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Non aspettiamoci alcuna pietà dai signori del neototalitarismo.
Non sono più uomini di Alessandro Gnocchi
Pubblicato il 24 settembre 2021 sul sito “Ricognizioni” ![]() ![]() Ognuno sta al suo posto con il suo bravo elmetto in testa. Il capo del governo legifera in proprio e senza intralci come neanche poteva fare il povero Mussolini, l’esecutivo ratifica senza por tempo in mezzo e senza alzare un sopracciglio, il parlamento approva e conferma con maggiore solerzia della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, la cosiddetta opposizione si oppone agli oppositori, gli apparati di sicurezza pubblica e occulta vigilano e reprimono con rara efficacia, scuola e informazione sono compatte nel formare i cittadini di ogni censo ed età e nell’additare al pubblico ludibrio i mostri dissenzienti, la sanità inocula dosi e dosi di pozione dell’immortalità ed espelle i renitenti alla leva vaccinale, il sindacato tutela i lavoratori arrivando a chiedere l’obbligo di farsi iniettare un farmaco sperimentale così più nessuno sarà discriminato. A corredo, dal coro si elevano gli acuti di chi invoca le cannonate del prode Bava Beccaris contro i cosiddetti “no vax”, di chi spiega che il green pass è un giusto strumento di ansia e terrore, di chi ammonisce che l’invito a non vaccinarsi è un invito a morire, di chi gongola all’idea di intubare un “no vax” per farlo soffrire come merita, di chi propone che i maledetti recalcitranti al vaccino paghino di tasca propria le cure… E in sottofondo, tra i felici sostenitori del nuovo totalitarismo, cresce in perfetta progressione geometrica l’odio nei confronti di quegli esseri inferiori che osano chiedere libertà quando ci si trova in una guerra tremenda, drammatica, epocale. Insomma, l’Italia è divenuta una nazione perfetta in cui non c’è spazio per la pietà. E così un’onorata e secolare storia di cialtroneria è stata buttata nel cesso senza neanche un moto d’orgoglio. Ma c’è una spiegazione: questi mostri di efficienza divenuti perfetti ideatori ed esecutori di ordini palesemente privi di ragione non sono più italiani perché, a ben vedere, non sono più uomini. Non sono io a scoprirlo, mi faccio solo portavoce di quanto C.S, Lewis aveva scritto già negli Anni Quaranta del secolo scorso in un breve scritto che si intitola L’abolizione dell’uomo. Per parte mia, mi limito a osservare che se un vaccinato teme di essere contagiato da un non vaccinato anche dopo lunghe assunzioni di elisir di lunga vita, evidentemente qualcosa non funziona più nella sua testa. E non solo: difetta in umanità. Prima o poi ci si doveva arrivare perché era tutto già scritto da quando l’Uomo ha lanciato la sua empia sfida alla Natura per conquistarla e assoggettarla. Le maiuscole sono di Lewis e volentieri, come quelle che seguiranno, le rispetto poiché rendono con più precisione l’idea di quanto è accaduto una volta innescato l’infernale processo. E, soprattutto, aiutano a smascherare il grande inganno di cui, da secoli, è preda la gran fetta di umanità dedita alle magnifiche sorti. Contrariamente a quando suggerisce la narrazione dei conquistatori progressivi, ogni loro singolo successo non ha esteso il potere sulla natura a un numero sempre maggiore di uomini, ma lo ha concentrato nelle mani bramose di un’élite sempre più piccola. Utilizzando l’esempio dell’aeroplano, della radio e dei contraccettivi, Lewis spiega: “Tutte
o una sola delle tre cose che ho citato possono essere sottratte ad
alcuni uomini da altri uomini: da coloro che vendono, o da coloro che
permettono la vendita, o da coloro che dispongono delle fonti di
produzione. O da coloro che fabbricano le merci. Ciò che
chiamiamo potere dell’Uomo è, in realtà, un potere che
alcuni uomini hanno e di cui possono servirsi. (…) per quanto riguarda
i contraccettivi, esiste un paradosso negativo per cui tutte le
possibili generazioni future sono dipendenti o soggetti di un potere
detenuto da chi al presente è già vivo. Per mezzo della
semplice contraccezione, viene loro negata l’esistenza; per mezzo della
contraccezione intesa come strumento di riproduzione selettiva, sono
costrette a essere, senza che vengano chiamate a pronunciarsi,
ciò che un’altra generazione, per ragioni sue proprie,
può scegliere di essere”.
Risulta evidente, a questo punto, che il potere dell’Uomo sulla Natura si rivela come il potere di alcuni uomini su altri uomini esercitato attraverso la Natura intesa come strumento. Ne consegue che la chimera dei progressivi di ogni ordine e grado secondo cui i mezzi tecnologici sarebbero buoni in sé mentre gli effetti del loro impiego dipenderebbero dalle intenzioni di chi li maneggia cade miseramente. Lewis dedica al tramonto di tale luogo comune, sposato anche dai cristiani più imbecilli che io abbia mai conosciuto, solo tre inesorabili righe. Archiviato questo aspetto della sua analisi, lo studioso inglese inserisce nell’argomentazione il concetto di Tempo come dimensione fondamentale per conoscere la Natura. Rappresenta così il progressivo potere dell’Uomo sul mondo naturale considerando la specie umana nell’arco di tempo che va dalla sua comparsa alla sua estinzione. “Ogni generazione” dice “esercita
potere sui propri successori: e ognuna, in quanto modifica l’ambiente
trasmessole e si ribella contro la tradizione, resiste e pone limiti al
potere dei propri predecessori. Ciò altera il quadro che a volte
ci si raffigura di un progressivo controllo dei processi naturali come
corrispondenti a un continuo aumento del potere umano. (…) La conquista
della Natura da parte dell’Uomo, se i sogni di alcuni pianificatori
scientifici dovessero realizzarsi, corrisponderebbe al dominio di poche
centinaia di uomini su miliardi di altri uomini”.
Così, nonostante la celebrazione retorica del crescente potere ereditato sulla Natura di generazione in generazione, l’Uomo sarà invece sempre più soggetto all’ipoteca di quelli che Lewis chiama i grandi Pianificatori e Condizionatori: “In ogni vittoria, oltre a essere il generale in trionfo, l’Uomo è anche il prigioniero che segue il carro trionfale”.
E con il progredire dei mezzi di conquista progredirà anche la
pervasività totalitaria delle élite che pianificano e
condizionano le vite degli altri: “Ma
i plasmatori d’uomini della nuova epoca saranno armati dei poteri di
uno stato omnicompetente e di una irresistibile tecnica scientifica:
avremo infine una razza di Condizionatori che potranno davvero
modellare la posterità nelle forme che vogliono”.
Qui sta il cardine della questione. Fino a quando l’Uomo non si invaghì del sogno di conquistare la Natura, modellava se stesso e le generazioni future secondo gli eterni valori e princìpi, che Lewis per comodità chiama Tao, di una visione comune a una umanità ancora umana. Ma ormai non è più così: i valori sono oggi puri fenomeni artificiali e il Tao è un artefatto che nulla ha più a che fare con gli insegnamenti tradizionali. I Condizionatori si sono emancipati da tutto ciò e il Tao è ormai solo solo una parte della Natura, il suo cuore, finalmente sotto il potere dell’Uomo. “Essi
sanno come produrre coscienza e che genere di coscienza produrre. (…) I
Condizionatori devono scegliere che genere di Tao artificiale produrre,
per ragioni loro proprie, nella specie umana”.
Ma, e qui sta lo scacco dei padroni della Natura, non potranno farlo dichiarando di utilizzare i concetti di Bene di Male, anche svuotati dai loro naturali e perenni contenuti. Se lo facessero, dichiarerebbero contemporaneamente che la Natura, portatrice di tali concetti, avrebbe vinto. Eppure i Condizionatori agiranno e lo faranno attraverso il solo criterio che si trova al di là del Bene e del Male, l’emotività: “Quando
tutto ciò che mi spinge a dire ‘è buono’ è stato
ridimensionato non rimane altro che ciò che mi spinge a dire
‘voglio’. (…) I Condizionatori, quindi dovranno essere motivati dal
loro stesso piacere. (…) Il mio punto di vista è che coloro che
si pongono al di fuori di ogni giudizio di valore non hanno basi su cui
preferire uno dei loro impulsi a un altro, tranne la forza emotiva di
quello stesso impulso”.
Così, con l’eliminazione dell’ultimo baluardo insito nella Natura, si giunge all’epilogo: “La conquista finale dell’Uomo si è rivelata come l’abolizione dell’Uomo”. Esito ultimo dell’opera di esseri che Lewis non intende neppure giudicare buoni o cattivi: “(…)
io non sto supponendo che siano cattivi. Piuttosto, non sono affatto
uomini (nel vecchio senso). Sono, se volete, uomini che hanno
sacrificato la loro parte di umanità tradizionale per dedicarsi
al compito di decidere quale senso attribuire per il futuro alla parola
‘Umanità’. (…) Non è che essi siano cattivi uomini. Non
sono affatto uomini”.
Non sono uomini e dunque non hanno alcuna pietà, non ne possono provare, per chi invece continua a esserlo. Secondo Lewis, possiamo solo sperare “che
tra gli impulsi sorti in menti così svuotate di ogni motivo
razionale o spirituale, alcuni saranno benevoli. Dal canto mio, dubito
fortemente che gli impulsi benevoli, spogli di ogni preferenza o
incoraggiamento che il Tao c’insegna a dar loro, e lasciati alla loro
forza e frequenza puramente naturali come fenomeni psicologici, abbiano
molta influenza”.
Ma c’è di più secondo lo scrittore inglese: “Sono
incline a pensare che i Condizionatori odieranno i condizionati. Per
quanto considerino un’illusione la coscienza artificiale che producono
in noi loro soggetti, si renderanno tuttavia conto di come essa crei in
noi un illusorio senso della vita che si scontra favorevolmente con la
futilità della loro: e ci invidieranno come gli eunuchi
invidiano gli uomini”.
Ottant’anni dopo l’analisi di Lewis, penso che quest’ultima osservazione debba essere indotta a germogliare. Chiunque sappia custodire l’ordine innato nella natura umana ha tutte le chiavi per scoprire che, al fondo dell’aggressiva epifania di un ordinamento artificiale, c’è sempre il disordine. E una tale scoperta, presto o tardi, provoca una salubre e santa reazione, uno stimolo spirituale alla venerazione dell’ordine capace di suscitare qualcosa più di “un illusorio senso della vita”. Lo dimostrano i racconti esemplari di chi ha saputo resistere al totalitarismo comunista e ora resiste a quello finanziario e tecnocapitalista, una sorta di detti dei padri del deserto sul perpetuarsi di un “concreto senso della vita” là dove sembrava tutto bruciato. Per alimentare questa pianticella, oggi come sempre, bisogna praticare le virtù, la via su cui gli esseri umani finiscono fatalmente per riscoprirsi immagine di Dio e rifiutare il baratto di tale somiglianza con l’orribile calco di un uomo non più umano. In questi mesi, durante le manifestazioni contro il green pass, nelle discussioni ossessive e ossessionanti sul neototalitarismo, nella lettura e nell’ascolto di sfoghi e testimonianze, mi ha colpito il fatto che le persone più diverse dicessero di voler salvare la fiamma divina che c’è nell’uomo. In qualche modo parlavano e parlano tutte di quello che Lewis ha chiamato il Tao e hanno compreso che questa fiamma, per quanto soffocata dal potere dei Condizionatori, è la colonna e il fondamento per chiunque non voglia abdicare alla propria umanità. Per questo siamo chiamati a essere virtuosi e a far lega con altri che intendano esserlo: per sostenerci in un compito non facile, ma sicuramente non impossibile anche se passerà attraverso cadute, cedimenti e riprese di quota. Tra le molte definizioni di virtù, mi pare che qui sia particolarmente pertinente una molto breve di Isacco di Ninive: “La virtù non consiste nelle molte e varie azioni manifeste del corpo, ma in un cuore reso sapiente dalla propria speranza, che unisce alle opere un retto fine”. Per resistere all’inedito attacco all’Uomo attualmente in corso, a noi tocca dunque di essere virtuosi. Ma non aspettiamoci alcuna pietà da chi tenta di condizionarci: non sono più uomini, sono draghi. (torna
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settembre 2021 |