Tutto un mese di preghiera e anche di riflessione

[sulla rinuncia di Benedetto XVI e la convocazione del conclave]


di Jean Madiran

Articolo pubblicato sul n° 7794 del giornale francese Présent, del 16 febbraio 2013

L’esplosione mediatica di una moltitudine di pettegolezzi non ci deve indurre a credere, come ci viene proposto artificiosamente, che la rinuncia di Benedetto XVI «sollevi una moltitudine di domande sulle ragioni della sua decisione».

Io credo che occorra prendere nella sua semplicità diretta e tagliente, quantunque discreta, la ragione che ha dato egli stesso della sua partenza: la condizione di «una vita di fede» inghiottita nel «mondo di oggi», esige dal vescovo di Roma, successore di san Pietro, un vigore del corpo e dello spirito che l’«avanzamento della sua età» ha diminuito in lui «nel corso degli ultimi mesi».

Per questa ragione, Benedetto XVI ha appena compiuto un atto che ne contiene due: egli lascia il suo incarico, ma allunga anche di diciassette giorni il ritardo minimo previsto per la riunione del conclave che sceglierà il suo successore. Tale saggio ritardo è di almeno quindici giorni dopo la vacanza della sede apostolica: due settimane di preghiere di riflessione prima che i cardinali, infine riuniti, rientrano nell’obbligo di votare quattro volte al giorno. La condizione del mondo e della Chiesa esige o almeno consiglia, secondo Benedetto XVI, di tenere almeno un intero mese di riflessione e di preghiere.

Il Papa che, il 7.07.07, ha reso pienamente alla Messa tradizionale il suo diritto di cittadinanza nella Chiesa, il Papa che ha ristabilito il principio di interpretare il Concilio alla luce della Tradizione e non viceversa, il Papa che ha denunciato l’apostasia silenziosa dell’esegesi attualmente dominante, ha incontrato l’opposizione di una gran parte della cattolicità, troppo spesso con le conferenze episcopali in testa.
Senza dover entrare nei particolari delle contraddizioni dottrinali o pastorali che vescovi e cardinali gli hanno pubblicamente manifestato in maniera implicita e perfino esplicita, basta fermarsi a quello che tutti possono constatare. Poiché tutti hanno potuto constatare che, malgrado il suo insegnamento e il suo esempio, egli non è riuscito a sopprimere la comunione sulla mano, né a far girare verso Dio il celebrante della forma «ordinaria» del rito romano, né a porre fine alla soppressione di tutti gli inginocchiamenti. Egli ha incontrato nella Chiesa la potenza perversa di autorità anonime e delle loro reti, contrarie alla struttura gerarchica della Chiesa: il Papa e i vescovi, non i comitati e le commissioni. Egli ha potuto misurare quanto queste autorità parallele resistano al riconoscimento del diritto di cittadinanza che egli aveva restituito alla Messa tradizionale.
E questa Chiesa, questa Chiesa che si vuole intellettualmente ingovernabile, è immersa in un «mondo d’oggi» in cui le nazioni che furono cristiane rigettano Dio e la sua legge fuori dalla città politica, mentre le altre nazioni adorano un Dio che non è la Santa Trinità.

Tutto questo richiede, secondo Benedetto XVI, che sia rinnovato il vigore fisico e mentale, naturale e soprannaturale, del ministero petrino. In effetti!

Sullo stato della Chiesa e sullo stato del mondo, abbiamo dunque, prima dell’apertura del conclave, un mese di riflessione. E capita che essa possa essere alimentata da due opere appena pubblicate contemporaneamente, due opere molto diverse come soggetto e contenuto, e tuttavia molto convergenti. L’una, presentata dalle Editions Clovis,  è composta da 670 pagine di una biografia dettagliata, quella del Padre Roger-Thomas Calmel (1914-1975), redatta dal Padre Jean-Dominique Fabre. L’altra, presentata dalle Editions de l’Homme Nouveau, si intitola “La rivoluzione cristiana”, e in essa il Padre Michel Viot, venuto «da Lutero a Benedetto XVI», risponde alle domande di don Guillaume de Tanoüarn. Ci occorrerà del tempo per consultarle.



febbraio 2013

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