senso è che Dio non autorizza ad uccidere delle persone, tranne se siano colpevoli di omicidio o di corruzione sulla terra. Il versetto seguente esplicita: «coloro che fanno la guerra contro Allah e il suo Profeta, che si sforzano di seminare la corruzione sulla terra, siano uccisi o crocifissi, o si taglino loro la mano e la gamba opposta, o siano espulsi dal paese».
Si resta costernati per il fatto che un papa abbia potuto firmare tali affermazioni, tratte dal Corano presentato come parola di Dio.

25 – Da quanto precede, è abbastanza chiaro che il passo compiuto da Papa Francesco è solo uno dei tanti aspetti di una strumentalizzazione portata avanti dall’Islam, a scapito delle società non musulmane in Occidente. Con grande scandalo dei cattolici in particolare, la cui fede viene alterata in un modo senza precedenti. L’attuale capo della Chiesa ha ormai una grave responsabilità per questo, davanti a Dio e agli uomini.

NOTE

1 – Per esempio, il « forum de dialogue islamo-chrétien.com ».
2 – Paolo VI, enciclica Ecclesiam suam del 6 agosto 1964, n° 67.
3 – Benedetto XVI, Messaggio in occasione della giornata di studi sul dialogo tra culture e religioni, 3 dicembre 2008.
4 – Cfr. l’articolo «gli attori e le loro strategie nel mondo musulmano» nel numero di giugno 2021 del Courrier de Rome.
5 – Così procede Giovanni Paolo II nel suo libro Entrate nella speranza.
6 – Francesco, Discorso tenuto nella piana di Ur, in occasione dell’incontro interreligioso nel corso del suo viaggio apostolico in Iraq, 6 marzo 2021.
7 – Cfr. lo studio di Padre Emmanuel Pisani, op, Le dialogue islamo-chrétien à l’épreuve : Père Anawati, op -D> Baraka. Une controverse au vingtième siècle, L’Harmattan, 2014. Il padre Emmanuel Pisani, domenicano di Montpellier e membro dell’IDEO (Istituto Domenicano di Studi Orientali del Cairo) è Direttore dell’ISTR dell’Istituto Cattolico di Parigi. Insegna islamologia a Parigi, Lione e Roma. Ha sostenuto una tesi di dottorato in filosofia e teologia sugli eterodossi e i non musulmani nel pensiero di Al-Cazali.
8Col. IV, 3.
9Efes. IV, 14-16.
10Efes. III, 9.
11 – Concilio Vaticano I, costituzione Pastor Aeternus, capitolo IV, DS 3076.
12 – Papa Francesco, Conferenza stampa sul volo di ritorno dal viaggio in Iraq, 8 marzo 2021.
13Corano 2, 135.
14Corano 3, 84-85
15Corano 4, 150-152
16 – Si veda l’articolo «Francesco e il dogma (II)», nel numero di febbraio 2019 del Courrier de Rome.
17 – Commento della Dichiarazione di Abu Dhabi elaborato da un gruppo internazionale di studiosi e intellettuali musulmani, disponibile sul sito www.christians-muslims.com






agosto 2021

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