Paternità: un attributo sessista?



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Dio Padre (Cima da Conegliano - Olio su tavola)


Mentre i decostruzionisti hanno una giornata campale e le autorità amministrative dei paesi sviluppati tendono a sostituire la menzione del padre e della madre negli atti di stato civile con “genitore 1” e “genitore 2”, i cristiani continuano a dire che Dio è Padre - non “genitore 1” o “genitore 2”. Cosa significa questo riferimento alla paternità umana quando si definisce Dio?

Per rispondere a questa domanda, è necessario tenere presente che la paternità e la maternità, pur avendo biologicamente la stessa importanza, non hanno lo stesso significato. Sarebbe addirittura criminale voler eliminare la paternità come fatto sociale, immaginando che la sola maternità debba essere presa in considerazione e che una seconda madre possa sostituire il padre che vogliamo dimenticare, rendendolo al massimo un genitore anonimo.
La recente legge sulla MAP [Procreazione Medicalmente Assistita] senza padre, privando i bambini del rapporto con il padre (che sia, per un motivo o per un altro, un padre assente), infligge loro un danno essenziale fin dalla nascita. Bisogna cogliere l’evidenza che un padre non porta la stessa cosa di una madre, che il maschile non è il femminile, che la legge non è l’amore, e che la dualità dei sessi, umanamente parlando, non è superabile, anche se c’è qualcosa di femminile in ogni uomo e una virilità nascosta in ogni donna.

Se la dualità dei sessi non è umanamente superabile, può essere superata divinamente.
Dio, il creatore di tutto e quindi della sessualità e della stessa sessuazione, è sia maschile sia femminile. Secondo la psicoanalisi, che è stata male ispirata, questo può significare concretamente che Egli è allo stesso tempo legge (maschile, che implica una distanza da coloro a cui si applica) e amore (femminile, che esprime l’immediatezza di un attaccamento che fa essere). Dio è allo stesso tempo il maestro della sua creazione e il Signore delle sue creature: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene perché lo sono” dice Gesù, affermando la sua divinità durante l’ultimo pasto che fa con i suoi apostoli (Giovanni 13, 13).

Allo stesso tempo, Dio ha per le sue creature “viscere di misericordia”. Se riprendiamo la formula che l’Angelo Gabriele attribuisce a Maria nel suo annuncio, noi siamo i frutti di queste viscere divine. Dare a Dio delle “viscere di misericordia” significa attribuirGli, per metafora, degli organi femminili.
Dice il Signore: “Si dimentica forse una donna del suo bambino,
 così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero, 
io invece non ti dimenticherò mai” (Isaia, 66, 15). Audacia della Bibbia che le nostre sciocchezze moderne non colgono!





ottobre 2021

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