Confusione e quadratura del cerchio

Don Jean-Michel Gleize, FSSPX

(
professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al seminario San Pio X di Ecône; Principale redattore del Courrier de Rome; ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la FSSPX dal 2009 al 2011)



Pubblicato nel sito della Fraternità in Francia
La Porte Latine


Riuniti il 31 agosto scorso a Courtalain, dodici Superiori delle Comunità Ecclesia Dei hanno firmato una lettera nella quale espongono la loro reazione al recente Motu proprio Traditionis custodes di Papa Francesco.
Grazie Santo Padre ?
* * *

Inquieti all’idea che i loro Istituti vengano sottoposti a delle visite apostoliche disciplinari, che potrebbero arrivare a privarli della possibilità di celebrare la Messa secondo il rito di San Pio V, questi firmatari protestano la loro adesione al Magistero del Vaticano II e a quello successivo, e si rivolgono ai vescovi di Francia implorando la loro pazienza e il loro ascolto, la loro comprensione e la loro misericordia – in un dialogo veramente umano.
Non una parola sulla fondamentale nocività della nuova Messa di Paolo VI. Non una parola sui frutti amari del Concilio. Non una parola sulla sconcertante accelerazione della crisi nella Chiesa sotto Papa Francesco. E la comunione ai divorziati risposati? E lo scandalo della Pachamama?
Qui la diplomazia, se c’è veramente, sconfina nell’ingenuità o nell’incoscienza, quando non è ipocrisia.
Che diranno i poveri e bravi fedeli che frequentano questi Istituti?…

Cosa chiedono in definitiva tutti questi Superiori maggiori? Chiedono la libertà di continuare a celebrare il rito della Messa antica in mezzo a tutti coloro che celebrano il rito della nuova Messa. Ora, questa libertà è impossibile. E ciò che colpisce, leggendo questa lettera, è l’assenza di qualsiasi riferimento alla verità che libera: la verità dell’opposizione fondamentale che impedisce al nuovo rito della Messa di Paolo VI di coesistere pacificamente con il rito della Messa di sempre.

Perché una tale opposizione? Ripetiamo questa evidenza: la legge della preghiera è l’espressione della legge del credo. Ora, il nuovo rito della Messa di Paolo VI è l’espressione di un nuovo credo, in opposizione all’antico. Mons. Lefebvre l’ha ripetuto a più riprese, in particolare nella sua omelia per le ordinazioni sacerdotali del 29 giugno 1976: «Noi abbiamo la convinzione che proprio questo nuovo rito della Messa esprima una nuova fede, una fede che non è la nostra, una fede che non è la fede cattolica. Questa nuova Messa è un simbolo, un’espressione, un’immagine di una nuova fede, una fede modernista. Questo nuovo rito sottende - se posso dirlo – un’altra concezione della religione cattolica, un’altra religione».

E il reciproco è ugualmente vero: il rito della Messa antica esprime una fede che non è quella del Vaticano II, che non è quella di Papa Francesco e dei vescovi di Francia pienamente sottomessi a lui. E d’altronde, è proprio per questa precisa ragione che il Papa, come spiega nella sua lettera che accompagna il Motu Proprio, ha deciso «di abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini precedenti al presente Motu Proprio», e «di sospendere la facoltà concessa dai miei Predecessori».
Il motivo fondamentale di questa decisione, ci dice il Papa, è «la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”».

I dodici superiori degli Istituti Ecclesia Dei possono difendersi, con una patetica verbosità vittimista e lagnosa, da un tale rifiuto, ma esso rimane necessariamente inscritto nell’essenza stessa del rito antico della Messa. La celebrazione della Messa antica è, in quanto tale, il rigetto, non solo del nuovo rito di Paolo VI, ma di tutto il nuovo magistero del Vaticano II. Al di là di un rifiuto fattuale, che sarebbe opera di questa o quella persona, non rappresentativa del movimento Ecclesia Dei - e di cui vorremmo credere che i dodici firmatari, capi degli Istituti di questo movimento, siano innocenti - ci sarà sempre un rifiuto di principio, che deriva necessariamente, prima o poi, dal rito della Messa di San Pio V. La Messa di sempre è incompatibile con la Chiesa conciliare; ed è per questo che Papa Francesco, nella misura in cui rivendica di appartenere a questa Chiesa del Concilio, non può tollerare la Messa di sempre.
Già Mons. Lefebvre lo aveva constatato: «Se, in tutta oggettività, noi cerchiamo qual è il motivo vero che anima coloro che ci chiedono di non fare queste ordinazioni, se cerchiamo il loro motivo profondo, troviamo che è perché noi ordiniamo questi sacerdoti perché celebrino la Messa di sempre. E’ perché si sa che questi sacerdoti saranno fedeli alla Messa della Chiesa, alla Messa della Tradizione, alla Messa di sempre, che ci pressano per non ordinarli» (Omelia per le ordinazioni del 29 giugno 1976).

I Superiori degli Istituti Ecclesia Dei non possono associare la loro adesione al Concilio e la loro rivendicazione a favore della Messa di sempre. E’ l’esigenza della comunione ecclesiale, fondata sulla doppia legge del nuovo credo (Vaticano II) e della nuova preghiera che l’esprime (la nuova Messa di Paolo VI), che glielo vieta.
Ma non è la stessa constatazione fatta da Papa Giovanni Paolo II al n. 5 del suo Motu Proprio Ecclesia Dei afflicta? «A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina – scriveva il Papa -, desidero manifestare anche la mia volontà - alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale - di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni».

Nello spirito di Giovanni Paolo II, padre e fondatore della Commissione Ecclesia Dei e del movimento dallo stesso nome, tutte le misure prese a favore di «alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina» si spiegano in ragione di un solo ed unico scopo: facilitare la comunione ecclesiale ai fedeli provenienti dallo scisma lefebvriano.

Trentatre anni dopo, il Motu Proprio Traditionis custodes non fa altro che prendere le misure necessarie per assicurare questo stesso scopo. E il solo mezzo per salvaguardare la Messa di sempre è di dissipare e di confutare il miraggio di questa falsa «comunione ecclesiale», basata su una nuova fede, che non è la fede cattolica.
I dodici firmatari saranno in grado di arrivare a tanto?
Questa è la grazia che dobbiamo sperare per loro, la grazia che può ottenere loro il Papa San Pio X, il quale, per conservare la vera fede, è stato colmato da Dio di una sapienza tutta celeste e di un coraggio veramente apostolico.



settembre 2021
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